[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

186 / GIUGNO 2023 (CCXVII)


contemporanea

A PROPOSITO DI CRIMEA
BREVE Storia di una penisola contesa

di Francesco Biscardi

 

La Crimea è assurta agli onori della cronaca in tempi recenti per via delle intricate e nefaste vicende del conflitto russo-ucraino: lo scorso ottobre 2022 è stato fatto parzialmente esplodere il ponte di Kerch, collegante la penisola alla terraferma russa, mentre nel giugno 2023 è stata distrutta la diga di Nova Khakovka, fondamentale impianto per il rifornimento di acqua a questa terra. Per avere un quadro più lineare dell’attualità, è utile ripercorrere come la Crimea sia stata al centro di importanti eventi bellici e diplomatici dell’Età tardo moderna e contemporanea tutt’altro che marginali.

 

La sua storia “russa” iniziò a fine Settecento: venne strappata nel 1783 da Caterina II “la Grande” ai Tatari, vassalli dell’Impero Ottomano, contro cui infuriava la guerra. Nella fattispecie la zarina ne aveva chiesto l’indipendenza già nella decade precedente e, proprio in quella circostanza, si levarono le voci di Austria e Prussia che reclamarono adeguati “compensi” in caso di ingrandimento russo, procedendo così insieme alla “prima spartizione” della Polonia (1772).

 

Intimorita per l’espansionismo zarista, la Svezia pressò il sultano affinché riprendesse la guerra, cosa che puntualmente avvenne. Le armate di Caterina ebbero la meglio: nel 1774 attraversarono il Danubio e penetrarono in terra ottomana. Solo i disordini scoppiati in patria (con la violenta rivolta di Pugačëv) indussero i russi ad addivenire alla pace di Kuciuk Kajnary, che sancì formalmente l’indipendenza della Crimea, relegandola a protettorato di Mosca. Nel 1783, a seguito di un riacutizzarsi delle ostilità, la Russia procedette unilateralmente all’annessione della penisola, confermata nove anni dopo dal Trattato di Jassy, con il quale i confini russi arrivarono a inglobare il litorale del Mar Nero fra le foci del Dnestr e del Bug.

 

Questa serie di sconfitte fu prodromo del grande declino dell’Impero Ottomano che continuò inesorabile fino alla Prima Guerra Mondiale: in continuo rischio disgregazione, da “Sublime Porta” passò sempre più a essere etichettato come “malato d’Europa” presso le Cancellerie occidentali. Nel 1815 la Serbia realizzò una pressoché totale autonomia, seguita dalla Grecia, indipendente dal 1829 grazie al fondamentale apporto di Francia, Regno Unito e Russia. Dopodiché, in seguito a un’ulteriore crisi scoppiata nel 1839 con il governatore d’Egitto, Mehemed Alì, su iniziativa britannica fu convocata una Convenzione degli Stretti per regolare la navigazione fra Mediterraneo e Mar Nero. In questa circostanza si decise di vietare il passaggio di navi da guerra straniere attraverso il Bosforo e i Dardanelli, il che risultava essere dannoso per le aspirazioni mediterranee dello zar Nicola I, pronto a rialzare la voce.

 

D’altronde l’occasione per riprendere le ostilità aveva già cominciato a presentarsi in Terra Santa, riguardo alla problematica della cogestione dei santuari da parte delle diverse confessioni cristiane. Nel 1808 l’incendio della vecchia edicola del Santo Sepolcro spinse gli ortodossi a chiedere e ottenere dagli Ottomani concessioni per la sua ricostruzione, approfittando della latitanza del governo francese, tradizionalmente protettore dei cristiani in Terrasanta. Nelle decadi seguenti (anche se in realtà già da qualche secolo) i cattolici subirono spoliazioni e menomazioni di diritti da parte del sultano, che preferì trasferire le loro vecchie prerogative alle comunità ebraiche e ortodosse. Ne fu in particolare danneggiato l’Ordine Francescano, da tempo esercitante in questi luoghi il proprio magistero religioso e assistenziale.

