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N. 113 - Maggio 2017 (CXLIV)

costruzione della cupola di santa maria del fiore
ponteggi e macchine di filippo brunelleschi - parte II

di Maria Laura Corradetti

 

Brunelleschi realizzò due calotte, dove quella interna sorregge quella esterna, le quali procedendo verso l’alto tendono ad assottigliare lo spessore e ad avvicinarsi tra loro. La calotta esterna fu pensata quale riparo dall’umido per quella interna e perché tutta la costruzione apparisse magnifica e più imponente. Partendo dalla base ottagonale del tamburo:

 

«Ciascuna calotta è una cupola […] divisa in verticale in otto vele […] trapezoidali, unite fra loro da altrettanti sproni angolari, evidenziati all’esterno dal rivestimento in marmo. […] Le due cupole sono sorrette e collegate fra loro da uno scheletro in muratura […] costituito da ventiquattro sproni verticali […] e da segmenti orizzontali: le calotte sono così separate, ma nel contempo tenute saldamente congiunte da una sorta d’intelaiatura di meridiani e paralleli che attraversa lo spessore di entrambe» (E. Capretti, Brunelleschi, Firenze, 2003, p. 50).

 

Brunelleschi provvide poi a realizzare tra le due coperture un’intercapedine percorribile attraverso un sistema di scale, nonché un impianto di illuminazione e vari appigli in ferro in prossimità delle scale per agevolare il passaggio tra le due calotte. Rinsaldò ulteriormente l’architettura con anelli di pietra e tiranti in ferro. Grazie alla tecnica muraria adottata, per la quale si rimanda a bibliografia  specifica, gli 8 costoloni poterono essere eretti unitamente alle vele che per la particolare posa dei mattoni erano in grado di sostenerli in attesa di giungere alla sistemazione della chiave di volta, cioè alla chiusura della volta mediante una struttura ad anello detto «serraglio» proprio per la sua funzione di serrare, tenere insieme le calotte.

 

Non è questa la sede per analizzare sotto il profilo statico e strutturale la cupola, ma per avere un’idea del talento di Brunelleschi nel gestire e risolvere le problematiche insite nella costruzione della cupola senza un’armatura provvisoria a centine lignee come voleva la tecnica tradizionale (perché non avrebbe potuto sostenere il peso della volta fino alla chiusura, né arrivare a terra per la considerevole distanza dal suolo), si riportano di seguito alcune misure: il diametro del cerchio in cui è inscritto l’ottagono della pianta del tamburo, all’imposta della cupola, è di m. 41,98; la calotta interna ha uno spessore in basso di m. 2,22 che va assottigliandosi verso l’alto, fino a m. 2; La calotta esterna ha uno spessore da m. 0,96 a m. 0,40; l’anello di chiusura della cupola è alto da terra m. 86,70 circa; le vele trapezoidali hanno una base di m. 17,47 e l’altezza di m. 32, 65; l’intercapedine è larga m. 1,18; l’intera opera, comprensiva di lanterna e palla dorata, è alta m. 107 da terra; la cupola pesa 37.000 tonnellate.

 

Alla luce di questi dati è stupefacente non solo il fatto che Brunelleschi sia stato in grado di compiere quest’opera sfruttando una tecnica che rendesse la cupola autosufficiente, cioè in equilibrio e autoportante in ogni momento della sua realizzazione, ma anche che l’abbia completata fino all’occhio in soli 16 anni. Si reputa poi che proprio in virtù della sua capacità di accelerare i tempi di lavoro e di ridurre i costi, con l’ideazione di dispositivi atti a questo scopo, abbia ricevuto numerose e sostanziose ricompense.

 

Il prof. Paolo Galluzzi bene sintetizza le problematiche, non facilmente intuibili da parte dei non addetti ai lavori, quando dice: «Ricordiamo alcuni dati importanti. Il peso della cupola, dall’imposta sul tamburo fino all’occhio, è stimabile in circa 37.000 tonnellate. Se si aggiunge il peso dei ponteggi, degli operai, degli attrezzi, dell’acqua per fare la calcina e per bagnare la muratura, delle macchine, ecc. occorre stimare che il peso complessivo sollevato superò largamente le 40.000 tonnellate. L’imposta della cupola si trova a oltre 50 metri da terra, mentre l’occhio di chiusura è a 90 metri dal suolo. Il lavoro di muratura veniva condotto mediamente per meno di 200 giorni all’anno (sospensione invernale, per maltempo, pause tecniche, festività, ecc.). Ne deriva un complesso di circa 3.000 giornate di  lavoro dall’inizio della muratura fino alla chiusura dell’occhio. Ciò significa, in media, il sollevamento ogni giorno di oltre tredici tonnellate di materiali sui ponteggi allestiti internamente ed esternamente alla cupola durante il periodo di costruzione. Se, oltre al sollevamento da terra fino ai ponteggi, si considera anche la movimentazione di distribuzione dei materiali e le riprese di carico per posizionare con precisione i macigni, gli elementi dei costoloni di marmo e, nel serraglio di chiusura della cupola, i blocchi di pietra dai quali è formato (di circa 700 kg ognuno), il peso sollevato quotidianamente assume valori ancora più impressionanti» (P. Galluzzi, Gli ingegneri del Rinascimento – da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, Firenze, 2001, p. 21).

