N. 5 - Maggio 2008
(XXXVI)
CRÈCY, 26 AGOSTO 1346
Il trionfo dell’arco lungo
di Cristiano Zepponi
Le
storie dei regni di Francia e Inghilterra erano
strettamente legate dal 1066, anno della conquista
dell’isola ad opera del duca di Normandia Guglielmo,
e a lungo persistette un “intreccio di interessi, di
linguaggi e di idee”.
Ciò
nonostante, il graduale rafforzamento della monarchia
francese rendeva problematica la persistenza di diritti
e interessi dei sovrani inglesi in Francia.
La
situazione si complicò alla morte del re di Francia
Carlo IV, nel 1328: l’ultimo dei Capetingi era scomparso
senza lasciare eredi diretti.
Il re
d’Inghilterra Enrico III rivendicò allora il diritto a
succedergli in virtù dei suoi rapporti di parentela con
il defunto; ma, almeno inizialmente, sembrò accettare
l’incoronazione di Filippo di Valois (divenuto Filippo
VI), lontano parente di Carlo e favorito della nobiltà
francese, in cambio della garanzia di conservare il
possesso dell’Aquitania – divenuta inglese un secolo
prima, quando Eleonora d’Aquitania era andata in sposa
al re d’Inghilterra Enrico II.
Ben
presto, però, Edoardo decise di rivendicare il trono,
dando il via ad un conflitto che in seguito sarebbe
stato rinominato “Guerra dei cent’anni”, nonostante sia
proseguito in modo discontinuo dal 1337 al 1453.
Il re
inglese, naturalmente, aveva ben altri obiettivi:
intendeva in primo luogo difendere e rinforzare i domìni
inglesi in terra di Francia, e probabilmente estenderli
in direzione delle Fiandre, una regione strategica per
il commercio della lana, allora sotto controllo
francese; e forse, alle motivazioni del conflitto, va
aggiunto il sospetto che la Francia sostenesse ed
incoraggiasse le rivolte scozzesi contro l’Inghilterra.
Edoardo sapeva bene di governare un Paese ancora molto
più debole dell’avversario, ma allo stesso modo
conosceva bene i pregi del proprio apparato militare:
egli stesso, infatti, aveva introdotto il sistema del
contratto, mediante il quale i suoi nobili arruolavano a
pagamento gli uomini, formando un esercito di
professionisti reclutati sulla base della capacità
militare; inoltre, combattendo contro gli scozzesi,
quegli uomini avevano formato un bagaglio d’esperienza
assolutamente superiore a quello dell’esercito feudale
francese, che pure rimaneva di gran lunga più numeroso.
La
flotta inglese aprì le ostilità sconfiggendo i vascelli
francesi nella battaglia navale di Sluys, e ottenendo
così il controllo della Manica.
Il 13
luglio del 1346, quindi, Edoardo sbarcò insieme a 15.000
soldati inglesi sulle coste della Normandia per
alleviare la pressione francese sulle truppe inglesi in
Aquitania, assediate in Aiguillon.
Il
nord della Francia subì, indifeso, un’indiscriminata
campagna di saccheggio delle sue ricchezze, che lasciò
solo una scia di terra bruciata fino a Parigi, dove
Filippo stava ammassando truppe.
Per
questo Edoardo si ritirò verso nord, bruciando e
distruggendo paesi e città, vanamente inseguito da
Filippo, che non riuscì per poco ad intercettare
l’avversario nei pressi di Abbeville, vicino alla foce
delle Somme.
Gli
inglesi riuscirono a guadare il fiume appena prima che
la marea innalzasse il livello delle acque, lasciando i
francesi sulla sponda opposta, prima di accamparsi a
Crècy-en-Ponthieu.
Qui,
occuparono una forte posizione difensiva, attestando
l’ala sinistra su un torrente (il Maie) e la destra
presso la foresta di Crècy: un eventuale attacco sarebbe
quindi venuto da un leggero pendio aperto, adatto al
tiro degli arcieri.
