contemporanea
SUI messaggi di Roosevelt a Hitler e Mussolini
per scongiurare la guerra
di Francesco Cappellani
L’avvocato newyorkese Franklin Delano
Roosevelt entra in politica nel 1910,
con l’elezione a senatore democratico
dello Stato di New York e in seguito con
la nomina a sottosegretario di Stato
alla Marina, incarico che mantiene dal
1913 al 1920.
Nel 1921,
a trentanove
anni, colpito da poliomielite agli arti
inferiori,è costretto sulla sedia a
rotelle, ma continua a impegnarsi
strenuamente nell’ambito del suo partito
divenendo nel 1928 governatore dello
Stato di New York, carica in cui sarà
riconfermato nel 1930. A fine novembre
1932 viene eletto presidente degli Stati
Uniti, battendo largamente Hoover.
Entrato in carica nel marzo 1933 inizia
un complesso programma di riforme
economiche e sociali, note col nome di
New Deal, che si estenderanno lungo gli
altri suoi due successivi mandati, per
risollevare il Paese dalla grande
depressione del 1929 fino alla piena
ripresa dell’economia nel 1939. Rieletto
per la terza volta alla presidenza alla
fine del 1940, si adopera
instancabilmente per allontanare lo
spettro della guerra che le politiche e
i discorsi infuocati di Hitler già nel
1938 facevano temere, inviando allarmati
messaggi di pace al capo del Reich e poi
anche a Mussolini.
Un primo messaggio di Roosevelt a Hitler
risale al 27 settembre 1938 quando le
minacce da parte nazista di annettere il
territorio dei Sudeti in Cecoslovacchia
erano diventate pressanti, temi ripresi
e ampliati dal presidente degli USA il
14 aprile del 1939, in una nuova e più
decisa lettera a Hitler, con copia a
Mussolini, che inizia con la frase
seguente: «Sono certo che vi rendiate
conto che in tutto il mondo centinaia di
milioni di esseri umani stanno vivendo
oggi nel costante timore di una nuova
guerra o anche di una serie di guerre».
Prosegue dicendo che, considerato che
non ci sono attualmente truppe in
marcia, questo è ancora il momento
giusto per recepireil messaggio.
Aggiunge che la sua proposta di un
accomodamento dei vari problemi
politici, economici e sociali mediante
metodi pacifici non aveva avuto seguito
e purtroppo gli eventi successivi
riportano alla minaccia delle armi: «Se
queste minacce continuano, sembra
inevitabile che una larga parte del
mondo ne resti coinvolta in una rovina
comune. Tutto il mondo, nazioni
vittoriose e vinte, e anche le nazioni
neutrali soffriranno pesantemente. Io
rifiuto di credere che il mondo è
necessariamente, prigioniero di un tale
destino. Al contrario, è chiaro che i
Leaders delle grandi nazioni hanno nelle
loro mani il potere di liberare i loro
popoli dal disastro che li minaccia».
Afferma poi che ci sono state delle
“annessioni” per cui già alcuni Stati in
Europa (Austria, Cecoslovacchia e
Albania) e uno in Africa (Etiopia) non
sono più nazioni indipendenti e che atti
aggressivi vengono riportati nei
confronti di altre nazioni. Il mondo sta
andando verso una catastrofe a meno che
non intervenga un atteggiamento
razionale per gestire gli eventi.
«Lei ha ripetutamente affermato che lei
e il popolo tedesco non avete alcun
desiderio di guerra. Se questo è vero,
non c’è necessità di guerra.
Poiché gli Stati Uniti non sono
coinvolti nelle controversie attuali in
Europa, penso che Lei potrebbe
riconfermare questa asserzione a me come
capo di una nazione lontana dall’Europa
in modo che io possa, agendo da
intermediario, comunicare questa
dichiarazione alle altre nazioni che
sono in apprensione per il corso che la
politica del Reich ha intrapreso».