 

Nel 1850, Francia, Austria, Belgio, Spagna e Regno di Sardegna chiesero al sovrano d’Istanbul, Abd al-Madjid, un accordo per il reintegro dei Padri Francescani nelle loro tradizionali funzioni, mentre Nicola I non esitò a inviargli una lettera dove lo invitava a rispettare il culto ortodosso a Gerusalemme, a rischio degenerazione per ingerenze cattoliche. Il governo turco non seppe risolvere la faccenda, provocando una crisi diplomatica: la Francia minacciò di inviare la propria flotta, mentre la Russia consegnò un ultimatum affinché si riconoscesse allo zar il ruolo di protettore di tutti i sudditi ortodossi della Sublime Porta.

 

Era in realtà in gioco qualcosa di più grande di una disputa religiosa: il controllo degli stretti e l’accesso russo al Mediterraneo. Forte dell’appoggio franco-inglese (aventi tutto l’interesse a scongiurare un ampliamento dell’influenza russa in Europa), il sultano dichiarò guerra allo zar nell’ottobre 1853. Inizialmente la vittoria sembrava arridere a quest’ultimo, che sconfisse la flotta ottomana a Sinope e procedette all’annessione dei principati di Valacchia e Moldavia. Ciò spinse Francia e Gran Bretagna nel marzo 1854 a dichiarare guerra alla Russia, seguite poco dopo dal Piemonte cavouriano.

 

Cominciò così la Guerra di Crimea, la cui principale operazione ebbe per teatro Sebastopoli, città simbolo della penisola, in quanto fondata da Caterina II nel 1784, un anno dopo l’annessione, il cui assedio durò fino alla sua resa, avvenuta nel settembre del 1855. Tuttavia la guerra non sembrava cessare con la capitolazione della fortezza, poiché sul fronte asiatico le truppe dello zar Alessandro II, succeduto da pochi mesi al defunto Nicola I, penetrarono in Anatolia, costringendo il sultano a combattere una guerra difensiva. Entrò allora in scena l’Austria, anteponendo i suoi interessi nei Balcani alla gratitudine per il supporto fornito dalla Russia durante i moti del 1848-49, che inviò a Mosca un ultimatumaffinché ponesse fine alle ostilità. Dinanzi alla prospettiva di avere contro un’altra potenza, lo zar si arrese. La successiva Pace di Parigi del marzo 1856 lasciò la Crimea alla Russia, ma le vietò di mantenere una flotta nel Mar Nero, inducendola a mirare i suoi interessi verso l’Asia anziché verso l’Europa.

 

Si chiudeva una guerra spesso ignota ai più, ma assai importante, sia per l’elevato numero di morti (circa 750.000, due terzi dei quali russi), in larga parte provocati dal colera e dal tifo imperversanti nel lungo assedio di Sebastopoli, sia per i modi di conduzione impiegati. Se infatti durante le prime battaglie si vide un tradizionale dispiegamento della cavalleria, presto sui campi, soprattutto da parte europea, comparvero fucili di nuovo tipo e fu sviluppata una logistica di coordinamento basata su treni, navi a vapore e comunicazioni via telegrafo che sostanzialmente in Europa ricomparirà solo durante il primo conflitto mondiale. Se a ciò si aggiunge che quella di Crimea fu la prima guerra “fotografata” e documentata dalla presenza di fotoreporter, possiamo sintetizzare che essa segnò il passaggio dai conflitti dell’Età moderna a quelli contemporanei.

 

Un successivo evento cruciale nella storia di questa penisola risale esattamente a un secolo dopo l’eponimo scontro: precisamente al 1954, quando, su iniziativa di Krusčëv, essa fu ceduta all’allora Repubblica socialista ucraina. Non fu un anno scelto a caso: Stalin era da poco scomparso e ricorreva l’anniversario del Trattato di Perejaslav del 1654, con cui l’Ucraina cosacca, ribellatasi alla Polonia, si era unita alla Russia.

 

Sulle motivazioni della scelta molto si è discusso e molto si discute, soprattutto dopo la dissoluzione dell’Urss e l’attuale conflitto. In primo luogo la scelta krusčëviana derivò probabilmente dal profondo legame che legava lo statista all’Ucraina, essendo egli nato in una località russa limitrofa e avendo egli ricoperto dal 1938 al 1947 la carica di Segretario del Partito comunista ucraino. In secondo luogo giocò forse un peso importante la consapevolezza degli orrori patiti in questa terra nel periodo staliniano (lo stesso Krusčëv condannerà nel 1956 gli “eccessi” dello stalinismo, anche se non specificatamente le politiche contadine che provocarono l’holodomor, l’“eccidio per fame”), ragion per cui la cessione della Crimea doveva risultare come una sorta di “compenso” per riallacciare buoni rapporti con gli ucraini, i quali in buona misura, durante la Seconda Guerra Mondiale, non avevano esitato a vedere nei nazisti dei possibili liberatori.

