N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
Risposte alla crisi del `29
Parte I - Gli stati democratici
di Laura Ballerini
La
crisi
del
`29
fu
una
crisi
dei
mercati
reali,
causata
dalla
sovrapproduzione
del
mercato
nazionale
americano
(in
particolare
il
settore
agricolo)
e
dal
sovraffollamento
di
quelli
internazionali,
determinando
poi
la
crisi
della
finanza
e il
fenomeno
della
deflazione.
Origini
della
crisi:
durante
la
prima
guerra
mondiale
i
tradizionali
esportatori
(gli
stati
occidentali)
iniziarono
ad
acquistare
le
materie
prime
dai
nuovi
esportatori
(stati
latinoamericani),
per
poi
riaffacciarsi
gradualmente
sul
mercato
al
finire
del
conflitto
(`19 -`25).
Quando
gli
i
tradizionali
esportatori,
prima
coinvolti
nella
guerra,
si
ripresero
del
tutto,
i
mercati
internazionali
si sovraffollarono.
Contemporaneamente
negli
Stati
Uniti
erano
in
corso
i
“ruggenti
anni
20”.
I
produttori
agricoli,
forti
dei
finanziamenti
bancari,
aumentavano
in
numero
e
mantenevano
costante
la
loro
produzione
per
mantenersi
competitivi,
nonostante
la
domanda
scendesse
ogni
anno
di
più.
Con
una
tale
sovrapproduzione
nel
mercato
americano
la
domanda
crollò,
i
produttori
agricoli
fallirono
e
non
riuscirono
più
a
pagare
il
loro
debito
con
le
banche,
che
perdevano
così
la
capacità
di
finanziare
altri
produttori
agricoli,
ma,
soprattutto,
non
potevano
più
dare
credito
alle
industrie.
Le
banche,
sull’orlo
del
fallimento,
vendettero
tutte
le
azioni
delle
industrie
che
avevano
acquistato
in
borsa,
provocando
un
crollo
vertiginoso
dei
prezzi
e il
famoso
giovedì
nero
del
4
ottobre
1929:
crollò
1/5
delle
banche
americane,
e la
più
grave
conseguenza
della
crisi
fu
il
forte
indebitamento
di
imprenditori
e
privati
cittadini.
La
sovrapproduzione
del
mercato
determinò
quindi
la
crisi
delle
banche,
che
erano
legate
a
doppio
filo
con
le
industrie
tramite
finanziamenti
e la
compravendita
di
azioni
in
borsa:
fallirono
dunque
anche
industrie
e
finanza,
crollò
l’intero
sistema.
Gli
Stati
Uniti,
pertanto,
dovettero
interrompere
i
prestiti
ai
paesi
europei
e i
rapporti
commerciali
con
il
Giappone,
coinvolgendoli
tutti
nella
crisi.
In
Europa
questo
comportò
la
fine
della
convertibilità
delle
monete
in
oro
e
l’innalzamento
delle
barriere
doganali.
Risposte
alla
crisi:
nell’analizzare
le
risposte
dei
paesi
alla
crisi,
si
rende
evidente
che
i
regimi
totalitari
ne
uscirono
prima,
poiché
azzittirono
quelle
inevitabili
proteste
dell’una
o
dell’altra
classe,
che
affossarono
invece
i
piani
di
ripresa
delle
democrazie.
Negli
USA,
salì
alla
Casa
Bianca
nel
`33 F.D.
Roosevelt,
che
inaugurò
una
stagione
di
intervento
statale
nell’economia,
per
combattere
il
crollo
dei
prezzi,
la
disoccupazione
e
fornire
crediti
agevolati
(una
delle
più
grandi
piaghe
della
crisi,
infatti,
fu
l’indebitamento).
Roosevelt
finanziò
opere
pubbliche,
come
nella
valle
del
Tennessee
(TVA)
e
tassò
le
classi
più
abbienti.
Nel
`33
propose
l’Agricoltural
Adjustament
Act
(A.A.A):
un
piano
di
incentivi
per
i
produttori
agricoli
affinché
limitassero
la
produzione.
La
proposta
venne
varata
come
incostituzionale
dalla
Corte
suprema,
poiché
definita
in
violazione
dello
Sherman
Act
(legge
anti-trust)
del
1897.
La
commissione
Roosevelt
la
ripropose
allora
nel
`36
con
un
escamotage.
La
costituzione
americana,
infatti,
prevedeva
che
lo
stato
tutelasse
i
territori
americani
tesaurizzandoli.