Poi
Roosevelt pone la questione in termini
precisi: «Potete assicurarmi che le
vostre forze armate non attaccheranno o
invaderanno i territori o i possedimenti
delle seguenti nazioni indipendenti:
Finlandia, Estonia, Lituania, Lettonia,
Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda,
Belgio, Gran Bretagna e Irlanda,
Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera,
Liechtenstein, Lussemburgo, Polonia,
Ungheria, Romania, Jugoslavia, Russia,
Bulgaria, Grecia, Turchia, Iraq, Arabia,
Siria, Palestina, Egitto e Iran.
Questa garanzia deve valere non solo
adesso ma anche in un futuro
sufficientemente lontano in modo da
costruire con metodi pacifici una pace
permanente. Se il suo governo mi
conferma questa assicurazione, io la
trasmetterò immediatamente ai governi
menzionati che certamente mi daranno
un’analoga assicurazione nei suoi
confronti».
Dopo avere ancora insistito sulla
possibilità di colloqui chiarificatori,
ed eventualmente di una grande
conferenza mondiale, Roosevelt conclude
il messaggio così: «Penso che non
fraintenderete lo spirito di franchezza
del mio messaggio. I capi dei grandi
governi sono in queste ore responsabili
del destino dell’umanità negli anni a
venire. Essi non possono ignorare le
preghiere dei loro popoli che invocano
di essere protetti dal prevedibile caos
della guerra. La Storia li riterrà
responsabili delle vite e della felicità
di tutti, fino all’ultima persona. Spero
che la sua risposta permetterà
all’umanità di non avere paura e di
riguadagnare sicurezza per molti anni a
venire».
Si tratta di un messaggio idealistico e
forse ingenuo, nobile nella forma e
negli intenti, ma che riletto oggi dà un
senso di patetica irrealtà, considerati
i già ben noti atteggiamenti di Hitler
rivolti a realizzare con la forza un
pangermanesimo europeo e a quelli di
Mussolini sempre più legato all’alleato
tedesco. In Italia il Duce da prima si
rifiuta di leggere il messaggio, poi lo
definisce “un frutto della paralisi
progressiva”.
Stupisce questa frase derisoria da parte
di un uomo che nel 1936 aveva assistito
impotente e disperato alla poliomielite
che aveva aggredito la figlia Anna
Maria. Göring asserisce che il messaggio
dimostra che «Roosevelt soffre di una
incipiente malattia mentale». Il
Popolo d’Italia, il giornale del
regime, condanna aspramente lo scritto
di Roosevelt affermando che «una
semplice lettura del documento rivela la
sua incommensurabile superficialità e la
sua grossolana incoerenza e la tipica
mentalità demagogica e pretestuosa».
Aggiunge che il messaggio dimostra
l’ignoranza della storia e della
geografia e che non vengono spiegate le
giuste ragioni che hanno portato i tre
Stati menzionati a perdere
l’indipendenza. E conclude dicendo che «L’Italia
fascista, reagendo con tutte le proprie
forze al messaggio, è sicura di non
respingere ogni serio e nobile tentativo
di pace ma si oppone a una manovra che
tende a nascondere il lavoro di persone
che realmente vogliono la pace e la
stanno creando pietra su pietra».
Mussolini, parlando il 20 aprile in
Campidoglio, risponde alla proposta di
Roosevelt in tono rassicurante e
pacifista, affermando che era ingiusto
mettere l’Italia sul banco degli
accusati. Poi però accusa il presidente
di “seminare il panico” e di “interessi
più o meno inconfessabili”.
La risposta di Hitler è espressa a fine
aprile in una conferenza di due ore al
Reichstag dove, dopo una lunghissima e
articolata premessa, risponde e ribatte
punto per punto al “singolare
messaggio” di Roosevelt. Inizia
dicendo di avere ricevuto dalla
Provvidenza il modo di liberare il
popolo tedesco dagli abissi della
miseria senza spargimento di sangue e di
averlo riportato ancora una volta in
alto, riscattandolo dalla sconfitta e
liberandolo dalle scandalose imposizioni
del trattato di Versailles.
