ALLA CORTE DI SAN PIETROBURGO
EVOLUZIONI SETTECENTESCHE / II
di Leila Tavi
Il regno di Pietro il Grande è
considerato un punto di svolta nella
storia della diplomazia russa. La
partecipazione della Russia nella
Guerra del Nord per l’egemonia
sul mar Baltico nel 1700 fu
l’occasione per intensificare i
rapporti politici con alcuni regni
dell’Europa (Danimarca, Norvegia,
Polonia e Sassonia), soprattutto
dopo la grave sconfitta che le forze
armate russe subirono a Narva,
il 30 novembre del 1700, a opera
dell’esercito di Carlo XII di
Svezia. La battaglia fu combattuta
da 40.000 uomini per la Russia e da
soli 10.000 per la Svezia, che
difesero in modo valoroso,
nonostante la palese inferiorità
numerica, la città che oggi si trova
nell’Estonia nord-orientale.
Quell’evento fu la dimostrazione di
come le forze armate russe non
fossero preparate in modo adeguato
per affrontare eserciti ben
organizzati e con una lunga
tradizione come quelli europei, che
durante il secolo precedente, il
Seicento, fu contrassegnato da
numerose guerre, tra cui la più
lunga e sanguinosa fu la Guerra
dei Trent’Anni (1618-1648). Con
la pace di Vestfalia, infatti, i
regni che si erano affrontati sui
campi di battaglia in Europa si
resero conto della necessità di
organizzare eserciti professionali
permanenti, formati da uomini
addestrati con regolarità e
disciplinati, pagati e legati allo
Stato e non assoldati in occasione
delle guerre. Nella Guerra dei
Trent’Anni la Svezia si distinse per
le sue strategie militari, che
scaturivano in modo diretto dalle
riforme militari attuate a inizio
Seicento da Gustavo II Adolfo Vasa
(1594-1632) e ispirate dai
provvedimenti attuati dagli olandesi
nella loro decennale lotta contro la
Spagna.
La necessità da parte dell’Impero
russo di ripensare la strategia
militare si intensificò con lo
scoppio della Guerra di
successione spagnola, scoppiata
in seguito alla morte nel 1700
dell'ultimo re di Spagna della casa
d'Asburgo, Carlo II. L’Europa si
trovò, perciò, tra due fuochi e
l’azione diplomatica fece da
contrappeso all’azione militare. Fu
proprio in occasione di questo
delicato periodo che le prime
delegazioni permanenti di
diplomatici russi furono inviate
nelle principali capitali europee.
Le prime missioni diplomatiche
inviate da Pietro I all’estero
rappresentarono un punto di svolta e
un’apertura verso l’Occidente. Fino
alla fine del XVII secolo, a
differenza di altri Paesi europei,
la Moscovia era, infatti,
riluttante a permettere missioni
straniere permanenti a Mosca. Allo
stesso modo, le missioni russe
all’estero erano visite temporanee,
a eccezione dei rapporti diplomatici
con la Polonia, che rappresentava un
serio interesse per Mosca, poiché
era uno dei principali centri delle
attività diplomatiche moscovite. Il
primo inviato russo a Varsavia
giunse nel 1668 e vi rimase un
anno. In seguito una seconda
missione giunse nel 1673 e vi restò
per un quadriennio. Dal 1688
un’ambasciata permanente russa si
insediò a Varsavia. Possiamo
considerare questa la prima
rappresentanza diplomatica russa.
In precedenza vi furono due
significative missioni diplomatiche
all’estero. La prima fu nel 1634,
quando Dmitrij Andreevič
Francbekov fu inviato a
Stoccolma come agente
diplomatico. Arrivato nel marzo 1635
con il suo entourage, rimase solo un
anno e nell'aprile 1636 fu
richiamato a Mosca. Successivamente
Francbekov divenne il voivoda di
Jakutsk e appoggiò Vasilij Danilovič
Pojarko, suo subalterno e amico,
nella conquista dell’Amur. Nel 1660
John Hebdon, commerciante e
mercante di origini londinesi, fu
inviato da Alessio Michajlovič
Romanov (Алексей Михайлович
Романов) come emissario in diversi
Paesi dell'Europa occidentale. La
sua missione più lunga fu in Olanda,
dove rimase per quattro anni, prima
di fare ritorno a Mosca nel 1664. In
entrambi i casi si trattò, però,
principalmente di missioni a scopo
commerciale, più che diplomatico,
soprattutto per quanto riguarda il
viaggio di Hebdon.