 

A tutto ciò si aggiungano le difficoltà nel creare sui ponteggi un punto di ristoro per la pausa pranzo (di modo che gli operai non perdessero tempo a scendere a terra e a risalire), nel dirigere tutte le maestranze coinvolte (in particolare per assicurarsi che rispettassero fedelmente le sue direttive) e nel fronteggiare con fermezza atti di insubordinazione degli operai che in considerazione anche dell’altezza del cantiere a un certo punto richiesero condizioni di lavoro più sicure. Tanto il Manetti che il Vasari documentano come in questa occasione strategicamente Brunelleschi si fosse rivolto a maestri lombardi (che, tra l’altro, avevano fama di particolare perizia nella lavorazione della pietra e, in più, erano avvezzi a lavorare nei grandi cantieri delle cattedrali del Nord) in sostituzione dei precedenti operai, i quali si videro costretti a ritornare sui loro passi e a farsi riassumere accettando un salario ridotto.

 

Non scordiamoci poi le diatribe con il Ghiberti e i suoi sostenitori, in primis Giovanni di Gherardo da Prato. Questi, chiamato anche semplicemente Giovanni da Prato, nominato nel 1420 vice-provveditore alla costruzione della cupola, fu un feroce antagonista del Brunelleschi. Infatti in qualità di consulente per la cupola criticò con forza il suo metodo costruttivo, cercando di invalidarne l’efficacia, al punto da presagire il collasso della struttura. Il tutto è illustrato in una pergamena da lui redatta nel 1425-26 (conservata nell’Archivio di Stato di Firenze, inv. Mostra 158), dove riporta i disegni di voltatura della cupola integrati da spiegazioni scritte a margine della pergamena stessa.

 

Anche se studi del settore tendono in un certo senso a ridimensionare il protagonismo di Brunelleschi nella realizzazione architettonica della copertura rivalutando, nella dissertazione iniziale per risolvere lo stallo in cui si trovava la cattedrale, il contributo collettivo di maestri più o meno noti, egli è riconosciuto all’unanimità come artefice indiscusso della ideazione e gestione del cantiere e delle macchine utilizzate, nobilitando intellettualmente il proprio ruolo per la capacità di far convergere su di sé la direzione e il controllo dei lavori dalla fase progettuale a quella esecutiva e riducendo di fatto le maestranze artigiane a semplici esecutrici alle sue dipendenze.

 

Si reputa che avesse fatto costruire un’impalcatura aerea che si innalzava gradualmente in concomitanza con il procedere dei lavori di costruzione, al fine di innalzare all’unisono tutte le vele, partendo da una postazione fissa situata sopra il tamburo che sfruttava come appoggio il ballatoio interno, oltre a essere sostenuta da travi inserite in ben 48 buche pontaie distribuite lungo il tamburo stesso.

 

Un disegno di Giovan Battista Nelli, Soprintendente dell’Opera (Contenuto nel suo libro Piante ed alzati interiori di S. Maria del Fiore, composto negli anni 1695-1725 ed edito a Firenze nel 1755. Si può tuttavia ammirare anche in E. Capretti, Brunelleschi… op. già citata, p. 45), derivato forse da un autografo del Brunelleschi del 1419, nonostante alcune incertezze soprattutto di rapporti di proporzione, induce a ipotizzare che per alloggiare anche le macchine da cantiere indispensabili per il sollevamento, trasporto e posizionamento in situ di grossi e pesanti elementi, Brunelleschi abbia dovuto sopraelevare il ponteggio fisso (la fig. 1 riproduce nelle linee essenziali il disegno del Nelli).

 

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Fig. 1: Ricostruzione ipotetica dei ponteggi interni della cupola.



 

 

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