[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

169 / GENNAIO 2022 (CC)


contemporanea

SUI messaggi di Roosevelt a Hitler e Mussolini

per scongiurare la guerra

di Francesco Cappellani

 

L’avvocato newyorkese Franklin Delano Roosevelt entra in politica nel 1910, con l’elezione a senatore democratico dello Stato di New York e in seguito con la nomina a sottosegretario di Stato alla Marina, incarico che mantiene dal 1913 al 1920.

 

Nel 1921, a trentanove anni, colpito da poliomielite agli arti inferiori,è costretto sulla sedia a rotelle, ma continua a impegnarsi strenuamente nell’ambito del suo partito divenendo nel 1928 governatore dello Stato di New York, carica in cui sarà riconfermato nel 1930. A fine novembre 1932 viene eletto presidente degli Stati Uniti, battendo largamente Hoover.

 

Entrato in carica nel marzo 1933 inizia un complesso programma di riforme economiche e sociali, note col nome di New Deal, che si estenderanno lungo gli altri suoi due successivi mandati, per risollevare il Paese dalla grande depressione del 1929 fino alla piena ripresa dell’economia nel 1939. Rieletto per la terza volta alla presidenza alla fine del 1940, si adopera instancabilmente per allontanare lo spettro della guerra che le politiche e i discorsi infuocati di Hitler già nel 1938 facevano temere, inviando allarmati messaggi di pace al capo del Reich e poi anche a Mussolini.

 

Un primo messaggio di Roosevelt a Hitler risale al 27 settembre 1938 quando le minacce da parte nazista di annettere il territorio dei Sudeti in Cecoslovacchia erano diventate pressanti, temi ripresi e ampliati dal presidente degli USA il 14 aprile del 1939, in una nuova e più decisa lettera a Hitler, con copia a Mussolini, che inizia con la frase seguente: «Sono certo che vi rendiate conto che in tutto il mondo centinaia di milioni di esseri umani stanno vivendo oggi nel costante timore di una nuova guerra o anche di una serie di guerre».

 

Prosegue dicendo che, considerato che non ci sono attualmente truppe in marcia, questo è ancora il momento giusto per recepireil messaggio. Aggiunge che la sua proposta di un accomodamento dei vari problemi politici, economici e sociali mediante metodi pacifici non aveva avuto seguito e purtroppo gli eventi successivi riportano alla minaccia delle armi: «Se queste minacce continuano, sembra inevitabile che una larga parte del mondo ne resti coinvolta in una rovina comune. Tutto il mondo, nazioni vittoriose e vinte, e anche le nazioni neutrali soffriranno pesantemente. Io rifiuto di credere che il mondo è necessariamente, prigioniero di un tale destino. Al contrario, è chiaro che i Leaders delle grandi nazioni hanno nelle loro mani il potere di liberare i loro popoli dal disastro che li minaccia».

 

Afferma poi che ci sono state delle “annessioni” per cui già alcuni Stati in Europa (Austria, Cecoslovacchia e Albania) e uno in Africa (Etiopia) non sono più nazioni indipendenti e che atti aggressivi vengono riportati nei confronti di altre nazioni. Il mondo sta andando verso una catastrofe a meno che non intervenga un atteggiamento razionale per gestire gli eventi.

 

«Lei ha ripetutamente affermato che lei e il popolo tedesco non avete alcun desiderio di guerra. Se questo è vero, non c’è necessità di guerra. Poiché gli Stati Uniti non sono coinvolti nelle controversie attuali in Europa, penso che Lei potrebbe riconfermare questa asserzione a me come capo di una nazione lontana dall’Europa in modo che io possa, agendo da intermediario, comunicare questa dichiarazione alle altre nazioni che sono in apprensione per il corso che la politica del Reich ha intrapreso».

