N. 114 - Giugno 2017
(CXLV)
COSTRUZIONE
DELLA
CUPOLA
DI
SANTA
MARIA
DEL
FIORE
PONTEGGI
E
MACCHINE
DI
FILIPPO
BRUNELLESCHI
-
PARTE
III
di
Maria
Laura
Corradetti
Quando
la
cupola
in
fase
di
chiusura
raggiunse
un’ampiezza
di
luce
tale
da
poter
ospitare
un
castello
(leggi
impalcatura)
"sospeso",
ossia
scisso
da
quello
sottostante,
il
piano
d’appoggio
gravò
su
travi
fissate
agli
occhi
interni
delle
vele,
sfruttando
spinte
e
controspinte
generate dall’architettura
e
dalla
stessa
impalcatura
(la
fig.
2
riproduce
nelle
linee
essenziali
la
ricostruzione
ipotetica
del
ponteggio).
.
Fig.
2:
Ponteggio
al
terzo
livello
retto
da
travi
fissate
agli
occhi
interni.
All’occorrenza
ponteggi
mobili
venivano
montati
all’interno
della
copertura
fin
quando
il
peso
e
l’inclinazione
lo
rendevano
possibile.
Erano
agganciati
a
degli
anelli,
murati
per
questo
scopo
nelle
pareti.
Per
la
base
di
appoggio
si
sfruttavano
come
sempre
i
vani
delle
buche pontaie.
L’impatto
visivo
conclusivo
doveva
essere
come
quello
rappresentato
in
un’incisione
di
Nicola Zabaglia
che
nel
1743
pubblicò
un’opera
unica
nel
suo
genere,
intitolata
Castelli
e
ponti,
dove
illustrò
le
sue
invenzioni
nel
settore
delle
armature,
macchine,
argani,
verricelli,
et
similia.
L’incisione
raffigurava
i
ponti
interni
usati
durante
la
costruzione
della
cupola
di
S.
Pietro,
che
certamente
si
richiamano
a
quello
che
doveva
essere
stato
il
modello
brunelleschiano
(per
l’incisione
si
veda, a
esempio, Verdon
Timothy
[a
cura
di],
La
cupola
di
Santa
Maria
del
Fiore,
Firenze,
1995,
p.
24).
In
verità
la
stessa
immagine
generale,
seppur
semplificata
per
l’assenza
di
macchine
da
costruzione,
può
essere
suggerita
dalla
struttura
metallica
approntata
in
occasione
del
restauro
(avvenuto
fra
il
1989
e il
1995
sotto
la
direzione
scientifica
dell’Opificio
delle
Pietre
Dure)
degli
affreschi
della
cupola
di
Santa
Maria
del
Fiore,
realizzati
da
Vasari
e
poi
da
Federico
Zuccari
tra
il
1572
e il
1579.
Questa
struttura
era
sorretta
da
48
mensole
inserite
nelle
medesime
buche
pontaie
realizzate
da
Brunelleschi,
ottenendo
un
ponteggio
aereo
che
non
interferiva
con
la
fruizione
a
scopo
liturgico
o
turistico
della
cattedrale
(per
la
foto
si
veda
F.
Alberto,
Le
impalcature
nell’arte
e
per
l’arte,
Firenze,
2006,
p.
136).
Durante
il
restauro
l’intera
area
fu
indagata
per
mappare
il
numero
e
ubicazione
degli
anelli
metallici
(con
spessore
variabile
dai
35
ai
42
mm.)
pensati
dal
Brunelleschi
come
agganci
a
supporto
dei
piani
di
lavoro,
sia
per
l’edificazione
che
per
la
successiva
decorazione
della
cupola.
Non
deve
poi
meravigliare
che
identici
anelli
siano
presenti
anche
sul
lato
extradossale
della
calotta
esterna
(in
corrispondenza
dei
quali
le
tegole
presentano
una
piccola
incisione
a
forma
di
croce
per
rendere
evidentemente
subito
riconoscibile
la
loro
dislocazione),
poiché
rispecchiano
la
tecnica
esecutiva
che
vide
la
realizzazione
simultanea
delle
due
coperture.
Gli
inserti
metallici
della
calotta
interna
sono
dunque
distribuiti
su
tutta
la
superficie
intradossale
secondo
piani
paralleli
e
distanziati
tra
loro
di
circa
4
braccia
fiorentine
(circa
m.
2,33),
a
esclusione
di
quelli
prossimi
alla
lanterna
che
sono
disposti
con
intervalli
un
po’
diversi.
In
senso
orizzontale
gli
anelli
distano
tra
loro
dai
200
ai
275
cm.
mantenendo
un
perfetto
allineamento
verticale
che
viene
meno
invece
per
gli
anelli
vicini
agli
spigoli
nella
zona
compresa
tra
il
secondo
ordine
di
occhi
e la
base
della
lanterna.
La
ricognizione
ha
individuato
pure
un
altro
tipo
di
anelli,
di
dimensioni
ridotte
limitati
alla
zona
alta
delle
vele,
e un
certo
numero
di
staffe
di
cui
ancora
si
ignora
il
significato
preciso,
benché
sicuramente
riconducibili
alle
operazioni
di
costruzione.
In
conclusione
si
osserva
come
l’intera
armatura
in
legno
progredisse
strutturalmente
con
l’erezione
della
cupola.
Un
secondo
disegno,
questa
volta
di
Gherardo
Mechini
(Firenze,
1589
–
ivi,
dopo
il
1617),
è
stato
a
lungo
inteso
come
una
riproduzione
del
castello
allestito
per
costruire
la
lanterna.
In
realtà
è da
ricondurre
alla
ristrutturazione
per
riparare
i
danni
causati
da
un
fulmine
che
la
colpì
nelle
prime
ore
del
27
gennaio
del
1601.
Lavori
conclusi
ufficialmente
nell’ottobre
del
1602
con
la
collocazione
della
croce
e
della
nuova
palla,
un
poco
più
grande
dell’originale
(per
il
disegno
si
veda
P. Galluzzi,
Gli
ingegneri
del
Rinascimento,
op.
già
citata,
p.
111).
Al
di
là
di
alcune
incongruenze
sia
nella
raffigurazione
prospettica,
che
hanno
ridotto
l’ottagono
della
lanterna
a un
esagono,
sia
nella
disposizione
di
alcuni
elementi,
quali
la
scala
tra
il
2° e
il
3°
piano
che
fuoriesce
dal
ponteggio
stesso,
o la
scala
successiva
spezzata
in 2
tronconi,
ci
si è
persuasi
che
sia
da
riferire
agli
interventi
del
XVII
secolo
e
non
alla
costruzione
della
cupola
per
l’assenza
delle
gru
appositamente
ideate
per
la
lanterna.
Sebbene
il
disegno
sia
riprodotto
a
memoria
a
distanza
di
molti
anni,
appare
insostenibile
credere
che
l’autore
non
abbia
rammentato
proprio
questi
macchinari,
limitandosi
a un
casotto
per
gli
attrezzi
sulla
destra,
a
una
portantina
da
far
scivolare
lungo
l’estradosso
della
cupola
e a
2
argani
elementari,
una
burbera
a
sinistra
che
solleva
un
secchio
forse
di
tela,
e
una
capra
vitruviana,
macchina
molto
semplice
che
si
può
smontare
e
rimontare
ovunque,
qui
sul
3°
ponte,
con
cui
tramite
due
taglie
e
una
ulivella
viene
alzato
un
grosso
blocco
di
pietra.