Spiega poi in ogni dettaglio i motivi
dell’inglobamento di alcuni territori
limitrofi al Grande Reich coma la Saar,
la Boemia e Moravia etc. che erano
storicamente zone di pertinenza
germanica, e che comunque queste
annessioni non tradivano i patti di
Monaco. Parla della proposta inoltrata
al governo polacco affinché Danzica
ritorni a essere un libero stato nel
contesto del Reich. Afferma che la
Polonia, a seguito di una campagna
internazionale di menzogne, pensa di
dovere mobilitare l’esercito anche se la
Germania non ha richiamato alcun soldato
né pensato di prendere alcuna misura
contro la Polonia. L’intenzione della
Germania di attaccare è stata
un’invenzione del tutto gratuita della
stampa internazionale.
A Roosevelt che parla di eventi che
portano alla guerra portando a una
rovina comune tutti i popoli, Hitler
risponde che «per quanto riguarda la
Germania, non so nulla del genere di
minacce ad altre nazioni, malgrado io
legga menzogne su queste minacce ogni
giorno nei giornali democratici» e
aggiunge che non solo non ha mai
intrapreso guerre, ma che da anni
dichiara di aborrirle e che infine non
capisce per quale motivo dovrebbe
scatenarle. Poi parla della pochezza
della Lega delle Nazioni e si chiede
perché, a livello di una conferenza
internazionale sponsorizzata dagli USA,
toccherebbe solo alla Germania precisare
in dettaglio i suoi intenti con
dichiarazioni di non aggressione verso
le molte nazioni elencate nel messaggio
di Roosevelt. In altre parole, la
conferenza non deve essere una sorta di
tribunale per giudicare i propositi del
Reich.
Hitler conclude ripetendo che la
Provvidenza gli ha assegnato il popolo
tedesco, ma «io credo così di potere
essere utile nel modo migliore a ciò che
è nel cuore di tutti noi – giustizia,
benessere, progresso e pace per tutto il
genere umano».
Il giornalista americano William Shirer,
che era presente alla conferenza,
scrive: «Gli obesi deputati si
agitavano con rauche risate mentre il
Führer metteva senza posa in ridicolo,
con crescente efficacia, il presidente
americano. A uno a uno esaminò i vari
punti del telegramma di Roosevelt; ogni
volta faceva una pausa quasi sorridendo,
poi, con tono da maestro, pronunciava a
bassa voce la parola “risposta” e
rispondeva».
Shirer ricorda che dopo la parola
Antwort (risposta), Göring si
sforzava di reprimere un sorriso e i
membri del Reichstag si preparavano a
gridare e a ridere non appena ascoltata
la risposta.
Pochi mesi dopo questa appassionata
difesa della pace, falsa e ipocrita in
quanto “soltanto tre settimane prima
Hitler aveva dato ordini scritti alle
forze armate perché si preparassero a
distruggere la Polonia per il primo
settembre al più tardi”, il Führer
inizierà, con l’invasione della Polonia
il primo settembre 1939, la seconda
guerra mondiale.
Pochi giorni prima, il 24 agosto 1939,
Roosevelt invia un altro messaggio a
Hitler preoccupato per la piega che
stanno prendendo gli avvenimenti
riguardanti il rapporto
Germania-Polonia. Ricorda al Cancelliere
il senso del suo messaggio del 14 aprile
improntato alla necessaria e durevole
ricerca della pace mediante conferenze e
discussioni ma mai con le armi. Propone
a Hitler, e, in parallelo, al presidente
della Polonia, diverse soluzioni
pacifiche ma urgenti come la
negoziazione diretta, l’affidamento
della controversia a un arbitrato
internazionale di fiducia, oppure
appoggiandosi a un conciliatore neutrale
non coinvolto nelle querelles europee.
