N. 141 - Settembre 2019
(CLXXII)
cosimo russo, poeta della speranza
la
breve
vita
di
un
poeta
senza
tempo
di
Oronzo
Russo
Di
Cosimo
Russo
ricorderò
il
sogno
di
una
condizione
favorevole,
una
proiezione
intenzionale
e
soggettiva
dove
incandescente
è il
crogiolo
di
trasporti
amorosi,
di
desideri,
di
riflessioni,
di
incanti
che
si
affretta
ad
affidare
alle
stelle.
Si
può
dire,
quindi,
che
la
poesia,
la
sua
poesia,
fa
da
sutura
tra
il
reale
e
l’immaginario.
Non
accetta,
però,
strani
e
stravaganti
espedienti
del
mestiere
per
fini
spettacolari,
ma
di
un
abito
contratto
attraverso
la
familiarità
con
l’ambiente
che
la
sua
terra
propone.
Ecco
perché
hai
quasi
la
certezza
che
egli
abbia
creato
arabeschi
pittorici
che
si
modellano
sulle
strutture
concettuali
dei
versi.
La
sua
poesia
non
ha
bisogno
di
alcun
belletto
perché
trova
sempre
simpatiche
e
forti
valenze.
Questo
mi
ha
convinto
a
intravvedere
in
Russo
una
sorta
di
prontuario
per
affrontare
l’ignoto
quotidiano,
in
pretesti
quasi
narrativi,
illustrate
cronache
di
una
quotidianità
sprofondata
nella
terribile,
kafkiana
verticalità
del
subconscio.
Mi
spiego
così
gli
scenari
conflittuali,
in
una
raffica
di
immagini
graffianti
e
ruvide,
di
parole
intrise
di
remote
nostalgie,
di
esistenze
e
luoghi
pietrificati.
Mi
accontenterò
di
vivere
nella
solitudine
della
mia
strada;
È
come
bere
un
bicchiere
d’acqua
che
non
ha
fine.
Va
riconosciuta
anche
a
Russo
un’eccezionale
abilità
di
incastonare
le
conoscenze
dei
luoghi
e
delle
tradizioni,
delle
credenze
popolari
e
delle
sensazioni
emotive
che
solo
chi
conosce
questa
terra
può
descrivere.
Infatti,
troveremo
in
spazi
e
luoghi,
quella
finezza
cesellatrice
del
colore,
come
solo
un
artista
del
suo
calibro
può
avvertire.
La
sua
Gagliano,
la
conoscenza
di
tradizioni
e
paesaggi,
un’ambientazione
scenica
sempre
attuale
e
pur
lontana
nel
tempo.
La
conoscenza
dei
luoghi
è
alla
base
della
sua
arte.
Solo
chi
ama
il
Capo
di
Leuca,
chi
ne
conosce
le
albe
e i
tramonti,
il
pastoso
silenzio
dei
pomeriggi
assolati
di
scirocco,
la
brezza
vivificatrice
di
tramontana,
il
profumo
dei
fiori
dei
giardini.
In
pratica
uno
scrigno
prezioso
da
cui
trarre
emozioni.
Mirabile,
a
nostro
avviso,
è la
sua
abilità
descrittiva
dell’animo
umano.
Per
cui
è
facile
scoprire
un
mondo
nel
quale
si
agitano
le
pulsioni
del
vivere
quotidiano
e
nel
quale
si è
nudi
sotto
il
cielo:
è
questa
la
dimensione
solitaria
e
verticale
del
suo
dramma,
l’essenza
dell’uomo
che
si
guarda
dentro,
che
misura
l’abisso,
quasi
un
tumore
che
dilania
l’anima.
Vivere
e la
paura
di
vivere
(Saltellavo
allora
nel
nulla
nel
grembo
gelatinoso
del
possibile
aspettando
il
salto
nella
dannazione
terrena)
e,
quindi,
la
noia
e la
paura
del
niente,
dello
sprofondamento,
della
dispersione
nella
sabbia,
che
è
poi
pura
umanissima
paura
della
morte.
Per
continuare
a
sognare
un
mondo
diverso
rinunciando
all’angosciante
interrogativo
di
un
destino
che
manovra
la
storia
e
incombe
sull’uomo
come
un
leviatano
arcigno
e
impietoso.
