N. 94 - Ottobre 2015
(CXXV)
l’odissea del cratere d’Europa
vestigia dell’identità europea
di Chiara Tangredi
Il vaso di Assteas è un cratere di ceramica italiota prodotto a Paestum intorno al 350-330 a.C. Reca la firma di Assteas, ceramografo e ceramista greco, attivo a Paestum nel IV secolo a.C. Gestore di un grande laboratorio in cui si producevano hydriai e crateri. Tra i più attivi pittori vascolari della Magna Grecia.
Il
vaso
di
Assteas
è di
notevole
interesse
perché
si
aggiunge
agli
altri
vasi
pestani
firmati
da
Assteas,
per
la
qualità
della
composizione,
per
il
soggetto
raffigurato
(il
ratto
d’Europa),
in
quanto
rappresenta
un
tassello
importante
dell’antica
storia
del
Sannio
e
dell’arte
magnogreca.
Si
tratta
di
un
cratere
a
calice
decorato
a
figure
rosse.
Alto
71,4
cm e
con
orlo
dal
diametro
di
60
cm.
Poggia
su
un
alto
piede
a
tromba
rovesciata,
collegato
al
fondo
del
vaso
tramite
un
echino
molto
pronunciato.
Per
quanto
riguarda
l’iconografia
del
cratere:
sul
lato
principale
è
raffigurata
la
vicenda
mitologica
del
ratto
di
Europa
(ovvero
del
rapimento
di
Europa
compiuto
da
Zeus
in
forma
di
toro);
sul
lato
opposto
vi è
una
scena
dionisiaca.
Nella
scena
dionisiaca
al
centro
v’è
Dionisio,
giovane
e
nudo.
Il
dio
è
accompagnato
da
una
menade
con
torcia
e
corona
e da
un
sileno
che
volge
il
capo
verso
Dionisio.
La
rappresentazione
del
ratto
d’Europa
è
abbastanza
complessa
e
variegata.
I
nomi,
graffiti
dopo
la
cottura
del
vaso,
hanno
facilitato
il
riconoscimento
dei
personaggi.
Ogni
figura
del
cratere
è,
infatti,
identificabile
grazie
a
una
didascalia
incisa
dall’artista.
Fa
eccezione
un
piccolo
personaggio
in
alto
a
destra,
il
presunto
Eros
(o
Pothos).
Per
il
quale
manca
il
nome
inciso.
La
scena
è
ripartita
in
modo
inedito.
Lo
spazio
centrale
è
delimitato
da
una
fascetta
che
crea
una
cornice
pentagonale.
Risalta
l’immagine
di
Europa
seduta
sul
dorso
di
Zeus
in
forma
di
toro.
La
fanciulla
ha
lunghi
capelli
sciolti.
Indossa
una
veste
riccamente
ricamata
come
richiede
il
suo
rango.
E’
seduta
su
un
fianco.
Con
la
mano
sinistra
trattiene
il
velo
che
le
pende
dagli
avambracci
e
che
il
vento
le
gonfia
sulle
spalle.
Con
la
destra
si
aggrappa
saldamente
al
corno
sinistro
del
toro.
Con
tutta
probabilità
ci
troviamo
in
una
fase
avanzata
del
mito.
Europa
non
si
volge
più
indietro
a
cercare
aiuto,
spaventata
o
sorpresa.
Ella
guarda
davanti
a
sé.
Ormai
sedotta
dal
dio.
Già
proiettata
verso
Creta.
Dove
verrà
condotta.
Zeus
in
forma
di
toro
è
completamente
sovra-dipinto
in
bianco.
E’
in
corsa
verso
sinistra.
Ha,
tuttavia,
il
muso
e lo
sguardo
rivolti
verso
lo
spettatore.
Le
sue
zampe
sono
curve,
atte
a
simulare
il
nuoto.
In
basso,
sotto
le
zampe
del
toro,
stanno
(a
sinistra)
Scilla
(mostro
marino)
e (a
destra)
Tritone.
Entrambi
identificati
dai
nomi
graffiti
e
circondati
da
una
serie
di
pesci
e di
creature
marine.
