.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

arte


N. 116 - Agosto 2017 (CXLVII)

SULLA COSTRUZIONE DELLA CUPOLA DI SANTA MARIA DEL FIORE
PONTEGGI E MACCHINE DI FILIPPO BRUNELLESCHI - PARTE V

di Maria Laura Corradetti

 

Esistevano diversi tipi di macchine, come l’argano a 3 velocità, la gru girevole detta anche Castello, un altro tipo di gru girevole utilizzata per la lanterna (ne esistono 2 versioni, la seconda versione a cappuccio servì sia per concludere la sommità della lanterna, che per posizionare la sfera di rame del Verrocchio), l’argano leggero, e la gru girevole con argano.

 

Per meglio comprendere la complessità esecutiva, saranno descritte le prime due macchine. Ecco come Ross King illustra la costruzione dell’argano a 3 velocità:

«I lavori su questo nuovo argano iniziarono nel 1420. Per i vari elementi del dispositivo, Filippo contattò un vasto numero di artigiani, molti dei quali fuori Firenze. Qualche settimana dopo la festa celebrativa dell’ultimazione della base della cupola, l’Opera ricevette la spedizione di un olmo dal quale ricavare i tamburi per il nuovo argano. L’albero deve essere stato enorme, se si considera che il più grande dei 3 tamburi aveva un diametro di un metro e mezzo. La scelta era caduta sul legno di olmo per la sua grande resistenza agli agenti esterni, in quanto era logico che l’argano sarebbe stato in servizio per molti anni. Altre parti del macchinario continuavano ad arrivare nel frattempo, pali di castagno per la costruzione del telaio di sostegno e un’armatura e redini per i buoi. Una fune venne commissionata a Pisa, una città specializzata nella costruzione di navi e dove l’arte della fabbricazione di funi era molto avanzata. Eppure, l’argano di Filippo deve aver reso la vita difficile anche al funaio più esperto e abituato ad armare i maggiori galeoni, in quanto richiedeva una delle funi più lunghe, resistenti e pesanti mai fabbricate: 182 metri di lunghezza e più di 450 kg di peso. La costruzione dell’argano continuò per tutto l’inverno 1420-21. Un fabbro ferraio fu incaricato di realizzare i sostegni delle pulegge e uno strumento per dentellare il legno di frassino per le ruote dell’ingranaggio. Nel frattempo un bottaio iniziò a eseguire dei contrappesi per sostenere e bilanciare i carichi di laterizi e malte durante la fase ascendente. Alla fine due carpentieri vennero assoldati per costruire l’intelaiatura e assemblare le varie parti. Ognuno di loro trascorse 67 giorni in quell’impresa» (R. King, La cupola del Brunelleschi: la nascita avventurosa di un prodigio dell’architettura e del genio che la ideò, Milano, 2002, pp. 107-108).

 

E un’impresa è stata l’intera sua realizzazione, conclusasi nell’inverno del 1421 dopo soli 6 mesi. L’argano, per tutta la durata del cantiere, ha sollevato materiale pari a circa 30 milioni di chilogrammi. Ci sono giunti numerosi disegi più o meno precisi dai quali si desume che l’argano, con una intelaiatura alta circa 5 metri e sistemato su una base di legno lunga 9 metri, era azionato da uno o due animali da tiro che camminavano in circolo sempre nello stesso senso trasmettendo la rotazione a un asse verticale e, da lì, a una coppia di alberi cilindrici che si azionavano per mezzo di ruote dentate di varie dimensioni, potendo così sollevare pesi con 3 tipi di velocità.

 

L’albero verticale era appunto messo in moto dal movimento degli animali attraverso la barra a esso connessa cui erano legati, e mediante le sue due ruote orizzontali, una in alto e una in basso che operavano in alternativa, azionava un albero orizzontale cilindrico di due diversi spessori (subbio grosso e subbio mezzano), il quale, a sua volta mediante un sistema rocchetto-ruota dentata trascinava con sé un altro albero cilindrico orizzontale di spessore ancora diverso (subbio minore).

 

Per le differenze di diametro ciascun albero tirava i canapi di sollevamento con differente velocità e richiedevano un diverso grado di sforzo, alla stregua delle marce delle biciclette. Infatti il subbio grosso, di un metro e mezzo di diametro, sollevava il peso più velocemente del subbio minore che misurava solamente cinque centimetri di diametro, per cui certamente i buoi compivano più giri per ogni ascesa, ma erano in grado di sollevare pesi considerevoli, così come un ciclista usa le marce più basse per affrontare le salite più ripide.