Procedette
in
questo
modo
a
limitare
i
territori
per
le
colture:
ma i
produttori,
con
minor
terra
a
disposizione,
investirono
lo
stesso
capitale
ottenendo
più
o
meno
le
stesse
rese.
Roosevelt
si
concentrò
allora
sulle
industrie
con
la
National
Industry
Recovery
Act
(NIRA),
che
consisteva
nella
creazione
di
codici
di
autoregolamentazione,
ovvero
di
discussioni
tra
sindacati
e
imprenditori
per
combattere
la
caduta
dei
prezzi
e la
disoccupazione.
L’obbiettivo
infatti
era
quello
di
uscire
dal
circolo
vizioso
per
cui
la
disoccupazione
e i
pochi
salari
comportassero
bassi
consumi,
quindi
minori
profitti,
minore
produzione,e
di
nuovo
minore
occupazione.
Roosevelt
istituì
inoltre
tre
agenzie
di
credito
agevolato
quali:
la
Farm
Credit
Administration
per
i
piccoli
proprietari
agricoli,
la
Reconstruction
Finance
Corporation
per
le
imprese
indebitate
e la
Home
Owners
Loane
Corporation
per
i
proprietari
di
case.
Questo
nuovo
piano
inaugurato
dal
presidente,
noto
come
New
Deal
(termine
pokeristico
per
“nuovo
giro
di
carte”)
ebbe
risultati
modesti
ma
riuscì
a
fermare
la
crisi
e a
evitare
che
si
aggravasse.
Invertì
quindi
la
tendenza
degli
USA,
dalla
recessione
verso
una
lenta
ripresa.
Nel
1933
i
disoccupati
raggiunsero
i 15
milioni,
mentre
nel
`37
si
ridussero
a 7
e
dal
`33
al
`39
il
PIL
recuperò
¼ di
quello
precedente
la
crisi.
Alcuni
studiosi
si
sono
chiesti
se
le
manovre
messe
in
atto
dal
New
Deal
possano
essere
considerate
una
prima
forma
di
Welfare
State,
concludendo
che
però
manca
l’elemento
fondamentale
della
gratuità.
In
Francia
nel
1936
vinse
il
Fronte
Popolare
delle
sinistre
guidato
da
Leon
Blum.
Quest’ultimo
decise
di
contrastare
la
crisi
modificando
l’orario
di
lavoro.
Negli
anni
`30
del
`800
l’orario
lavorativo
prevedeva
dalle
12
alle
14
ore
al
giorno
(circa
72 a
settimana).
Verso
la
fine
dell’800
le
ore
scesero
a
circa
10
al
giorno
(60
a
settimana),
alle
soglie
della
crisi
i
lavoratori
prestavano
un
servizio
di
circa
8
ore
al
giorno
(48
a
settimana).
Blum
decise
di
intervenire
riducendo
l’orario
lavorativo
a 40
ore
settimanali
mantenendo
la
stessa
retribuzione
(grande
differenza
con
gli
altri
paesi
che
invece
riducevano
anche
il
salario).
In
questo
modo
la
retribuzione
a
ora
si
alzava
e
gli
imprenditori
erano
costretti
ad
assumere
di
più
per
mantenere
la
stessa
produzione.
Pertanto
Blum
faceva
crescere
l’occupazione
e il
potere
d’acquisto
degli
operai,
che
avevano
così
più
tempo
libero
ma
la
stessa
paga.
Questa
misura
venne
chiamata
“Esperimento
Blum”.
I
lavoratori
erano
spinti
a
spendere
tempo
e
paga
in
più
in
beni
e
servizi
per
contribuire
al
circolo
dell’economia,
gli
industriali
venivano
coinvolti
nella
politica
del
lavoro
offrendo
occupazione
e
inoltre
si
evitava
la
svalutazione
del
marco
e il
crollo
dei
prezzi.
Nel
1937
venne
raggiunta
la
piena
occupazione.
Quest’ultima,
tuttavia,
non
significò
il
ritorno
ai
livelli
produttivi
precedenti
al
`29;
l’opposizione
e la
sfiducia
degli
imprenditori,
infatti,
era
troppo
grande
e
non
permise
la
piena
riuscita
dell’Esperimento
Blum.
Il
governo
crollò
nel
`38
e
l’esecutivo
successivo
abolì
queste
leggi
sul
lavoro.
Il
New
Deal
e
l’Esperimento
Blum
sono
dunque
due
esempi
di
risposte
alla
crisi
portate
avanti
in
un
contesto
democratico,
ma
che
furono
ostacolate
dalle
classi
sociali
che
ne
venivano
sfavorite.
Diversamente
avvenne
nei
regimi
totalitari.