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N. 19 - Dicembre 2006

CRISI DIPLOMATICA TRA GEORGIA E RUSSIA

Un bilancio

di Leila Tavi

 

Le relazioni bilaterali tra Georgia e Russia continuano a essere tese nonostante l’incontro a Mosca tra il Ministro degli esteri georgiano Gela Bezhuashvili e il suo collega russo Sergey Lavrov del 1. novembre scorso, all’interno del summit della BSEC, l’Organizzazione per la cooperazione economica del Mar Nero.

 

Bezhuashvili, insieme al connazionale Merab Antadze, Ministro per la risoluzione dei conflitti, ha dovuto recarsi a Mosca passando per Baku, a causa della chiusura delle frontiere con la Georgia voluta dal governo russo.

 

Ogni via diretta di comunicazione via terra, via mare e via etere, tra la Georgia e la Russia è stata sospesa da quest’ultima, inclusi il servizio postale e la posta elettronica, dopo l’arresto di quattro ufficiali russi in territorio georgiano con l’accusa di spionaggio.

 

I quattro militari sono stati rilasciati dopo una trattativa mediata dall’OSCE, ma le sanzioni economiche nei confronti della Georgia, per altro di qualche mese precedenti al caso delle spie russe, non sono state revocate.

 

Il blocco delle importazioni dalla Georgia di vino, acqua minerale e cereali, i prodotti più esportati, dichiarati non conformi alle norme igieniche vigenti in Russia, hanno danneggiato non solo la Georgia, la cui popolazione vive per il 25% sotto la soglia della povertà, ma altri paesi del Caucaso meridionale, come l’Armenia.

 

Il Ministro degli esteri armeno Vardan Oskanian ha dichiarato in occasione del summit BSEC che l’embargo economico della Russia nei confronti della Georgia ha significato perdite ingenti anche per gli altri paesi del Caucaso, costretti a pagare le merci georgiane di più a causa delle maggiorazioni richieste dai vettori per le deviazioni dovute alla chiusura delle frontiere russe.

 

Il direttore della Banca nazionale georgiana, Roman Gotsiridze, ha dichiarato che l’embargo costerà alla Georgia un rallentamento della crescita economica dello 0,5-1%.

 

Le ferrovie russe, RZD, hanno altresì dichiarato che non acquisteranno in futuro pezzi di ricambio per locomotive e vagoni dalla Georgia, il maggiore fornitore fino alla crisi del settembre scorso.

 

La RZD ha annullato in ottobre un ordine per 100 milioni di rubli, circa 3,75 milioni di US dollari.

 

Alexandr Neradko, a capo dell’Agenzia federale russa per i Trasporti aerei, ha dichiarato, sempre agli inizi di ottobre, che il blocco dei trasporti aerei tra i due paesi non cesserà fino a che la Georgia non estinguerà un debito di 3, 6 milioni di US dollari che le compagnie aeree georgiane hanno accumulato fino ad oggi.

 

La georgiana Sakaeronavigatsia ha smentito in più occasioni Neradko, anzi il Parlamento georgiano ha sottolineato come, in rispetto degli accordi bilaterali del 1994, gli aeri russi ancora sorvolano la Georgia e possono atterrare negli aeroporti.

 

Secondo il vice Ministro degli esteri georgiano Nikoloz Natbiladze la Russia starebbe utilizzando una pressione di tipo economico per assicurarsi delle vittorie politiche.

 

Certamente Natbiladze ha voluto alludere alla difficile situazione nelle regioni separatiste dell’Abkhasia e dell’Ossezia del sud, dove nel mese scorso si è svolto un referendum a cui ha partecipato il  95% degli aventi diritto, di cui il 99% ha votato in favore dell’indipendenza dell’Ossezia del sud dalla Georgia.

 

I sudosseti hanno votato anche per il presidente, che è risultato essere con il 96% dei voti il separatista Eduard Kokoiti.

 

I risultati del referendum e delle elezioni presidenziali non sono stati riconosciuti né da Tbilisi, né dalla comunità internazionale.

 

La Georgia continua a dichiararsi pronta al dialogo con la Russia anche sulla questione delle autonomie, a patto che non venga menomata la sua sovranità nazionale e non vengano modificati i suoi confini.

 

Bezhuashvili in una recente intervista ha dichiarato che la Georgia è pronta a negoziare sullo statuto dell’Ossezia del sud, ma inspirandosi al modello europeo di statuto politico e mantenendo l’integrità dei confini nazionali.