 

Dunque da Mosca l’oblast di Crimea passò a Kiev, ma non ci fu un esplicito accordo di cessione e questo causò notevoli problemi al momento del collasso sovietico: nel 1990, la popolazione crimeana, in prevalenza russa, iniziò ad agitarsi contro il nazionalismo ucraino, rivendicando il prospero passato zarista e non dimenticando la sua autonomia nell’Urss dal 1921 al 1942. Nel contempo i Tatari ivi residenti cercarono di imporre una“Dichiarazione di sovranità del popolo tataro di Crimea”, sebbene priva di effetti pratici.

 

Il primo dicembre 1991 un referendum popolare confermò a grande maggioranza l’indipendenza ucraina. Fu la Crimea l’unica terra dove oltre il 40% dei votanti si dichiarò contrario alla scissione dall’ormai evanescente Unione Sovietica. La Russia, in piena crisi, riconobbe le frontiere ucraine, comprendenti anche la Crimea (per quanto l’accordo preciso sui confini sarà firmato solo nel 2003, già in epoca Putin). Frattanto nel gennaio 1992 il Parlamento russo riaprì il “dossier Crimea” chiedendo al governo di El’cin di indagare sulla costituzionalità della cessione della penisola del 1954. Il 21 maggio il Soviet supremo approvò con una maggioranza del 53% una risoluzione con cui si annullava l’atto, dichiarato illegittimo, e si chiedeva a Kiev di avviare immediati negoziati per ridefinire la sovranità sulla penisola. Non risolta la questione, i suoi abitanti, alle elezioni nazionali del 27 marzo 1994, votarono al 67% per il Partito Russia, aspirante a riportare la Crimea nella Federazione russa. Nei giorni successivi, forte del risultato e dell’appoggio di Mosca, il parlamento locale approvò una costituzione istituente una repubblica indipendente e introducendo la doppia cittadinanza russa e ucraina.

 

Il rischio di una crisi venne parzialmente scongiurato nel 1995, con la creazione della Repubblica Autonoma di Crimea, a cui l’Ucraina concesse una sostanziale autonomia. Tuttavia la questione, relativamente quieta per un ventennio, si riacutizzò nel 2014, a seguito del golpe di febbraio che detronizzò il presidente filorusso Janukovyč. L’11 marzo il Parlamento crimeano ne approfittò per proclamare l’indipendenza, con la possibilità di entrare nella Federazione russa.

 

Nella dichiarazione che venne stesa si fece riferimento alla sentenza del 22 luglio 2010 della Corte internazionale di giustizia sull’indipendenza del Kosovo, in cui si affermava che non era stato violato né il diritto internazionale, né la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Alla condanna occidentale, il Ministro degli Esteri russo Lavrov sentenziò la dichiarazione come legittima, paragonandola a quelle americana del 1776 e kosovara del 2008.

 

Al referendum tenutosi cinque giorni dopo, la stragrande maggioranza dei votanti acconsentì all’annessione alla Russia. Tuttavia esso non fu riconosciuto dall’Occidente (la stampa denunciò la presunta presenza intimidatoria di migliaia di soldati) e dalla stessa Ucraina, alla cui perdita non pare ancora essersi rassegnata, come costantemente ribadito in questi tempi di guerra.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Aydin C., Il lungo Ottocento. Una storia politica internazionale, Einaudi, Torino 2019.

Bartlett R., Storia della Russia. Dalle origini agli anni di Putin, Oscar Mondadori, Milano 2014.

Cardini F., Il Sultano e lo Zar. Due imperi a confronto, Salerno Editrice, Roma 2018.

Di Rienzo E., Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015.

Graziosi A., L’Urss dal trionfo al degrado. Storia dell’Unione sovietica 1945-1991, Il Mulino, Bologna 2008.

Vassallo M., Storia dell’Ucraina. Dai tempi più antichi ad oggi, Mimesis, Sesto San Giovanni 2020.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]