Sono
le
metafore
del
mare
che
Zeus
sta
attraversando.
La
presenza
degli
dei
marini
(soprattutto
di
Scilla)
costituisce
un
riferimento
insolito.
Il
loro
coinvolgimento
nel
mito
d’Europa
viene
menzionato
per
la
prima
volta
da
fonti
successive
all’opera
di
Assteas,
come
in
Mosco,
Orazio,
Ovidio,
Luciano.
In
particolare
Ovidio
fornisce
anche
l’ipotesi
di
un
legame
fra
Scilla
ed
Europa,
narrando
la
vicenda
dell’amore
non
corrisposto
fra
Minosse,
figlio
di
Europa
e di
Zeus,
e
Scilla
[Ovidio,
Metamorfosi,
libro
VIII,
vv.
90-151].
In
alto,
al
centro,
sulla
testa
di
Europa
vola
un
erote
(un
amorino
o
putto)
con
le
ali
dispiegate
mentre
con
un
ramoscello
fiorito
asperge
profumi
da
una
coppa
baccellata
che
tiene
nella
mano
sinistra
insieme
a
una
piccola
corona.
Il
nome
graffito
lo
identifica
con
Pothos
(il
desiderio
erotico),
vero
elemento
chiave
della
vicenda
mitica.
In
alto
ai
lati
vi
sono
due
scomparti,
ognuno
raffigurante
tre
personaggi.
Nello
scomparto
a
sinistra
vi
sono:
Zeus
(in
forma
antropomorfa),
la
personificazione
di
Creta
ed
Hermes.
Probabilmente
rappresentano
il
momento
successivo
al
rapimento,
quando
il
viaggio
è
terminato.
Zeus
è,
ormai,
giunto
a
Creta.
Ha
assunto
le
sue
vere
sembianze.
Questo
spiegherebbe
anche
la
figura
di
Hermes,
presente
in
qualità
di
protettore
dei
viaggiatori.
Nello
scomparto
a
destra
figurano:
Eros
(o
Pothos),
Adone
e
Afrodite.
Tutte
figure
che,
in
vario
modo,
richiamano
l’amore.
Il
mito
di
Europa
è
indubbio
un
mito
noto
sin
dall’antichità.
Le
prime
tracce
scritte
risalgono
intorno
all’VIII
secolo
a.C.
(ai
tempi
di
Omero
ed
Esiodo).
Innumerevoli
sono,
poi,
le
stesure
e le
rappresentazioni
iconografiche
successive.
Stando
al
mito,
Europa
era
una
bellissima
fanciulla,
figlia
del
re
fenicio
Agenore
e di
Telefassa.
Ella
si
recava
spesso
con
amiche
e
ancelle
sulle
rive
del
mare.
Un
giorno
Zeus
la
vide
e se
ne
innamorò.
Il
re
degli
dei
era
tradizionalmente
noto
per
i
modi
ingegnosi
escogitati
per
sedurre
i
mortali
di
cui
si
invaghiva.
Così,
per
non
terrorizzare
la
fanciulla,
assunse
le
sembianze
di
un
bellissimo
toro
bianco.
Cominciò
a
pascolare
lì
intorno,
nelle
sue
vicinanze.
Europa
venne
attratta
dall’eleganza
e
dalla
docilità
dell’animale.
Prese
ad
accarezzarlo.
Finché,
quasi
per
gioco,
gli
salì
in
groppa.
Allora
il
toro
si
mise
a
correre
all’impazzata
verso
il
mare.
E lì
si
lanciò
galoppando
sull’acqua.
Trascinò
la
fanciulla
attraverso
il
mar
Mediterraneo.
La
condusse
da
Oriente
a
Occidente,
dalla
Fenicia
fino
all’isola
di
Creta.
Qui
Zeus
si
unì
alla
giovane
Europa.
Nel
frattempo
il
re
Agenore
aveva
ordinato
agli
altri
suoi
figli
(Cadmo,
Cilice
e
Fenice)
di
partire
alla
ricerca
della
sorella.
Questi
obbedienti
dalla
Fenicia
avevano
preso
direzioni
diverse.