 

Bisognava aspettarsi che la Georgia sarebbe andata a chiedere il sostegno all’UE; con la rivoluzione delle rose del 2003, ideata dall’attuale presidente Mikhail Saakashvili e finanziata dagli USA, la Georgia è diventata un alleato delle istituzioni euroatlantiche.

 

Il 14 novembre scorso Mikhail Saakashvili ha tenuto un discorso davanti al Parlamento di Strasburgo ricevendo molti consensi.

 

Il Presidente georgiano ha dichiarato che il suo paese sta facendo enormi sforzi per diventare un paese democratico, per combattere la corruzione, riformare il sistema giudiziario, applicare politiche sociali efficaci.

 

Una possibile candidatura della Georgia a stato membro dell’UE è visto dalle istituzioni europee come un obiettivo a lungo termine, ma possibile.

 

La collaborazione tra Georgia e UE prevede la firma di un piano d’azione nell’ambito della Politica europea di vicinato, come è stato ricordato durante l’incontro tra Bezhuashvili e il Ministro degli esteri francese M. Philippe Douste-Blazy il 7 novembre a Parigi.

 

I rapporti commerciali tra la Francia e la Georgia sono vivi e gli imprenditori francesi guardano al mercato georgiano con interesse.

 

La Société Générale ha recentemente acquistato il 60% del capitale di una delle principali banche georgiane.

 

Ma la situazione interna non cambia, tensione e violenza caratterizzano ancora i rapporti tra la Georgia e le province separatiste, con Russia e USA a muovere i fili, come nella migliore tradizione delle politica degli equilibri ai tempi della guerra fredda.

 

Il presidente russo Vladimir Putin ha messo in guardia agli inizi di ottobre il suo collega George W. Bush da qualsiasi tentativo di paesi terzi di assecondare quella che Putin ha chiamato la “politica distruttiva” di Tbilisi.

 

Dalla parte dei separatisti, in guerra ormai da più di dieci anni con la Georgia, la Russia prosegue le sue operazioni di peacekeeping nei territori contesi, mentre la Georgia vorrebbe che fossero gli organismi internazionali a inviare contingenti di pace in Abkhasia e Ossezia del sud.

 

Ci sono, inoltre, ancora due basi militari russe sul territorio georgiano, mai smantellate dopo il crollo dell’Unione sovietica. Le basi dovrebbero essere sgomberate per la fine del 2008, ma la tensione tra i due paesi rischia di far fallire l’operazione.

 

A detta dei vertici dell’esercito russo solo il 10% delle richieste, ovvero 9 su 88, fatte alla Georgia per il transito dei soldati e dei mezzi è stato accettato da quest’ultima attraverso un accordo bilaterale firmato a Sochi a marzo del 2006.

 

L’accordo di Sochi permette alla Russia il transito su suolo georgiano per il collegamento con la base militare 102 di Gyumri, a 120 km. da Yerevan, la capitale dell’Armenia.

 

Questa base dipende dal gruppo di forze stazionate nel Caucaso del sud ed è equipaggiata con S-300 (SA- 10 Grumble) sistemi aerei di difesa, MiG-29 Fulcrum e 5.000 unità di personale.

 

Secondo l’accordo del 2006 la Russia dovrà ritirarsi dalla città di Akhalkalaki, nel sud della Georgia, entro il 1. ottobre del 2007, ma il termine ultimo potrebbe essere posticipato alla fine di dicembre 2007; il ritiro da Bitumi, nell’ovest della Georgia, dovrà essere completato per la fine del 2008.

 

Il vice premier russo Sergey Ivanov ha recentemente rilasciato un’intervista per l’emittente Rossiya in cui ha detto che la Russia non ha nessuna intenzione di annettere i territori contesi e che la presenza dei peacekeeper russi in Ossezia del sud è determinato dall’instabilità della zona.

 

Queste le parole di Ivanov: “Se la Georgia lancia un’azione militare contro i nostri peacekeeper e i cittadini in Ossezia del sud e in Abkhsia, se inizierà una campagna di genocidio e pulizie etniche, la Russia non ignorerà tali azioni.”.

 

Ancora la parole di Putin a riguardo: “Non è tra i nostri piani espanderci. Dopo il crollo dell’URSS, la Russia resta il più grande [paese], abbiamo abbastanza territori, ma non possiamo tollerare spargimenti di sangue nella regione.”.

 

Il 13 ottobre il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha adottato una risoluzione sull’Abkhasia richiamando la Georgia ad astenersi da “azioni provocative” nella regione e ha prolungato il mandato per le operazioni di peacekeeping dei russi.