 

Poi Roosevelt pone la questione in termini precisi: «Potete assicurarmi che le vostre forze armate non attaccheranno o invaderanno i territori o i possedimenti delle seguenti nazioni indipendenti: Finlandia, Estonia, Lituania, Lettonia, Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Belgio, Gran Bretagna e Irlanda, Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Polonia, Ungheria, Romania, Jugoslavia, Russia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Iraq, Arabia, Siria, Palestina, Egitto e Iran. Questa garanzia deve valere non solo adesso ma anche in un futuro sufficientemente lontano in modo da costruire con metodi pacifici una pace permanente. Se il suo governo mi conferma questa assicurazione, io la trasmetterò immediatamente ai governi menzionati che certamente mi daranno un’analoga assicurazione nei suoi confronti».

 

Dopo avere ancora insistito sulla possibilità di colloqui chiarificatori, ed eventualmente di una grande conferenza mondiale, Roosevelt conclude il messaggio così: «Penso che non fraintenderete lo spirito di franchezza del mio messaggio. I capi dei grandi governi sono in queste ore responsabili del destino dell’umanità negli anni a venire. Essi non possono ignorare le preghiere dei loro popoli che invocano di essere protetti dal prevedibile caos della guerra. La Storia li riterrà responsabili delle vite e della felicità di tutti, fino all’ultima persona. Spero che la sua risposta permetterà all’umanità di non avere paura e di riguadagnare sicurezza per molti anni a venire».

 

Si tratta di un messaggio idealistico e forse ingenuo, nobile nella forma e negli intenti, ma che riletto oggi dà un senso di patetica irrealtà, considerati i già ben noti atteggiamenti di Hitler rivolti a realizzare con la forza un pangermanesimo europeo e a quelli di Mussolini sempre più legato all’alleato tedesco. In Italia il Duce da prima si rifiuta di leggere il messaggio, poi lo definisce “un frutto della paralisi progressiva”.

 

Stupisce questa frase derisoria da parte di un uomo che nel 1936 aveva assistito impotente e disperato alla poliomielite che aveva aggredito la figlia Anna Maria. Göring asserisce che il messaggio dimostra che «Roosevelt soffre di una incipiente malattia mentale». Il Popolo d’Italia, il giornale del regime, condanna aspramente lo scritto di Roosevelt affermando che «una semplice lettura del documento rivela la sua incommensurabile superficialità e la sua grossolana incoerenza e la tipica mentalità demagogica e pretestuosa». Aggiunge che il messaggio dimostra l’ignoranza della storia e della geografia e che non vengono spiegate le giuste ragioni che hanno portato i tre Stati menzionati a perdere l’indipendenza. E conclude dicendo che «L’Italia fascista, reagendo con tutte le proprie forze al messaggio, è sicura di non respingere ogni serio e nobile tentativo di pace ma si oppone a una manovra che tende a nascondere il lavoro di persone che realmente vogliono la pace e la stanno creando pietra su pietra».

 

Mussolini, parlando il 20 aprile in Campidoglio, risponde alla proposta di Roosevelt in tono rassicurante e pacifista, affermando che era ingiusto mettere l’Italia sul banco degli accusati. Poi però accusa il presidente di “seminare il panico” e di “interessi più o meno inconfessabili”.

 

La risposta di Hitler è espressa a fine aprile in una conferenza di due ore al Reichstag dove, dopo una lunghissima e articolata premessa, risponde e ribatte punto per punto al “singolare messaggio” di Roosevelt. Inizia dicendo di avere ricevuto dalla Provvidenza il modo di liberare il popolo tedesco dagli abissi della miseria senza spargimento di sangue e di averlo riportato ancora una volta in alto, riscattandolo dalla sconfitta e liberandolo dalle scandalose imposizioni del trattato di Versailles.

Spiega poi in ogni dettaglio i motivi dell’inglobamento di alcuni territori limitrofi al Grande Reich coma la Saar, la Boemia e Moravia etc. che erano storicamente zone di pertinenza germanica, e che comunque queste annessioni non tradivano i patti di Monaco. Parla della proposta inoltrata al governo polacco affinché Danzica ritorni a essere un libero stato nel contesto del Reich. Afferma che la Polonia, a seguito di una campagna internazionale di menzogne, pensa di dovere mobilitare l’esercito anche se la Germania non ha richiamato alcun soldato né pensato di prendere alcuna misura contro la Polonia. L’intenzione della Germania di attaccare è stata un’invenzione del tutto gratuita della stampa internazionale.

