N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
LA
CRISI
DELL’IMPERO
ROMANO
UNA
BREVE
SPIEGAZIONE
di
Valerio
Mero
La
vera
causa
della
fine
dell’Impero
romano
fu
una
grande
crisi,
forse
così
grande
da
non
poterla
recuperare
in
alcun
modo.
Un
vero
e
proprio
salvataggio
non
fu
mai
tentato,
perché
ormai
si
cercava
di
preservare
solamente
la
posizione
politica
di
chi
comandava.
La
crisi
non
fu
di
un
unico
tipo,
colpì
svariate
aree
dell’Impero
e,
per
risolverla,
si
sarebbe
dovuto
considerare
ogni
singolo
settore.
Ma
cerchiamo
di
capire
bene
quanto
fossero
profondi
i
problemi
dell’Impero.
Crisi
militare
La
crisi
di
Roma
risale
sin
dalla
fine
della
repubblica
e
dalle
origini
dell’impero.
È
durata
per
secoli,
attraversando
perfino
i
periodi
più
floridi
senza
che
nessuno
riuscisse
a
fermarla.
Le
frontiere
erano
diventate
vastissime
e
occorreva
un
numero
ingente
di
uomini
da
impegnare
nelle
milizie,
inoltre
ne
servivano
sempre
di
nuovi
perché
questi
difendevano
territori
pericolosi.
L’origine
più
remota
della
crisi
militare
possiamo
farla
risalire
fino
al
II
secolo
a.C.,
quando
ancora
l’esercito
era
formato
da
milizie
di
leva
volontaria
in
grado
di
poter
finanziare
autonomamente
il
proprio
equipaggiamento.
L’esercito
si
trovò
in
una
situazione
delicata,
perché
molti
soldati,
tornati
dalle
missioni
oltremare,
decidevano
uno
dopo
l’altro
di
tornarsene
a
casa
e
rifiutare
il
servizio
militare.
Le
lunghe
guerre
li
costringevano
a
stare
troppo
tempo
lontani
dalle
proprie
terre,
senza
poterle
coltivare
e
senza
poter
controllare
i
braccianti.
All’epoca,
la
terra
era
l’unica
fonte
di
sicurezza
economica.
L’Impero,
a
questo
punto,
fu
costretto
ad
arruolare
i
nullatenenti,
che
però
non
potevano
sobbarcarsi
le
spese
per
l’equipaggiamento,
quindi
d’ora
in
avanti
se
ne
occupò
lo
Stato.
Venne
creato
il premium militie, una sorta di liquidazione, di solito in
terra
da
coltivare,
per
chi
si
congedava.
In
realtà
era
solo
uno
specchio
per
le
allodole,
perché
nella
pratica
non
veniva
quasi
mai
rilasciato,
in
quanto
o si
cercava
di
trattenere
il
soldato
nell’esercito
o si
ritardava
la
consegna
del premio
stesso.
Con
Augusto,
venne
creato
un
corpo
di
milizie
per
la
difesa
interna
della
città
e
personale
dell’imperatore,
la
guardia
pretoriana
(coortes
pretorie).
L’esercito
era
ancora
costituito
da
cittadini
Romani
di
origine
italica
e
comprendeva
ventotto
legioni.
Molti
soldati
erano
dislocati
sulla
linea
di
confine
e la
carenza
di
truppe
di
riserva
faceva
sì
che,
in
caso
di
emergenza,
un
certo
numero
di
uomini
avrebbe
dovuto
staccarsi
dalle
altre
legioni
per
andare
a
tamponare
l’emergenza,
con
un
dispendio
economico
e di
tempo
notevole;
senza
considerare
poi,
che
all’epoca
gli
spostamenti
erano
molto
lenti.
Già
nel
9
d.C.
accadde
un
fatto
emblematico,
la
sconfitta
di
Teutoburgo.
Il
generale
Varo,
per
una
ingenuità,
perse
tre
legioni
in
un
solo
colpo.
Viste
le
difficoltà,
si
arrivò
a un
reclutamento
di
genti
Barbare
già
con
Augusto,
con
il
quale
l’esercito
si
vide
composto
da
Romani
di
origine
italica
e
truppe
ausiliarie
(auxiliaria),
truppe
composte
da
genti
Barbare
che
avevano
dimostrato
proprio
negli
scontri
con
le
popolazioni
barbariche
di
essere
molto
più
efficienti
dei
Romani,
addestrati
al
corpo
a
corpo
invece
che
a
una
guerra
di
movimento.