 

Putin ha richiamato il principio dell’autodeterminazione per risolvere la questione delle regioni separatiste e ha sottolineato come lo status del Kosovo possa rappresentare un precedente per l’Abkhasia e l’Ossezia del sud.

 

Condoleezza Rice si è recata a Mosca il 21 ottobre per discutere con Lavros della questione, ma non si è raggiunto nessun significativo accordo.

 

Putin non tollera ricatti; durante un incontro con i deputati più anziani della Duma nel mese di ottobre ha dichiarato: “Non raccomanderei a nessun di usare termini provocatori e ricatti nei confronti della Russia”.

 

Dalla fine di ottobre sono iniziati i lavori in Ossezia del nord per la costruzione di un gasdotto di 163 km. che dovrebbe attraversare anche l’Ossezia del sud; i lavori sono iniziati senza un preventivo accordo con la Georgia.

 

In Russia nel frattempo è iniziata una vera e propria caccia al georgiano.

 

Vyacheslav Volodin, un deputato della Duma ha recentemente dichiarato che dei 300.000 georgiani residenti in Russia solo lo 0,7% avrebbe permessi di soggiorno validi.

 

In un secondo comunicato della Ria Novisti è stato precisato che la stima circa il numero dei georgiani su territorio russo arriverebbe addirittura a un milione, di cui 300.000 sarebbero illegali.

 

La Banca centrale russa ha reso noto uno studio in cui si dimostra che le rimesse dei lavoratori georgiani che vivono in Russia corrisponderebbero a circa il 4% del PIL della Georgia.

 

Inoltre i georgiani emigrati in Russia sono tacciati per la maggior parte di avere collusioni con la mafia e di gestire traffici di droga e di riciclaggio di denaro sporco.

 

In Russia è iniziata per i georgiani una vera e propria diaspora; nelle scuole di Mosca sono stati fatti dei controlli accurati sui cognomi degli alunni per cercare di capire l’origine e, nel caso di ragazzi georgiani, si è indagato sulla famiglia.

 

Sono stati sospesi tutti i visti in entrata dalla Georgia e sono stati espulse dall’inizio della crisi circa duecento persone di nazionalità georgiana.

 

Cinquanta arresti nella città di San Pietroburgo negli ultimi giorni; un uomo colto da malore all’aeroporto di Domodedovo è morto dopo essere stato interrogato e incarcerato per giorni dalla polizia russa.

 

La Russia ha fatto rimpatriare diplomatici e connazionali dalla Georgia per paura di ritorsioni.

 

Ma è quando dalla politica si passa alla sfera culturale che comincia a insidiarsi il pericolo della xenofobia, della persecuzione a carattere razziale.

 

Il Cremlino si è subito preoccupato di cancellare l’ArtGruz,festival d’arte contemporanea georgiana, e di sciogliere la Società dei Georgiani in Russia, che conta 350.000 iscritti in 35 regioni.

 

Il 20 ottobre nella Galleria Gelman a Mosca, sulla Malaya Polyanka, ha fatto irruzione una decina di uomini con paramenti militari che ha picchiato il titolare Marat Gelman e alcuni impiegati, distruggendo poi venti dipinti dell’artista georgiano Alexandr Dzhikia.

 

Anche in Georgia l’atteggiamento verso i Russi è ostile: molte conferenze scientifiche, molti festival e molte esposizioni sono stati annullati.

 

Il gap politico ha congelato i rapporti culturali tra i due paesi.

 

Lo scrittore di origine georgiana Boris Akunin vive da quarant’anni a Mosca e ha le idee molto chiare sulla crisi politica tra i due paesi: “Non si tratta solo dei rapporti russo-georgiani. Piuttosto del destino della società russa. Lo dico senza esagerazione. Riuscirà il nostro paese a debellare il virus del nazionalismo? Questo conflitto lascerà nella società russa delle ferite profonde. E´evidente che la popolarità di Putin tra la gente si basa su una campagna contro gli stranieri. I nazionalisti vedono Putin come il loro capo spirituale. Se Putin non prenderà le distanze da certe simpatie, allora sarà a tutti chiaro, che la politica dell’attuale regime si basa sul nazionalismo russo.”

 

Vogliamo chiudere questo articolo con le parole di un altro poeta georgiano vissuto e morto a Mosca, Bulat Okudzhava: “Non chiudere la porta, lasciala sempre aperta”.

 

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