Conclude così il messaggio: «Insisto
reiteratamente e con forza affinché i
governi di Germania e Polonia vogliano
risolvere le loro controversie in uno
dei modi suggeriti; il governo USA è
pronto a contribuire per la sua parte
alla soluzione di problemi che rischiano
di coinvolgere la pace mondiale nei
termini espressi nel mio messaggio del
14 Aprile».
Il 24agosto del 1939 Roosevelt, sempre
più preoccupato, si rivolge anche a
Vittorio Emanuele III con un telegramma
dove afferma che «Nuovamente una
crisi mondiale mette in chiaro la
responsabilità dei capi delle nazioni
per il destino del loro stesso popolo ma
anche dell’intera umanità».
Si riferisce al suo messaggio del 14
aprile dove proponeva una dichiarazione
d’intenti delle principali nazioni che
scongiurasse qualsiasi inizio di
ostilità. Chiede al re di formulare
proposte per una soluzione pacifica
della crisi e conclude dicendo che «il
governo italiano e gli Stati Uniti
possono oggi portare avanti quegli
ideali cristiani che ultimamente
sembrano così spesso offuscati. Le voci
inascoltate di milioni di esseri umani
chiedono di non essere nuovamente
sacrificati invano».
La risposta del nostro re è di due
righe: «Vi sono grato per il vostro
interesse. Trasmetterò immediatamente il
vostro messaggio al mio Governo. Come è
noto a tutti, noi abbiamo fatto e stiamo
facendo il possibile per assicurare pace
e giustizia».
Ciano commenta che il messaggio di
Roosevelt gli sembra inconcludente. Il
25 agosto il Presidente Roosevelt
rivolge un nuovo appello a Hitler
dicendo che la sua proposta d’accordo è
stata accettata dal governo polacco con
la proposta di una negoziazione diretta.
Conclude dicendo che «innumerevoli
vite umane possono ancora essere salvate
e si può sperare che le nazioni del
mondo moderno possano finalmente
costruire le fondamenta per una pacifica
e più felice convivenza, se Lei e il
Governo del Reich accetterete i metodi
pacifici di accordo accettati dal
Governo polacco. il mondo intero prega
affinché la Germania sia d’accordo».
Tutto inutile, il primo settembre 1939
Hitler invia all’esercito tedesco il
seguente proclama: «Lo Stato polacco
ha rifiutato la composizione pacifica
delle nostre relazioni che io auspicavo,
ed è ricorso alle armi. I tedeschi in
Polonia sono perseguitati con
sanguinario terrore e strappati dalle
loro case. Una serie di violazioni della
frontiera, intollerabile per una grande
potenza, dimostra che la Polonia non
intende più rispettare la frontiera del
Reich. Per porre fine a questa follia,
non ho altra scelta che usare da ora in
poi la forza. L’esercito tedesco
combatterà la battaglia per l’onore e i
diritti vitali della rinata Germania con
grande determinazione…».
Inizia la Seconda guerra mondiale. Due
giorni dopo Francia e Inghilterra,
rispettando gli impegni presi in
primavera nei confronti della Polonia,
dichiarano guerra alla Germania.
L’aggressione nazista ha precipitato di
fatto l’Europa in un conflitto che
presto assumerà dimensioni spaventose.
All’inizio dell’inverno del 1940
Roosevelt, informato dai suoi
ambasciatori della piega sempre più
tragica della situazione in Europa
provocata dal governo nazista, invia il
segretario di Stato Summer Wells, in
qualità di suo rappresentante personale,
a visitare le capitali delle nazioni
alleate e delle due potenze dell’Asse,
per avere informazioni immediate e di
prima mano sugli avvenimenti europei e
sulla possibilità di bloccare
l’espandersi delle ostilità.