Senza
riuscire
a
ritrovare
la
congiunta.
Nel
corso
delle
loro
peregrinazioni
fondarono
diverse
città.
Fenice
fu
il
capostipite
dei
Fenici.
Cilice
quello
dei
Cilici.
Cadmo
si
stabilì
in
Beozia
costruendo
Cadmea,
la
rocca
di
Tebe.
A
lui
è
attribuita
la
trasmissione
dell’alfabeto
dalla
Fenicia
alla
Grecia.
Per
parte
sua
Europa
divenne
la
regina
dell’isola
di
Creta.
Con
lei
Zeus
generò
Minosse
(il
mitico
re
di
Creta),
Radamanto
(giudice
degli
inferi),
e
Sarpedonte.
Alla
morte
della
madre,
Minosse
chiamerà
le
terre
poste
a
nord
del
Mar
Mediterraneo
(ovvero
quelle
terre
che
stavano
al
di
sopra
dell’isola
di
Creta)
col
nome
di
Europa.
Il
mito
d’Europa
è
uno
dei
tanti
miti
di
predazione
erotica
compiuta
da
Zeus.
Il
fascino
di
questo
mito
sta
nell’ambiguità
del
ratto.
Ciò
che
stupisce
è la
compresenza
di
violenza
e
amore.
La
fanciulla
è
stata
ingannata,
rapita.
Eppure
c’è
una
sorta
di
consenso
da
parte
d’Europa.
C’è
un’attrazione.
Il
poeta
Orazio
descrive
proprio
il
modo
ambivalente
in
cui
Europa
vive
il
rapimento
amoroso.
Orazio
scrive:
“se
uno
consegnasse
ora
alla
mia
rabbia
il
toro
infame
farei
di
tutto
per
straziare
e
troncare
col
ferro
le
corna
del
mostro,
che
ho
molto
amato
poco
fa”
[Orazio,
Odi
III,
27
vv.
25/76].
C’è
il
senso
di
colpa,
la
rabbia.
Al
tempo
stesso
c’è
l’amore:
multum
amati
monstri.
Ciò
che
il
mito
d’Europa
rappresenta
è
uno
spostamento
di
civiltà
da
Oriente
a
Occidente.
E’
un
racconto
suggestivo,
affascinante.
Dacché
ha
il
pregio
di
parlare
di
incontri
tra
culture.
Proprio
come
il
rapporto
tra
Zeus
ed
Europa,
così
il
rapporto
tra
Oriente
e
Occidente
è
stato
nei
secoli
(ed
è
ancora)
un
rapporto
di
violenza
e
attrazione.
E
l’Europa
ha
origine
lì.
L’Europa
è
nata
mitologicamente
dalla
relazione
extraconiugale
che
il
principale
dio
dei
Greci
ebbe
con
una
fanciulla
della
Fenicia.
Da
questa
“scappatella”
avrebbe
avuto
origine
la
civiltà
minoica
(cretese),
considerata
la
culla
della
civiltà
europea.
Insomma
noi
Europei
(mitologicamente)
altro
non
siamo
che
i
figli
di
Europa
e di
Zeus,
del
rapporto
di
fascinazione
e
animosità
tra
l’Oriente
e
l’Occidente.
Nei
secoli
il
mito
d’Europa
si è
prestato
alle
svariate
interpretazioni.
Gli
sono
stati
attribuiti
una
pluralità
di
significati.
A
secondo
dei
riferimenti
culturali,
delle
ideologie
da
soddisfare.
Solo
per
fare
un
esempio,
nel
Novecento,
il
mito
d’Europa
è
stato
simultaneamente
oggetto
dell’interpretazione
nazista
così
come
di
quella
anti-fascista.
Anti-nazista
è
l’opera
del
pittore
Max
Beckmann,
“Il
ratto
di
Europa”
[1933].
Europa
ha
le
fattezze
d’una
giovane
donna
con
i
capelli
corti,
alla
maschietto.
Se
ne
sta
riversa
su
un
toro
bruno
(a
richiamare
le
camicie
brune).
Lei
provata,
stremata.
Nel
toro
è
rappresentata
tutta
l’arroganza
e la
potenza
del
nazismo.