Era
stato Edoardo I (1272-1307) ad imporre a tutti gli
yeomen (Contadini piccoli-proprietari con una
rendita di 40 penny) l’uso dell’arco lungo
e l’addestramento dei figli in questo che
doveva essere l’unico loro passatempo: addirittura, in
Inghilterra vigeva una legge che obbligava tutti gli
abitanti dei villaggi ad esercitarsi per almeno due ore
ogni domenica al tiro con l’arco.
“Il
potere dell’arco lungo e l’abilità degli arcieri erano
arrivati ad un punto in cui nemmeno la migliore corazza
rappresentava più una sicura protezione. A
duecentocinquanta metri, il colpo di freccia produceva
effetti mai raggiunti entro quel raggio dai proiettili
di fanteria fino alla guerra civile americana. L’arciere
esperto era un soldato professionale, che riceveva e
meritava un’alta paga, e andava in guerra spesso su un
pony, ma sempre con un notevole trasporto per sua
comodità ed una ricca dotazione di frecce. Portava con
sé un robusto palo dalla punta di ferro che, piantato
nel terreno, opponeva una barriera mortale ai cavalli
nemici. Al suo riparo, una compagnia di arcieri in
ordine aperto poteva lanciare una scarica di frecce così
rapida, continua e penetrante, da render vano l’attacco
della cavalleria, senza contare che, nelle schermaglie e
nelle azioni di pattuglia, l’arciere esperto colpiva il
bersaglio a distanze che fino allora, nella storia della
guerra, non erano mai state ritenute pericolose. Di
tutto ciò l’Europa continentale, e specialmente la
Francia, cioè la nostra vicina più diretta, era
all’oscuro. In Francia, il cavaliere corazzato ed i suoi
uomini d’armi avevano a lungo sfruttato la loro
posizione di predominio in guerra. I fanti che
accompagnavano i loro eserciti erano considerati il tipo
più basso di ausiliari. Una casta militare si era
sovrapposta alla società grazie a pretese di efficienza
fisica e tecnica che l’avvento dell’arco lungo doveva
smentire”, scrisse W.Churchill.
L’esercito inglese doveva ammontare ad 11.000 uomini
circa (2.000 tra cavalieri ed armigeri, 500 cavalieri
leggeri, 7.000 arcieri inglesi e gallesi, 1.500 fanti).
Sulla destra, sotto il comando del sedicenne Edoardo (il
“Principe Nero”), il re dislocò 4.000 uomini. Altri 800
armigeri al centro, con 2.000 arcieri su entrambi i
lati, i fanti in retroguardia, 500 armigeri sulla
sinistra, con 1.200 arcieri su entrambi i lati. Di
riserva rimasero 700 armigeri, 2.000 arcieri ed il resto
dei fanti.
Prima
della battaglia, re Edoardo incoraggiò l’esercito, e
permise di bere e cibarsi ai suoi soldati.
I
francesi, invece, arrivarono a mezzogiorno del 26 agosto
dell’anno 1346; Filippo, informato dalla cavalleria in
esplorazione, ne ignorò allora il consiglio di rinviare
lo scontro al giorno successivo, persuaso dai nobili
ansiosi di coprirsi di fama e prigionieri, e mai
disposti a ricevere ordini.
Il
primo contingente comparso all’orizzonte era guidato dal
re Giovanni di Boemia, accompagnato da Carlo, conte d’Alençon
e fratello del re di Francia; e subito le trombe nel
campo inglese chiamarono a raccolta gli uomini, mentre i
francesi cominciarono a schierarsi verso le 16.
Di
fronte si posizionarono i balestrieri genovesi, seguiti
dal fronte di cavalieri pesanti (compresi tra 12.000 e
20.000) impegnati ad assicurarsi una buona posizione di
partenza e dai contadini semi-addestrati che formavano
la massa dell’esercito: in totale, i francesi
ammontavano a 60.000 uomini circa, secondo alcuni.