Nelle parole di Wells: «I Governi
dell’Asse erano convinti che, anche se
alla fine gli Stati Uniti si fossero
svegliati dal loro letargo, una
preparazione militare adeguata, sia pure
per l’autodifesa, si sarebbe ottenuta
tanto in ritardo da non essere di alcun
valore pratico. (…) In tali circostanze
il massimo che gli Stati Uniti potevano
sperare di ottenere era di prevenire
l’entrata in guerra dell’Italia a fianco
della Germania».
Questo sentimento è testimoniato da un
articolo del luglio 1940, quindi dopo
l’entrata in guerra dell’Italia il 10
giugno, del giornalista Luigi Barzini
che, dopo avere accennato allo
sbalordimento dell’America a seguito
della caduta dell’Olanda, del Belgio e
della Francia con l’Inghilterra «battuta,
isolata, bloccata assediata e
bombardata, condannata senza scampo alla
resa e alla distruzione», analizza
le capacità belliche degli USA parlando
«di un esercito americano che nella
scala delle grandezze occupa il
diciannovesimo posto (…). Nel momento
attuale, secondo dati ufficiali
pubblicati lo scorso mese, l’esercito
americano è composto da
duecentoventisettemila soldati. Si
rimane meravigliati constatando che, in
fatto di armamenti ultramoderni,
l’esercito americano non possiede che
centosessantatre cannoni controaerei,
duecentoventi cannoni anticarro,
quattrocento carri pesanti e cinquecento
leggeri (…)».
E prosegue: «Il New York Times ha
scritto che gli Stati Uniti sono
potenzialmente la nazione militare più
forte del mondo. Può darsi, ma non si
fanno le guerre con elementi potenziali,
con gli uomini che potrebbero
teoricamente essere arruolati e con le
armi virtualmente costruibili. (…)
L’industria aeronautica dovrebbe essere
quintuplicata per arrivare a produrre
quei cinquantamila aeroplani all’anno di
cui parla Roosevelt e che, senza bisogno
di esistere, contribuiscono potentemente
alla sua campagna elettorale».
Conclude dicendo che «Il riarmo sarà
una questione di anni, prima che esca
dalla carta».
Summer Wells arriva a Roma il 25
febbraio per poi recarsi a Berlino e a
Parigi e infine a Londra. Conclude la
sua missione il 19 marzo 1940 dopo una
nuova visita a Roma. È interessante il
commento di Galeazzo Ciano sui colloqui
con Wells.
In data 16 marzo leggiamo nel suo
diario: «L’elemento più importante
che ne è risultato è questo: a Londra e
Parigi non esiste la minima parte di
quella intransigenza che confermano nei
discorsi e nei giornali. Con certe
garanzie di sicurezza sarebbero pronti a
mollare, più o meno, e riconoscere il
fatto compiuto. Su questa strada, se la
battono veramente, si avviano verso la
sconfitta. Se Hitler ha qualche dubbio
circa l’attacco, cadrà subito quando
saprà da Mussolini di queste
tergiversazioni delle democrazie».
Dal resoconto di Wells, Roosevelt, in
una dichiarazione del 29 marzo, capisce
che vi sono oramai «esigue
prospettive per stabilire una pace
giusta e durevole in Europa». Tenta
allora, vista la totale intransigenza di
Hitler, di rivolgersi a Mussolini per
cercare non solo di convincerlo a non
entrare in guerra, ma soprattutto di
fermare il Führer nella sua forsennata
sete di rivincita contro le plutocrazie
del patto di Versailles.
Il 29
aprile 1940 invia un telegramma tramite
il suo ambasciatore in Italia William
Phillips, che inizia con la frase “My
dear Signor Mussolini” e prosegue
lodando il non interventismo del Duce e
sottolineando che una ulteriore
estensione dell’area delle ostilità, che
porterebbe all’entrata in guerra di
altre nazioni che hanno cercato finora
di mantenere la loro neutralità, avrebbe
necessariamente delle conseguenze
imprevedibili, non solo in Europa, ma
anche nel vicino e lontano oriente, in
Africa e nelle Americhe: «Spero
che la potente influenza dell’Italia e
degli Stati Uniti, finché si terranno
fuori dalla guerra, possa essere
esercitata per negoziare una pace giusta
e stabile che permetterà la
ricostruzione di un mondo gravemente
offeso».