No,
forse
sa
cosa
lo
attende.
Mitiga
col
sorriso,
ama
la
madre
ultima
oasi,
sconfigge
la
disperazione
fugando
ogni
pensiero,
s’immerge
nella
poesia,
sente
“la
pentola
bollire,
si
rivede
dietro
un
vetro
appannato
a
disegnar
col
dito”.
Sperdersi
nella
speranza?
Pessimismo?
Ma
no,
è
l’umanissimo
Cosimo
che
ama
la
vita.
(Quanto
più
si
rafforza
in
me
la
coscienza
del
nulla,
tanto
più
cerco
di
moralizzare
le
mie
giornate).
Speranza
sì,
poi
c’è
Dio.
Se
c’è.
La
poesia
di
Cosimo
Russo,
quindi,
appartiene
a
ognuno
e a
tutti
noi
perché
l’ansia
dell’assoluto
è
connaturata
a
ogni
essere
umano,
che
la
intuisce
nel
buio
di
una
vita
senza
domani.
E
allora?
E
allora
non
resta
che
scombinare
le
regole,
rimettere
in
discussione
il
gioco,
o
tentare
un
imprevedibile
riscatto.
Appunto,
quello
di
Cosimo
che
non
si
rassegna
a
una
vita
senza
tempo.
Ecco
perché
diciamo
che
il
suo
scritto,
in
definitiva,
è un
segnale
di
timida
speranza
di
una
vita
diversa.
È,
infine,
un
libro
di
riscatti,
che
non
sono
mai
una
facile
conquista
nell’immensa
e
sconfinata
natura,
ma è
spalancare
porte
su
ignoti
confini
inseguendo
quel
poco
di
immortalità
che
ci
salva
dall’oblio
e
dall’avvilimento
del
niente.
Infatti,
è
capace
di
scavare
un’area
grandissima
e
vertiginosa
dove
il
protagonista
precipita
e si
muove
come
anima
persa,
prigioniero
di
un
altro
da
sé,
incombente
e
tirannico.
Portato
ad
agire
a
ridosso
di
una
normalità
in
perenne
affanno,
problematica
e
lunare,
concessa
alla
ribalta,
nello
spazio
scenico
della
pura
e
innocente
finzione
che
contiene
e
delimita
l’arido
scenario
che
la
madre
proietta
già
nel
titolo
“Ancora
una
volta”
in
un
immaginabilissimo
futuro
disumano.
Ora,
a
qualche
anno
dalla
sua
dolorosa
scomparsa,
possiamo
con
certezza
affermare
che
la
vita
di
Cosimo
e la
sua
opera
sono
un
documento
umano
di
un
atto
d’amore,
di
una
malia,
di
un
incantamento.
E di
un
giuramento
di
lealtà.
Non
altrimenti
saprei
definire,
infatti,
la
sua
passione
per
la
verità,
anche
dolorosa,
che
lo
ha
sempre
inseguito,
forse
colpa
della
durissima
iniziazione
misterica
al
lavoro
e al
sacrificio
per
l’arte
che
si
scopre
sin
da
tenera
età.
L’arte
a
tutti
i
costi,
l’ansia
di
arrivare,
grazie
anche
a
una
meticolosa,
più
che
pignola
ricerca
che
fa
intuire
che
le
rinunce
non
sono
state
indolori,
che
i
vuoti
a
rendere
sono
stati
tanti,
sino
all’ultimo
giorno,
anche
per
colpa
di
un
apprendistato
erratico
e
avventuroso
che
lo
ha
sempre
incalzato
per
tutta
la
vita,
per
l’ansia
di
mettersi
in
discussione.
La
sua
è sì
la
storia
di
uno
studioso
d’oggi
e,
forse,
d’altri
tempi,
ma
anche
la
storia
speculare
di
chi
vuole
un
Salento
senza
imbonitori
e
false
speranze,
religioni
fasulle
ed
eremiti
senza
domani.
Ecco
spiegate
le
sue
pagine
intense,
storie
di
varia
umanità,
interessi
a
giro
periscopico
per
un’intelligenza
che
non
ha
avuto
padroni.