Per
far
fronte
alla
mancanza
di
truppe
di
riserva
intorno
al
III-IV
secolo,
si
decise
di
scindere
l’esercito
in
due
corpi
distinti:
i limitanei, stanziati nelle zone di confine e i comitatenses,
stanziati
nelle
zone
interne
dell’Impero,
usati
come
truppe
di
manovra.
Per
quanto
riguarda
i limitanei, si
svilupparono
due
teorie.
La
prima
sostiene
che
essi,
a
causa
di
una
vita
sedentaria,
diventarono
coloni
dedicando
molto
tempo
alla
coltivazione
delle
loro
terre,
perdendo
quindi
l’allenamento
nell’arte
della
guerra
ed
essendo
di
conseguenza
meno
efficaci
in
battaglia.
La
seconda
invece
sostiene
che
solo
in
alcune
zone
dell’Impero
(orientale),
dal
V
secolo,
si
verificarono
casi
sporadici
di
soldati-coloni.
Senza
dubbio,
i
mutamenti
riguardanti
i limitanei portarono
a
instaurare
un
forte
legame
tra
la
milizia
e la
terra.
Venne
rafforzata
anche
la
cavalleria.
Intorno
al
IV
secolo,
furono
accolti
dei
Barbari
per
ripopolare
alcune
zone
depresse;
questi
poi,
grazie
all’abilità
militare,
vennero
integrati
come
un
vero
e
proprio
corpo
dell’esercito
(gentiles)
e
affiancati
ai limitanei.
Con
quest’ultimo
atto,
cominciò
lentamente
il
processo
che
darà
origine
all’«imbarbarimento
dell’esercito».
L’Impero
destinò
gran
parte
delle
sue
entrate
ai
costi
del
servizio
militare,
ma
questi
non
riuscivano
a
coprire
sufficientemente
le
necessità
dell’esercito,
così
emerse
una
crisi
militare
legata
da
un
lato
alla
grande
estensione
e
dall’altro
alle
deboli
disponibilità
economiche.
Crisi
politica
Una
nuova
legge
colpì
i
piccoli
proprietari
terrieri
(capitula o consorzi),
i
quali
erano
tenuti
a
dare
allo
Stato
un
certo
numero
di
soldati
all’anno
a
seconda
della
terra
che
possedevano.
Invece,
siccome
i
grandi
proprietari
terrieri
avevano
bisogno
di
molta
manodopera,
lo
Stato
concesse
loro
di
pagare
una
tassa
(aurumtironicum)
in
sostituzione
della
fornitura
di
uomini.
A
servizio
dell’imperatore,
vi
era
un
numero
di
funzionari
superiore
al
necessario.
Vi
erano
i
cubiculari,
coloro
che
si
occupavano
della
camera
del
sovrano;
i silenzieri, che avevano il compito di garantire il riposo
mediante
il
silenzio;
i comite sacrae vesti, che erano addetti all’abbigliamento
del
sovrano.
L’imperatore
era
considerato
una
persona
sacra
e
non
doveva
avere
alcuna
preoccupazione
al
di
fuori
di
prendere
le
decisioni
più
importanti.
Il
complesso
apparato
burocratico
fu
un
tentativo
disperato
di
sopperire
alla
crisi,
che
in
quanto
«complesso»
non
solo
non
produceva
soluzioni,
ma
allungava
terribilmente
i
tempi.
L’Impero
risultava
una
macchina
lenta,
che
si
muoveva
con
difficoltà.
I
provvedimenti
si
dimostravano
inadeguati
per
sopperire
alla
crisi.
Si
cercò
di
adeguare
le
complesse
difficoltà
burocratiche
alle
necessità
della
società
civile,
senza
successo.
Crisi
economica
Vennero
create
una
sorta
di
corporazioni
(corpora),
dove
venivano
divisi
i
lavoratori
per
tipologia
di
mestiere.
A
ogni corpus veniva
imposta
una
donazione
(corresponsione),
per
cui
ognuno
dei
componenti
doveva
donare
allo
Stato
dei
beni
naturali,
così
da
assicurare
la
sopravvivenza
dell’Impero
centrale.
Per
far
fronte
alle
ingenti
tasse,
i
grandi
proprietari
terrieri
avevano
creato
una
sorta
di
associazioni,
i collegi.