A
sua
volta
il
nazifascismo
tenta
in
vari
modi
di
appropriarsi
dell’idea
di
Europa
e
dell’identità
culturale
europea.
Nel
simbolismo
propagandistico
nazifascista
vi è
l’esaltazione
di
un’Europa
bianca,
ariana
e
dominatrice.
è
il
caso
del
quadro
di
Werner
Peiner,
“Europa
und
der
Stier”
[1937].
Tra
l’altro
appartenuto
a
Hermann
Göring,
una
delle
personalità
di
primo
piano
della
Germania
nazista.
In
questo
caso
Europa
si
presenta
come
una
bionda
androgina.
Il
toro
è
bianco.
A
richiamare
il
mito
della
razza
ariana,
il
mito
di
un’Europa
razzialmente
uniforme
(non
multietnica,
multirazziale,
multiculturale).
In
tempi
recenti
il
mito
d’Europa
è
stato
nuovamente
impiegato
a
uso
della
politica.
Quale
simbolo
della
nuova
unità
europea.
Ciò
spiega
l’importanza
iconografica
attribuita
al
cratere
di
Assteas,
assunto
a
simbolo
dell’identità
europea.
L’Unione
Europea
rivendica
ideologicamente
la
fratellanza
dei
figli
di
Europa
e di
Zeus,
ribadisce
l’importanza
culturale
della
Grecia
nella
fondazione
d’una
civiltà
europea,
predispone
la
costruzione
di
un’unione
in
grado
di
integrare
le
parti
orientali
e
occidentali
del
continente
europeo
separate
dalla
guerra
fredda.
In
questi
anni
si è
aperto
anche
un
dibattito
sulle
radici
dell’Europa.
Soprattutto
in
occasione
della
stesura
della
Costituzione
europea.
Il
mito
d’Europa
dovrebbe,
più
che
persuaderci
a
indagare
le
radici
dell’Europa
(greco-romane,
cristiane
etc.),
soprattutto
indurre
a
domandarci
quali
saranno
i
destini
d’Europa.
Perché,
malgrado
tutte
le
ideologie
romantiche,
siamo
ancora
un’Europa
incompleta,
in
fase
d’opera,
dominata,
non
unita.
L’Europa
esiste
come
spazio
geografico.
Varrone
scrive:
Asia
quae
non
Europa
[LL,
V,
16].
Dunque
l’Asia
è
ciò
che
non
è
l’Europa.
Il
punto
è:
sono
mai
esistiti
gli
Europei?
In
antico
c’erano
i
Germani,
i
Celti,
i
Greci,
i
Romani,
…
Oggi
ci
sono
i
Tedeschi,
i
Francesi,
i
Portoghesi,
gli
Italiani,
i
Greci,
gli
Spagnoli,
… Un
tempo
c’è
stata
l’Europa
romana,
poi
l’Europa
cristiana.
C’è,
forse,
oggi,
l’Europa
tedesca.
Eppure,
ancora
oggi,
nessun
abitante
d’Europa
risponde
“io
sono
Europeo”.
Che
sia,
forse,
questa
l’Europa?
Quello
spazio
geografico
dove
sono
vissuti
Celti,
Germani,
Romani,
Sanniti,
Etruschi,
… e
dove
vivono
Tedeschi,
Francesi,
Portoghesi,
Italiani,
Inglesi,
Irlandesi,
Greci,
Spagnoli,
…
che
l’identità
culturale
europea
sia
la
sua
diversità,
il
suo
pluralismo
culturale?
In
un
certo
qual
modo,
i
vasi
conducono
gli
uomini
a
compiere
viaggi
mentali,
di
riflessione.
Allo
stesso
tempo
sono
loro
stessi
i
protagonisti
(i
Marco
Polo,
i
Colombo)
di
viaggi
lontani.
Proprio
come
il
viaggio
di
Europa
e di
Zeus
dall’Oriente
all’Occidente
attraverso
il
mar
Mediterraneo,
quella
del
cratere
di
Assteas
è la
storia
di
un
incredibile
viaggio
nel
tempo
e
nello
spazio.