 

A Roosevelt che parla di eventi che portano alla guerra portando a una rovina comune tutti i popoli, Hitler risponde che «per quanto riguarda la Germania, non so nulla del genere di minacce ad altre nazioni, malgrado io legga menzogne su queste minacce ogni giorno nei giornali democratici» e aggiunge che non solo non ha mai intrapreso guerre, ma che da anni dichiara di aborrirle e che infine non capisce per quale motivo dovrebbe scatenarle. Poi parla della pochezza della Lega delle Nazioni e si chiede perché, a livello di una conferenza internazionale sponsorizzata dagli USA, toccherebbe solo alla Germania precisare in dettaglio i suoi intenti con dichiarazioni di non aggressione verso le molte nazioni elencate nel messaggio di Roosevelt. In altre parole, la conferenza non deve essere una sorta di tribunale per giudicare i propositi del Reich.

 

Hitler conclude ripetendo che la Provvidenza gli ha assegnato il popolo tedesco, ma «io credo così di potere essere utile nel modo migliore a ciò che è nel cuore di tutti noi – giustizia, benessere, progresso e pace per tutto il genere umano».

 

Il giornalista americano William Shirer, che era presente alla conferenza, scrive: «Gli obesi deputati si agitavano con rauche risate mentre il Führer metteva senza posa in ridicolo, con crescente efficacia, il presidente americano. A uno a uno esaminò i vari punti del telegramma di Roosevelt; ogni volta faceva una pausa quasi sorridendo, poi, con tono da maestro, pronunciava a bassa voce la parola “risposta” e rispondeva».

 

Shirer ricorda che dopo la parola Antwort (risposta), Göring si sforzava di reprimere un sorriso e i membri del Reichstag si preparavano a gridare e a ridere non appena ascoltata la risposta.

 

Pochi mesi dopo questa appassionata difesa della pace, falsa e ipocrita in quanto “soltanto tre settimane prima Hitler aveva dato ordini scritti alle forze armate perché si preparassero a distruggere la Polonia per il primo settembre al più tardi”, il Führer inizierà, con l’invasione della Polonia il primo settembre 1939, la seconda guerra mondiale.

 

Pochi giorni prima, il 24 agosto 1939, Roosevelt invia un altro messaggio a Hitler preoccupato per la piega che stanno prendendo gli avvenimenti riguardanti il rapporto Germania-Polonia. Ricorda al Cancelliere il senso del suo messaggio del 14 aprile improntato alla necessaria e durevole ricerca della pace mediante conferenze e discussioni ma mai con le armi. Propone a Hitler, e, in parallelo, al presidente della Polonia, diverse soluzioni pacifiche ma urgenti come la negoziazione diretta, l’affidamento della controversia a un arbitrato internazionale di fiducia, oppure appoggiandosi a un conciliatore neutrale non coinvolto nelle querelles europee. Conclude così il messaggio: «Insisto reiteratamente e con forza affinché i governi di Germania e Polonia vogliano risolvere le loro controversie in uno dei modi suggeriti; il governo USA è pronto a contribuire per la sua parte alla soluzione di problemi che rischiano di coinvolgere la pace mondiale nei termini espressi nel mio messaggio del 14 Aprile».

 

Il 24agosto del 1939 Roosevelt, sempre più preoccupato, si rivolge anche a Vittorio Emanuele III con un telegramma dove afferma che «Nuovamente una crisi mondiale mette in chiaro la responsabilità dei capi delle nazioni per il destino del loro stesso popolo ma anche dell’intera umanità».

 

Si riferisce al suo messaggio del 14 aprile dove proponeva una dichiarazione d’intenti delle principali nazioni che scongiurasse qualsiasi inizio di ostilità. Chiede al re di formulare proposte per una soluzione pacifica della crisi e conclude dicendo che «il governo italiano e gli Stati Uniti possono oggi portare avanti quegli ideali cristiani che ultimamente sembrano così spesso offuscati. Le voci inascoltate di milioni di esseri umani chiedono di non essere nuovamente sacrificati invano».