L’Impero
aveva
bisogno
di
maggiore
stabilità
sociale
e
soprattutto
di
sapere
di
quante
milizie
poteva
disporre
nel
futuro
prossimo.
Diocleziano
(284-305),
dal
IV
secolo
avviò
l’ultima
riforma
del
mondo
romano
allo
scopo
di
un
rigido
controllo
dello
Stato
su
tutte
le
articolazioni
della
società,
per
frenare
l’abbandono
dalle
campagne
e
per
controllare
il
gettito
delle
imposte.
Inoltre
proibì,
con
il colonato
servile,
ogni
forma
di
mobilità
al
popolo
Romano.
I
figli
dei
Romani
erano
obbligati
a
esercitare
il
lavoro
dei
padri,
quindi
i
contadini
erano
vincolati
ereditariamente
alla
terra;
anche
gli
artigiani
e i
commercianti
erano
legati
al
lavoro
dei
padri
e,
soprattutto
i
figli
dei
veterani,
dovevano
prestare
il
medesimo
servizio
di
leva
dei
padri.
La
legge
però
non
ottenne
l’effetto
sperato.
Con
il colonato
servile non
si
fece
altro
che
costringere
i
Romani
a
lavori
che
non
volevano
fare,
ed
era
comunque
una
legge
fuori
dal
controllo
statale
quindi
non
sempre
fu
rispettata.
Le
istituzioni,
dal
canto
loro,
attivarono
un
certo
dirigismo
politico
per
cercare
di
far
sopravvivere
l’istituzione
dello
Stato
ormai
tenuta
in
piedi
faticosamente,
come
accadeva
nell’Impero
nel
IV e
V
secolo.
Il
Senato
era
sempre
stato
in
mano
ai
senatori,
ma
ora
le
cose
stavano
cambiando,
perché
si
stava
affacciando
sul
panorama
politico
del
tempo
un
nuovo
ceto,
quello
della
cavalleria.
Iniziò
così
una
dura
lotta
per
il
potere,
che
non
cambiò
la
forma
del
sistema
ma
permise
comunque
al
ceto
equestre
di
inserirsi
poco
alla
volta
dentro
al
Senato,
finché
non
riuscì
a
controllarlo
e a
produrre
un
ricambio
generazionale,
che
portò
a
una
graduale
dissoluzione
di
entrambi
i
ceti.
Si
creò
quindi
un
ceto
autonomo
con
notevoli
poteri,
che
si
affiancava
sempre
più
alla
figura
dell’imperatore
attraverso
il
controllo
del
Senato.
Si
tentò
così
di
ridurre
i
poteri
del
nuovo
ceto,
ma
questo
riuscì
a
sconfiggere
lo
Stato
dal
punto
di
vista
politico
ed
economico.
I
provvedimenti
di
Diocleziano
avrebbero
dovuto
colpire
i
più
ricchi,
ma
nella
pratica
finirono
per
ripercuotersi
sui
più
poveri,
infatti
i
tributi
non
furono
assoggettati
al
criterio
della
proporzionalità,
bensì
della
totale
uguaglianza.
Tutti
i
cittadini
pagavano
le
stesse
tasse.
Così
i
ricchi
proprietari
terrieri
assoggettavano
i
più
poveri,
che
volevano
sfuggire
alla
pressione
dei
tributi,
assorbendoli
nelle
loro
proprietà.
I
più
poveri
si
facevano
pagare
i
tributi
dai
proprietari
terrieri,
annoverandosi
il
diritto
di
averli
alle
loro
dipendenze.
Venne
a
crearsi
un
ceto
di
possidenti
economicamente
forte,
più
dello
Stato
stesso,
che
si
organizzò
in
latifondi
molto
vasti
creatisi
col
continuo
assorbimento
di
terre.
In
questo
modo
non
solo
lo
Stato
perse
potere
di
fronte
ai
ricchi
proprietari
terrieri,
ma
le
sue
riforme
non
fecero
altro
che
allargare
la
forbice
tra
molto
poveri
e
molto
ricchi.
La
crisi
economica
ebbe
risvolti
sul
mondo
europeo,
anche
dopo
la
caduta
dell’Impero.
È
stato
dimostrato
che
sui
territori
di
quello
che
fu
l’Impero
e
anche
nei
paesi
che
in
passato
avevano
rapporti
commerciali
con
esso,
nel
periodo
che
va
dal
VI
al
XI
secolo,
vi
fu
un
predominio
dell’economia
naturale
nei
confronti
di
quella
monetaria,
che
comunque
non
scomparve
del
tutto.