Per tutto Seicento ci furono
soltanto pochi tentativi di
stabilire missioni permanenti
all'estero. La politica di
isolamento condotta dallo Zarato
russo fino al regno di Pietro I
guardava con diffidenza alle
missioni straniere, che avrebbero
potuto influenzare in modo negativo
la cultura e la tradizioni russe.
Vigeva nella regno il divieto di
viaggiare all’estero, se non per i
pochi eletti, incaricati
direttamente dallo zar.
L’isolamento dello Zarato durò a
lungo, basti pensare che soltanto
nel 1682 Fëdor III Alekseevič
Romanov (Фёдор III Алексеевич
Романов) abolì il ме́стничество
(mestničesvto), termine che
prende origine dal protoslavo město
(posto, luogo, ma anche posizione).
Fu un rigido sistema gerarchico di
tipo feudale in vigore dal XV al
XVII secolo. Il mestničesvto
era un complicato sistema di
anzianità che stabiliva quali posti
di governo un боя́рин (bojarin
- boiardo), titolo posseduto
soltanto dagli alti ranghi della
nobiltà, potesse occupare. Si basava
sull'anzianità del singolo
all'interno di una famiglia
aristocratica russa allargata, da un
lato, e sull'ordine di precedenza
delle famiglie, dall'altro. La
gerarchia delle famiglie era
calcolata sulla base dei registri
storici delle nomine di alto
livello, che risalgono al 1475 e
chiamati Разряды (Razrjady).
Il nome aveva origine dal termine
razriad che significa sezione,
divisione o categoria. Si trattava
di registri annuali che includevano
la nomina dei nobili a varie
cariche, oltre a descrizioni delle
principali campagne militari,
informazioni sui matrimoni dei
sovrani e dei loro parenti, sui
ricevimenti degli ambasciatori,
sulle onorificenze conseguite per il
servizio prestato.
Una volta abolito il mestničesvto
fu il Бархатная книга (Barchatnaja
kniga) il registro ufficiale della
nobiltà russa. Istituto durante la
reggenza di Sof'ja Alekseevna
Romanova (Со́фья Алексе́евна),
prese il nome di Libro di velluto
per la legatura in velluto rosso del
volume. Il registro comprendeva
l'antico registro genealogico del
1555, il Государев родословец
(Gosudarev Rodoslovec - Il libro
genealogico del Sovrano), con gli
alberi genealogici delle case
principesche dei Rjurikidi (Рю́риковичи
- Rjurikoviči) e dei Gediminidi
(dall’ucraino Гедиміновичі -
Hedyminovyči). Inoltre,
un'importante appendice conteneva
una serie di genealogie che
riguardano famiglie nobili, ma non
principesche, sulla base dei loro
registri familiari. Nonostante la
politica dell’isolamento e
l’avversione per la cultura e per le
tradizioni delle corti europee
occidentali, tra questi nobili russi
di rango inferiore era di moda far
risalire la propria discendenza a un
immigrato straniero, anche se tale
discendenza non fosse vera. Per
molti anni abbondarono le genealogie
di fantasia di ogni tipo tra i
Russi, a conferma della curiosità e
dell’ammirazione che la nobiltà
russa aveva per quella europea.
Riferimenti bibliografici:
Altbauer, Dan. "The diplomats of
Peter the Great." Jahrbücher für
Geschichte Osteuropas H. 1
(1980): 1-16.
BantyS-Kamenskij, Nikolaj N.
Obzor vnesnich snosenij Rossii:(po
1800 god). Tipografija G.
Lissnera i A. Gešelja, 1902.
Mears, John A. "The Emergence of the
Standing Professional Army in
Seventeenth-Century Europe."
Social Science Quarterly (1969):
106-115.