 

La risposta del nostro re è di due righe: «Vi sono grato per il vostro interesse. Trasmetterò immediatamente il vostro messaggio al mio Governo. Come è noto a tutti, noi abbiamo fatto e stiamo facendo il possibile per assicurare pace e giustizia».

 

Ciano commenta che il messaggio di Roosevelt gli sembra inconcludente. Il 25 agosto il Presidente Roosevelt rivolge un nuovo appello a Hitler dicendo che la sua proposta d’accordo è stata accettata dal governo polacco con la proposta di una negoziazione diretta. Conclude dicendo che «innumerevoli vite umane possono ancora essere salvate e si può sperare che le nazioni del mondo moderno possano finalmente costruire le fondamenta per una pacifica e più felice convivenza, se Lei e il Governo del Reich accetterete i metodi pacifici di accordo accettati dal Governo polacco. il mondo intero prega affinché la Germania sia d’accordo».

 

Tutto inutile, il primo settembre 1939 Hitler invia all’esercito tedesco il seguente proclama: «Lo Stato polacco ha rifiutato la composizione pacifica delle nostre relazioni che io auspicavo, ed è ricorso alle armi. I tedeschi in Polonia sono perseguitati con sanguinario terrore e strappati dalle loro case. Una serie di violazioni della frontiera, intollerabile per una grande potenza, dimostra che la Polonia non intende più rispettare la frontiera del Reich. Per porre fine a questa follia, non ho altra scelta che usare da ora in poi la forza. L’esercito tedesco combatterà la battaglia per l’onore e i diritti vitali della rinata Germania con grande determinazione…».

 

Inizia la Seconda guerra mondiale. Due giorni dopo Francia e Inghilterra, rispettando gli impegni presi in primavera nei confronti della Polonia, dichiarano guerra alla Germania. L’aggressione nazista ha precipitato di fatto l’Europa in un conflitto che presto assumerà dimensioni spaventose.

 

All’inizio dell’inverno del 1940 Roosevelt, informato dai suoi ambasciatori della piega sempre più tragica della situazione in Europa provocata dal governo nazista, invia il segretario di Stato Summer Wells, in qualità di suo rappresentante personale, a visitare le capitali delle nazioni alleate e delle due potenze dell’Asse, per avere informazioni immediate e di prima mano sugli avvenimenti europei e sulla possibilità di bloccare l’espandersi delle ostilità.

 

Nelle parole di Wells: «I Governi dell’Asse erano convinti che, anche se alla fine gli Stati Uniti si fossero svegliati dal loro letargo, una preparazione militare adeguata, sia pure per l’autodifesa, si sarebbe ottenuta tanto in ritardo da non essere di alcun valore pratico. (…) In tali circostanze il massimo che gli Stati Uniti potevano sperare di ottenere era di prevenire l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania».

 

Questo sentimento è testimoniato da un articolo del luglio 1940, quindi dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno, del giornalista Luigi Barzini che, dopo avere accennato allo sbalordimento dell’America a seguito della caduta dell’Olanda, del Belgio e della Francia con l’Inghilterra «battuta, isolata, bloccata assediata e bombardata, condannata senza scampo alla resa e alla distruzione», analizza le capacità belliche degli USA parlando «di un esercito americano che nella scala delle grandezze occupa il diciannovesimo posto (…). Nel momento attuale, secondo dati ufficiali pubblicati lo scorso mese, l’esercito americano è composto da duecentoventisettemila soldati. Si rimane meravigliati constatando che, in fatto di armamenti ultramoderni, l’esercito americano non possiede che centosessantatre cannoni controaerei, duecentoventi cannoni anticarro, quattrocento carri pesanti e cinquecento leggeri (…)».

 

E prosegue: «Il New York Times ha scritto che gli Stati Uniti sono potenzialmente la nazione militare più forte del mondo. Può darsi, ma non si fanno le guerre con elementi potenziali, con gli uomini che potrebbero teoricamente essere arruolati e con le armi virtualmente costruibili. (…) L’industria aeronautica dovrebbe essere quintuplicata per arrivare a produrre quei cinquantamila aeroplani all’anno di cui parla Roosevelt e che, senza bisogno di esistere, contribuiscono potentemente alla sua campagna elettorale». Conclude dicendo che «Il riarmo sarà una questione di anni, prima che esca dalla carta».