Da
Poseidonia
(Paestum)
il
cratere
prodotto
nel
IV
sec.
a.C.
da
Assteas
è
giunto
a
Saticula
(attuale
Sant’Agata
dei
Goti).
A
testimonianza
dei
flussi
di
scambio
tra
le
officine
italiote
e le
città
sannite.
Deve,
poi,
essere
stato
usato
come
corredo
funebre.
E’
così
rimasto
interrato
per
secoli.
Nel
1973
il
cratere
viene
rinvenuto
in
uno
scavo
clandestino
nelle
campagne
dell’antica
Saticula
da
un
contadino
della
zona,
all’interno
delle
sue
terre,
in
un’area
che
nei
secoli
precedenti
aveva
ospitato
una
necropoli
sannita.
Il
contadino
si
fa
scattare
una
foto
accanto
al
reperto.
Poi,
con
vicende
molto
poco
chiare,
riesce
a
contattare
un
antiquario
a
cui
vende
il
cratere
dietro
compenso
di
un
milione
di
lire
e un
maialino.
Da
allora
il
cratere
di
Assteas
ha
subito
numerosi
passaggi
sul
mercato
antiquario.
Nel
1978
il
vaso
è
esportato
illegalmente
in
Svizzera,
acquistato
da
un
collezionista
privato.
Nel
1981
viene
venduto
al
Getty
Museum
di
Malibu
(Los
Angeles,
California)
per
380.000
dollari.
Il
collezionista
svizzero
conclude
così
il
più
grande
affare
della
sua
vita.
A
questo
punto
il
cratere
comincia
a
uscire
dall’anonimato.
Grazie
alla
firma,
viene
facilmente
attribuito
ad
Assteas,
il
ceramografo
pestano.
Nel
1983
nel
libro
“Europa
e il
Toro”
(Europa
und
die
Stier)
di
E.
Zahn
compare
una
prima
segnalazione
dell’esistenza
di
questo
cratere.
Nello
stesso
anno
una
scheda
descrittiva
del
vaso
viene
pubblicata
da
M.
Jentoft-Nielsen
nella
rivista
Getty.
Nel
1987
nel
volume
“The
red-figured
vases
of
Paestum”
(dedicato
alla
produzione
pestana
a
figure
rosse)
di
Arthur
Dale
Trendall
(uno
dei
principali
conoscitori
della
ceramica
italiota)
viene
inserito
anche
il
cratere
di
Assteas.
Nel
2007
vengono
restituiti
all’Italia
67
pezzi
archeologici,
essendone
stata
dimostrata
la
sicura
provenienza
dal
territorio
italiano
e la
loro
esportazione
clandestina.
Ciò
è
stato
possibile
a
seguito
di
complesse
indagini
dei
Carabinieri
e
della
Magistratura
e
grazie
all’iniziativa
diplomatica
intrapresa
dal
Ministero
dei
Beni
e
delle
Attività
Culturali
nei
confronti
di
alcune
istituzioni
museali
statunitensi.
Tra
questi
oggetti
ritorna
anche
il
cratere
di
Assteas.
Nel
2007
(24
Marzo
- 20
Maggio)
viene
allestita
al
Palazzo
del
Quirinale
(nel
Salone
dei
Corazzieri)
la
mostra
“Capolavori
dell’arte
europea”
per
celebrare
il
cinquantesimo
anniversario
della
firma
dei
Trattati
di
Roma.
Il
Presidente
della
Repubblica
Italiana,
Giorgio
Napolitano,
invita
ciascuno
dei
paesi
membri
dell’UE
a
prestare
un
capolavoro
emblematico
della
propria
storia.
Il
cratere
di
Assteas,
simbolo
dell’identità
europea,
rappresentava
l’Italia.
Tra
il
2007-2008
(21
Dicembre
2007
- 30
Marzo
2008)
alcuni
dei
manufatti
rientrati
in
Italia
nel
2007
vengono
esposti
nella
mostra
“Nostoi.
Capolavori
ritrovati”
allestita
a
Roma
nella
Galleria
di
Alessandro
VII
Chigi
del
Palazzo
del
Quirinale.