In pratica il testo di Roosevelt lascia
intendere che ogni rottura degli
equilibri esistenti nel Mediterraneo
avrebbe portato l’America a rivedere la
sua politica nei confronti dell’Europa.
Mussolini, come annota Ciano, prende
male il messaggio «sul momento ha
detto poco o nulla all’Ambasciatore
salvo riaffermare il diritto italiano
alla finestra sull’Oceano. Poi ha
redatto di suo pugno una risposta a
Roosevelt, secca e ostile, con la quale
arriva alla conclusione che se la
dottrina Monroe vale per gli americani,
deve valere anche per gli europei».
Poco dopo l’invasione del Belgio e
dell’Olanda da parte dell’esercito
tedesco, Roosevelt invia il 14 maggio
1940 un altro messaggio a Mussolini dove
si richiama anche al Vangelo di Cristo e
nota con grave preoccupazione che forze
che pensano di dominare l’umanità col
terrore anziché con la ragione
estendendo le loro conquiste su popoli
che hanno invece solo desiderio di
pace,provocano «la distruzione di
milioni di vite e il meglio di ciò che
chiamiamo libertà, cultura, civiltà».
Ma tutti questi argomenti hanno scarsa
presa sul Duce «specialmente oggi che
è convinto di avere già acciuffato la
vittoria. Ci vuol altro per scuoterlo»
commenta Ciano nel suo diario. Mussolini
risponde seccamente il 18 maggio a
Roosevelt affermando che «l’Italia è
e intende restare alleata con la
Germania» e che «l’Italia non può
rimanere assente in un momento in cui è
in gioco il destino dell’Europa».
L’ambasciatore americano Phillips è
latore il 26 maggio 1940 di un terzo
messaggio di Roosevelt per il Duce.
Mussolini non lo riceve e Phillips parla
con Ciano che così sintetizza il
messaggio e la prevedibile reazione del
Duce: «Roosevelt si offre di fare il
mediatore tra noi e gli alleati
divenendo personalmente responsabile per
l’esecuzione, a guerra finita, degli
eventuali accordi. Rispondo a Phillips
che Roosevelt è fuori strada. Ci vuol
altro per dissuadere Mussolini. In fondo
non è ch’egli vuole ottenere questo o
quello: vuole la guerra. Se
pacificamente potesse avere anche il
doppio di quanto reclama, rifiuterebbe».
Ciano, dopo avere parlato col Duce,
riferisce a Phillips che l’Italia non
può accettare la proposta del presidente
americano; che Mussolini ha deciso di
adempiere ai suoi obblighi di alleanza
con la Germania mantenendo la sua
libertà d’azione, e non è disposto a
intraprendere qualsiasi negoziazione che
non sia in accordo con lo spirito del
fascismo;infine, Ciano informa
l’ambasciatore che l’Italia entrerà in
guerra al più presto.
Il 30 maggio 1940 Roosevelt manda un
ultimo energico messaggio a Mussolini.
Ciano così annota le sue impressioni nel
diario: «Dopo aver ricordato i
tradizionali interessi del suo Paese nel
Mediterraneo, Roosevelt afferma che un
intervento dell’Italia in guerra
determinerà un aumento di armamenti da
parte degli USA e il raddoppio degli
aiuti in mezzi e materiali agli alleati.
Riservo una risposta dopo avere
conferito con Mussolini, e,
preliminarmente, dico a Phillips che
anche il nuovo tentativo di Roosevelt
subirà la sorte dei precedenti. Non
scuoterà affatto il Duce».