Parliamo
di
un
predominio
e
non
di
un
ritorno
all’economia
naturale,
infatti
essa
fu
solamente
più
sviluppata
di
quella
monetaria.
Se
si
fosse
veramente
tornati
a
un’economia
naturale,
avremmo
potuto
osservare
due
condizioni:
la
comparsa
di
grandi
latifondi
che
potessero
autonomamente
sostenere
i
bisogni
degli
occupanti
e
una
svalutazione
monetaria
talmente
elevata
da
far
preferire
il
baratto,
ma
in
realtà
la
seconda
non
fu
soddisfatta
e la
prima
lo
fu
solo
in
parte.
Sebbene
quando
si
parla
di
economia
medievale
si
intende
un’economia
autosufficiente,
tuttavia
non
vi
fu
un’adeguata
integrazione
dei
prodotti
mancanti
nei
vasti
possedimenti
dei
grandi
proprietari
terrieri.
La
seconda
condizione
non
si
verificò
perché,
nonostante
la
moneta
si
utilizzasse
in
prevalenza
nei
paesi
esterni
a
quelli
che
un
tempo
facevano
parte
dell’Impero,
in
Italia
avvenne
comunque
una
coniazione
di
monete
d’argento
di
piccolo
taglio
sotto
il
dominio
di
Carlo
Magno;
e
con
l’avvento
dell’XI
secolo
ci
fu
una
grande
ripresa
economica,
che
toccò
l’apogeo
nel
periodo
delle
crociate.
Crisi
religiosa
Costantino,
accogliendo
la
religione
cristiana
per
rinsaldare
l’Impero,
in
realtà
lo
destabilizzò,
ottenendo
l’esito
opposto
a
quello
sperato.
La
pericolosità
del
cristianesimo
stava
nella
distinzione
tra
Stato
e
Chiesa.
Se
in
precedenza,
con
la
religione
pagana,
l’imperatore
rappresentava
sia
la
figura
politica
sia
la
figura
religiosa
di
riferimento
e il
potere
era
tutto
nelle
sue
mani,
ora
con
l’accettazione
del
cristianesimo,
gli
aspetti
politici
e
religiosi
vennero
divisi.
La
Chiesa
sembrava
voler
prendere
le
distanze
dalla
funzione
politica,
ma
in
realtà
finiva
per
diventare
essa
stessa
un
elemento
politico,
ponendosi
non
come
un
potere
complementare
a
quello
dell’imperatore,
ma
alternativo.
Inoltre,
scomparve
la
tolleranza
delle
antiche
leggi
imperiali.
Il
cristianesimo
è
una
religione
che
non
accetta
altre
culture,
e
questo
comportò
continui
contrasti
ogni
volta
che
l’Impero
incontrava
popolazioni
di
cultura
diversa
dalla
propria;
infatti,
la
crisi
religiosa
si
farà
sentire
soprattutto
con
l’insediamento
dei
Barbari,
che
portarono
le
loro
religioni,
i
loro
costumi
e le
loro
tradizioni.
Solo
con
Teodorico
queste
culture
potranno
convivere,
anche
se
sarà
una
coesistenza
di
scarso
valore
umano
in
quanto
le
due
popolazioni,
quella
Romana
e
quella
Barbara,
verranno
separate,
riducendo
al
minimo
le
interazioni
reciproche.
Un
fatto
che
spiega
bene
questa
situazione
riguarda
una
lettera
inviata
nel
591
da
Severo,
capo
di
una
confraternita
favorevole
al
Nestorianesimo,
all’imperatore
Maurizio.
Severo
chiede
a
Maurizio
di
intervenire
per
evitare
che
la
confraternita
debba
disconoscere
la
propria
confessione
ed
essere
costretta
ad
aderire
a
una
confessione
imposta
da
Papa
Gregorio
Gli
scismatici
di
Severo
non
vogliono
essere
indotti
con
le
armi
a
comparire
davanti
al
Papa
e
per
questo
scrivono
a
Maurizio,
non
per
esporre
le
loro
ragioni
davanti
alla
scelta
del
pontefice,
ma
per
farlo
solo
in
un
momento
in
cui
le
leggi
stabilissero
che
il
giudice
non
avrebbe
potuto
essere
colui
che
era
anche
parte
in
causa.