Il
cratere
con
il
ratto
di
Europa
è
stato
icona
della
mostra.
La
sua
immagine
è
stata
riprodotta
persino
sugli
autobus
di
linea
della
capitale.
A
partire
dal
2009
il
cratere
è
stato
collocato
nel
Museo
Archeologico
Nazionale
di
Paestum.
A
quel
punto
è
diventato
oggetto
di
contesa
tra
quest’ultimo
e il
Museo
Archeologico
del
Sannio
Caudino
di
Montesarchio.
Paestum
rivendicava
la
collocazione
del
cratere
nel
luogo
in
cui
era
stato
realizzato.
Da
parte
loro
i
comuni
ricadenti
nei
territori
della
Valle
caudina,
telesina
e
vitulanese
(tra
cui
Montesarchio
e
Sant’Agata)
rivendicavano
la
collocazione
dell’opera
di
Assteas
nel
Museo
Archeologico
del
Sannio
Caudino.
In
quanto
importante
vestigia
culturale
del
territorio
sannita.
Nel
tentativo
di
non
vedere
ulteriormente
depauperato
il
patrimonio
storico,
artistico
e
culturale
di
questi
luoghi.
Tra
il
2014-2015
il
vaso
di
Assteas
è
stato
esposto
a
Sant’Agata
dei
Goti
nella
mostra
“L’oggetto
del
desiderio.
Europa
torna
a
Sant’Agata”
allestita
all’interno
della
Chiesa
di
San
Francesco.
L’iniziativa
è
stata
possibile
grazie
alla
collaborazione
tra
la
Soprintendenza
per
i
Beni
Archeologici
di
Salerno,
Avellino,
Benevento
e
Caserta
e il
Comune
di
Sant’Agata
dei
Goti.
Nel
Giugno
2015
il
vaso
è
stato
trasferito
all’interno
del
Museo
Archeologico
Nazionale
del
Sannio
Caudino
di
Montesarchio.
Per
l’occasione
è
stata
scelta
una
location
di
eccezione,
la
Torre
di
Montesarchio,
riaperta
al
pubblico
(18
Giugno
2015).
Il
27
Luglio
2015
il
vaso
è
partito
per
una
nuova
tournée.
E’
ospite
all’Expo
di
Milano,
esposto
alla
mostra
“Natura
e
Mito
dalla
Grecia
a
Pompei”
(31
Luglio
2015
- 10
Gennaio
2016)
allestita
al
Palazzo
Reale.
Obiettivo
della
mostra
è
presentare
un
aspetto
poco
noto
del
mondo
classico:
la
rappresentazione
della
natura,
l’azione
dell’uomo
sulla
realtà
naturale
e
sull’ambiente.
A
tal
fine
risultano
esposte
più
di
200
opere
(vasi
dipinti,
terrecotte
votive,
statue,
affreschi
e
oggetti
di
lusso)
datate
dall’VIII
secolo
a.C.
al
II
secolo
d.C.
e
provenienti
da
musei
italiani
e
internazionali.
Il
cratere
di
Assteas
è
uno
dei
pochi
reperti
campani
(insieme
al
Fauno
di
Paestum)
ammesso
alla
kermesse
globale.
Al
rientro
da
Milano,
il
vaso
sarà
definitivamente
sistemato
all’interno
del
Museo
Archeologico
Nazionale
del
Sannio
Caudino
di
Montesarchio.
Il
territorio
vedrà
finalmente
tornare
un
pezzo
importante
della
sua
storia.
Passeranno
molti
anni
e
tante
peregrinazioni,
prima
che
il
re
di
Itaca,
Ulisse,
riuscirà
a
tornare
a
casa.
Anche
il
cratere
di
Assteas
ha
avuto
la
sua
odissea,
terminata
a
lieto
fine.
Non
è
stato,
però,
il
cratere
a
ritornare
a
Itaca.
Siamo
noi,
gli
uomini
di
questa
Terra,
che
tentiamo
continuamente
di
ritornare
a
casa.
Perché
la
casa
è il
posto
in
cui
siamo
nati
e
dove
tutto
ha
avuto
inizio.