In effetti la risposta che il Duce dà a
Ciano per l’ambasciatore americano il
primo giugno è definitiva: ricorda che
l’America non ha più interessi nel
Mediterraneo di quanti ne abbia l’Italia
nel mare dei Caraibi; quindi, è bene che
Roosevelt la smetta di insistere: «anzi
si ricordi che le sue pressioni valgono
a irrigidire sempre più Mussolini nella
linea di condotta ormai decisa».
Aggiunge che la decisione di aprire le
ostilità è stata già presa. Il 10 giugno
1940 infatti, alle sei del pomeriggio,
dal balcone di Palazzo Venezia,
Mussolini annuncia l’entrata in guerra a
fianco della Germania: «Scendiamo in
guerra contro le democrazie
plutocratiche e reazionarie
dell’Occidente».
I giornali italiani affogano in una
retorica che contrasta con lo scarso
entusiasmo del Paese, ad esempio il
Corriere della Sera dell’11 giugno 1940
titola in prima pagina a caratteri
cubitali: “Folgorante annunzio del
Duce, la guerra alla Gran Bretagna e
alla Francia“, con sottotitolo “Dalle
Alpi all’Oceano Indiano un solo grido di
fede e di passione: Duce!”. E in
seconda pagina un articolo dal titolo
ancora più reboante: “Con
fiammeggiante volontà di lotta e di
gloria le moltitudini acclamano il
Sovrano ed il Duce”.
Il 28 maggio del 1941 Roosevelt durante
la “conversazione accanto al caminetto”
aveva annunciato “lo stato illimitato
di emergenza nazionale”. Ciò
comportava il conferimento al presidente
di poteri assoluti su tutto il sistema
economico degli Stati Uniti. Il
documento irrita Mussolini che si
scaglia contro Roosevelt dicendo «nella
storia non si è mai visto un popolo
retto da un paralitico. Si sono avuti Re
calvi, Re grossi, Re belli e magari
stupidi, ma mai Re che per andare al
gabinetto, al bagno, o a tavola avessero
bisogno di essere retti da altri uomini».
Il 27 ottobre 1941 Roosevelt annuncia di
avere dato ordine di armare la marina
mercantile e che le navi con la bandiera
americana avrebbero aperto il fuoco per
prime contro i “serpenti del mare”
(gli U-Boot tedeschi). Ribbentrop,
ministro degli esteri del Reich,
informato del messaggio del presidente,
pur tergiversando per non determinare
una immediata entrata in guerra degli
USA, durante una cena, si scatena contro
Roosevelt dicendo: «Ho dato ordine ai
giornali di stampare sempre “Roosevelt
l’ebreo”. Faccio una profezia:
quell’uomo sarà lapidato sul Campidoglio
dai suoi stessi connazionali».
Diversa la reazione di Mussolini che
meno che mai crede adesso all’intervento
degli Stati Uniti commentando che «Ormai
è chiaro che Roosevelt abbaia perché non
può mordere».
Il 7 dicembre 1941, a seguito
dell’attacco giapponese alla base della
flotta americana del Pacifico
concentrata alle Hawaii, a Pearl Harbor,
Roosevelt dichiarerà guerra al Giappone
e pochi giorni dopo, l’11 dicembre,
Germania e Italia, in nome del patto
tripartito col Giappone, dichiareranno
guerra agli Stati Uniti.
Alla fine dell’immane conflitto si
conteranno circa sessanta milioni di
morti, di cui quasi il 60% civili, e
innumerevoli distruzioni parziali o
totali di intere città e villaggi,
proprio come Roosevelt aveva previsto e
paventato nei suoi accorati messaggi ai
due dittatori europei.
Riferimenti bibliografici:
G. Ciano, Diario 1939-1943,
Rizzoli, Milano 1946.
W.L. Shirer, Storia del Terzo Reich,
Einaudi, Torino 1963.
S. Wells, prefazione a G. Ciano,
Diario 1939-1943, Rizzoli, Milano
1946.
L. Barzini, Roosevelt, le elezioni e
gli armamenti, in “L’Illustrazione
Italiana”, n. 30, 28 luglio 1940. |