E
questo
poteva
avvenire
solo
auspicando
una
vittoria
dei
Bizantini
sui
Longobardi,
che
avrebbe
consentito
un
ritorno
delle
antiche
leggi
dell’Impero
e
quindi
della
tolleranza.
I Barbari
Il
confine
tra
il
mondo
romano
e
quello
barbarico
– il
limes
–
negli
ultimi
secoli,
veniva
identificato
tra
il
corso
del
Reno
e
quello
del
Danubio.
La
convivenza
fra
Romani
e
Barbari
per
lungo
tempo
si
era
potuta
bilanciare
tra
la
difesa
rigida
delle
frontiere
e
l’accettazione
di
un’immigrazione
moderata.
Spinte
migratorie
da
nord
erano
sempre
state
la
norma,
fin
dai
tempi
più
antichi,
provocando
un
lento
ma
inesorabile
assorbimento
nel
tessuto
romano.
Lo
scontro
tra
la
civiltà
romana
e i
mondi
barbarici
si
giocò
meno
di
quanto
si
creda
nelle
armi
e
nei
saccheggi
e
molto
di
più
nel
confronto
tra
individui
diversi
tra
loro,
che
piano
piano
finì
per
intaccare
il
vecchio
mondo,
mentre
poneva
le
premesse
per
la
formazione
di
quello
nuovo.
Queste
popolazioni
furono
chiamate
dalla
cultura
greca
e
latina
«Barbari»,
termine
che
originariamente
significava
«stranieri»
e
che
solo
con
il
tempo
ha
assunto
la
connotazione
negativa
di
«incivile».
Per
lungo
tempo
si
era
mantenuto
l’equilibrio
tra
Romani
e
Barbari.
La
frontiera
del
Reno,
più
che
la
linea
di
demarcazione
per
separare
due
mondi
tanto
diversi,
costituì
il
perno
per
una
lenta
fusione
di
popoli.
Solamente
il
crescere
delle
pressioni
sui
confini
da
parte
di
popolazioni
spinte,
a
loro
volta,
dalle
potenti
ondate
migratorie
cominciate
secoli
prima
(tra
il
III
e il
V
secolo)
dall’Est
e
dal
Nord,
aveva
annullato
le
possibilità
di
convivenza
e di
integrazione,
e
portato
i
rapporti
sul
piano
della
diffidenza
e
dello
scontro
attraverso
una
serie
di
incursioni
in
profondità.
Le cause della caduta
Oggi
si
ritiene
che
le
cause
della
caduta
dell’Impero
romano
in
Occidente
vadano
ricercate
sia
all’interno
(alle
istituzioni,
alla
religione,
all’economia),
sia
all’esterno
(alle
migrazioni
dei
popoli
germanici).
Più
che
la
causa,
le
invasioni
barbariche
furono
quell’elemento
che
portò
allo
scoperto
le
debolezze
del
sistema
romano,
presenti
già
da
molto
tempo.
Ormai
gli
storici
tendono
a
ridimensionare
anche
il
peso
del
cristianesimo,
identificando
quattro
cause
primarie:
-
l’inadeguatezza
della
produzione
agricola,
ancora
principalmente
basata
sul
sistema
schiavista;
- la
progressiva
decadenza
dei
mestieri
urbani,
causata
dalla
rigida
organizzazione
della
produzione
artigianale,
che
rendeva
le
associazioni
di
mestiere
(collegia)
dei
corpi
chiusi,
controllati
dallo
Stato;
- la
perenne
situazione
di
pericolo
causata
da
un
continuo
stato
di
guerra,
che
influenzava
negativamente
il
commercio;
- la
pressione
fiscale
per
sostenere
le
spese
delle
continue
guerre,
sia
quelle
esterne,
verso
i
nemici,
sia
quelle
interne,
tra
i
capi
militari.
Di
fronte
a
una
situazione
di
perenne
pericolo,
alle
migrazioni,
a un
calo
dei
profitti
commerciali
e
alle
malattie,
le
città,
che
avevano
rappresentato
il
fulcro
della
struttura
organizzativa
romana,
si
spopolarono.
E
furono
proprio
i
membri
dell’aristocrazia
terriera
romana
ad
abbandonarle
per
primi,
spostando
le
loro
residenze
in
campagna.
Nel
V
secolo,
le
campagne
in
difficoltà,
la
crisi
della
produzione
urbana,
la
difficoltà
di
approvvigionamento
dall’esterno
e la
caduta
delle
entrate
fiscali
portarono
alla
fine.