 

Era possibile inoltre invertire il senso di rotazione dei subbi (passando dalla salita alla discesa del carico) senza dover staccare gli animali per riattaccarli in direzione contraria, grazie a un dispositivo a vite senza fine, a filettatura elicoidale, posto alla base dell’albero motore che consentiva di abbassarlo o alzarlo per ingranare con l’una o l’altra delle sue 2 ruote orizzontali la corona dentata del tamburo. Questo meccanismo, che garantiva un risparmio di tempo non indifferente, funzionava solo se attivato, nel senso che un dispositivo di sicurezza impediva che si potesse verificare accidentalmente l’inversione di rotazione degli alberi.

 

Le olivelle (o ulivelle) erano i ganci con cui assicurare i pesi da caricare secondo una tecnica nota già nell’età romana imperiale. Sulla parete superiore della pietra da issare veniva scavato un incasso dal profilo trapezoidale tale da presentare un’imboccatura (larghezza circa 10 cm.) più stretta della base. Al suo interno veniva collocata l’olivella, formata da tre barre metalliche, delle quali le 2 esterne erano a coda di rondine per aderire alla mortasa, mentre quella di mezzo era liscia. Nella cavità erano inserite per prima le barre a coda di rondine e poi, a forza, quella liscia che bloccava così le due precedenti. Poi veniva posizionata una staffa con i fori allineati a quelli esistenti sulle teste delle barre e si serrava il tutto con un paletto passante orizzontalmente per questi fori. Nel cantiere si usavano comunque anche altri tipi di ganci, come forbici in ferro che serravano il carico per effetto del suo stesso peso.

 

L’argano era posto a terra all’interno del tamburo, mentre i canapi per il sollevamento passavano attraverso una taglia in quota, cioè sui ponteggi (una sua ricostruzione è presente in F.D. Prager, G. Scaglia, Studies of his technology and inventions, Cambridge, 1970, p. 90).

 

A questo punto però erano necessarie sulle impalcature, nella fase di arrivo e di smistamento dei materiali, altre strumentazioni che abbinassero al movimento elevatorio anche quello rotatorio e traslatorio. In tutti i casi è evidente la solidarietà totale tra macchina e muratura, l’una elevandosi e crescendo in funzione dell’altra in simbiosi perfetta.

 

La gru precedentemente descritta si limitava, appunto, a sollevare pesi, mentre occorreva, in fase di chiusura dell’occhio della cupola e di posizionamento dei pesanti blocchi di pietra del serraglio, l’interazione e integrazione con macchine in grado di collocarli con precisione in ogni direzione. A tal fine fu bandito un ulteriore concorso vinto anche stavolta dal Brunelleschi (i progetti furono presentati nell’aprile del 1423).

 

Ancora Ross King:

«In pochi giorni iniziò ad arrivare il legno per la macchina di Filippo: otto tronchi di pino, insieme a due di olmo, lunghi 4,5 metri ciascuno. Successivamente giunse un tronco di castagno dal quale ricavare le viti della gru. Come per l’argano, anche la gru fu costruita in tempi record, in soli tre mesi, e fu resa operativa all’inizio di luglio» (R. King, La cupola del Brunelleschi… op. già citata, pp.119-120).

 

La gru girevole detta anche Castello, alta fino a 20 metri e posta su una piattaforma a croce, era data da una base fissa inferiore e, sopra, da un albero centrale che ruotava fino a 360°, manovrabile con un lungo timone per il quale era necessaria una squadra di operai. Il carico, alzato e abbassato mediante una vite verticale (azionata da un altro gruppo di lavoratori), era agganciato a un tenditore triplo che ne garantiva l’assetto in piano, mentre un secondo braccio orizzontale dell’albero centrale ne impediva l’oscillazione per effetto delle forti correnti d’aria che soffiavano a quelle altezze. Affinché la gru fosse in costante equilibrio, il contrappeso (situato all’estremità opposta del braccio mobile) veniva fatto spostare orizzontalmente tramite viti e guide di scorrimento, per le quali si richiedeva l’intervento di una squadra di operai. Ecco perché Brunelleschi destò l’ammirazione dei suoi contemporanei. Dimostrò una capacità non comune nel trovare soluzioni ai mille problemi di ordine pratico che questo cantiere proponeva. «La costruzione di un capolavoro così straordinario risulta talmente complessa, che tuttora appaiono controverse le modalità e le strumentazioni messe a punto» (E. Capretti, Brunelleschi… op. già citata, p. 42).

 

Nel 1436 la grande volta era finalmente conclusa. Il 25 marzo (festa dell’Annunciazione e primo giorno dell’anno secondo il calendario fiorentino in uso fino al 1749) papa Eugenio IV consacrò la nuova cattedrale.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.