L’ansia di entrare in battaglia fece dimenticare al re
di Francia il valore della prudenza e dell’ordine,
nonostante alle 18 un’intensa pioggia inzuppasse il
campo, lasciando subito che tornasse il sole alle spalle
degli inglesi e negli occhi dei francesi.
I
genovesi, come stabilito, avanzarono verso gli inglesi,
ma iniziarono l’attacco da una distanza troppo ampia
perché potesse riuscire efficace: gli arcieri inglesi,
invece, lasciarono partire una prima salva di frecce che
aprì consistenti vuoti nello schieramento dei
balestrieri, e continuarono a tirare con una frequenza
che poteva raggiungere i dodici colpi al minuto, contro
i due degli avversari.
Dopo
alcune altre salve, i celebrati balestrieri genovesi
abbandonarono il campo lasciando la scena alla
cavalleria, che aveva atteso con impazienza il momento
dello scontro diretto.
Cavalcando verso gli inglesi, i nobili francesi
oltrepassarono i balestrieri; tuttavia, ben prima di
raggiungere la linea inglese furono raggiunti dalle
frecce che trapassavano le corazze ed uccidevano i
cavalli.
La
prima linea di cavalieri fu così scompaginata dal tiro
incrociato che proveniva dallo schieramento di archi
lunghi da ritirarsi in fretta; ciò nonostante, i nobili
si riunirono, ripresero la carica e di nuovo furono
massacrati dalle frecce. In alcuni punti furono
effettuate più di dieci cariche, che a volte riuscivano
faticosamente a raggiungere la linea inglese: a quel
punto, però, esausti per la lunga cavalcata, i nobili
furono arrestati dai pali aguzzi piantati nel terreno,
dai lancieri e dai nobili inglesi smontati da cavallo.
All’ala destra inglese, le truppe guidate dal giovane
principe Edoardo sostennero alcuni dei combattimenti più
impegnativi della giornata; a chi gli chiedeva
insistentemente di inviare rinforzi nel settore, si dice
che il re e padre rispondesse “Lasciate che il ragazzo
si faccia onore”.
Le
tenebre interruppero il massacro, e nel corso della
notte molti fanti inglesi lasciarono il grosso
dell’armata per finire i cavalieri francesi feriti. La
retroguardia francese comparve solo il giorno dopo, ma
fu rapidamente sconfitta e respinta, insieme a re
Filippo. A quel punto, i francesi lasciarono il campo.
10.000
fanti e almeno 1.500 cavalieri erano caduti sul suolo di
Francia che intendevano liberare, mentre le perdite
inglesi s’aggiravano – secondo alcuni – intorno al
centinaio d’unità.
Edoardo, il vincitore, potè dirigersi vero Calais, e
stringere d’assedio la città, che conquistò un anno dopo
e rimase in mano inglese per due secoli.
L’esercito inglese, da quel giorno, si guadagnò il
rispetto del continente, e riuscì a mantenere una solida
posizione di forza anche negli anni successivi. La
cavalleria corazzata, d’altro canto, mostrò tutti i suoi
limiti, ed avviò il declino di una specialità
aristocratica (dati i costi) che di colpo si scoprì
vulnerabile ad avversari comuni dotati di armi da
lancio. I francesi, però, mostrarono di non averlo
imparato; e riuscirono a ripetere gli stessi errori
settant’anni dopo, sul campo di Azincourt.
Riferimenti bibliografici:
C.T.
Allmand, “The Hundred Years War: England and France
at War”, Cambridge, Cambridge University Press, 1988
J.F.C.
Fuller, “A Military History of the Western World”,
New York, Funk&Wagnalls, 1954-1956, vol.I
Jonathan Sumption, “The
Hundred Years War: Trial by battle”, Philadelphia,
University of Pennsylvania Press, 1988
Winston
S. Churchill, “Storia dei popoli di lingua inglese
— vol. 1, Nascita dell’Inghilterra”
Malcolm Vale, “English
Gascony,1399-1453”, London, Oxford University
Press, 1970
Henri Wailly, “Crècy,
1346: Anatomy of a Battle”, Poole, Dorset,
Blandford, 1987 |