 

Summer Wells arriva a Roma il 25 febbraio per poi recarsi a Berlino e a Parigi e infine a Londra. Conclude la sua missione il 19 marzo 1940 dopo una nuova visita a Roma. È interessante il commento di Galeazzo Ciano sui colloqui con Wells.

 

In data 16 marzo leggiamo nel suo diario: «L’elemento più importante che ne è risultato è questo: a Londra e Parigi non esiste la minima parte di quella intransigenza che confermano nei discorsi e nei giornali. Con certe garanzie di sicurezza sarebbero pronti a mollare, più o meno, e riconoscere il fatto compiuto. Su questa strada, se la battono veramente, si avviano verso la sconfitta. Se Hitler ha qualche dubbio circa l’attacco, cadrà subito quando saprà da Mussolini di queste tergiversazioni delle democrazie».

 

Dal resoconto di Wells, Roosevelt, in una dichiarazione del 29 marzo, capisce che vi sono oramai «esigue prospettive per stabilire una pace giusta e durevole in Europa». Tenta allora, vista la totale intransigenza di Hitler, di rivolgersi a Mussolini per cercare non solo di convincerlo a non entrare in guerra, ma soprattutto di fermare il Führer nella sua forsennata sete di rivincita contro le plutocrazie del patto di Versailles.

 

Il 29 aprile 1940 invia un telegramma tramite il suo ambasciatore in Italia William Phillips, che inizia con la frase “My dear Signor Mussolini” e prosegue lodando il non interventismo del Duce e sottolineando che una ulteriore estensione dell’area delle ostilità, che porterebbe all’entrata in guerra di altre nazioni che hanno cercato finora di mantenere la loro neutralità, avrebbe necessariamente delle conseguenze imprevedibili, non solo in Europa, ma anche nel vicino e lontano oriente, in Africa e nelle Americhe: «Spero che la potente influenza dell’Italia e degli Stati Uniti, finché si terranno fuori dalla guerra, possa essere esercitata per negoziare una pace giusta e stabile che permetterà la ricostruzione di un mondo gravemente offeso».

 

In pratica il testo di Roosevelt lascia intendere che ogni rottura degli equilibri esistenti nel Mediterraneo avrebbe portato l’America a rivedere la sua politica nei confronti dell’Europa. Mussolini, come annota Ciano, prende male il messaggio «sul momento ha detto poco o nulla all’Ambasciatore salvo riaffermare il diritto italiano alla finestra sull’Oceano. Poi ha redatto di suo pugno una risposta a Roosevelt, secca e ostile, con la quale arriva alla conclusione che se la dottrina Monroe vale per gli americani, deve valere anche per gli europei».

 

Poco dopo l’invasione del Belgio e dell’Olanda da parte dell’esercito tedesco, Roosevelt invia il 14 maggio 1940 un altro messaggio a Mussolini dove si richiama anche al Vangelo di Cristo e nota con grave preoccupazione che forze che pensano di dominare l’umanità col terrore anziché con la ragione estendendo le loro conquiste su popoli che hanno invece solo desiderio di pace,provocano «la distruzione di milioni di vite e il meglio di ciò che chiamiamo libertà, cultura, civiltà».

 

Ma tutti questi argomenti hanno scarsa presa sul Duce «specialmente oggi che è convinto di avere già acciuffato la vittoria. Ci vuol altro per scuoterlo» commenta Ciano nel suo diario. Mussolini risponde seccamente il 18 maggio a Roosevelt affermando che «l’Italia è e intende restare alleata con la Germania» e che «l’Italia non può rimanere assente in un momento in cui è in gioco il destino dell’Europa».

 

L’ambasciatore americano Phillips è latore il 26 maggio 1940 di un terzo messaggio di Roosevelt per il Duce. Mussolini non lo riceve e Phillips parla con Ciano che così sintetizza il messaggio e la prevedibile reazione del Duce: «Roosevelt si offre di fare il mediatore tra noi e gli alleati divenendo personalmente responsabile per l’esecuzione, a guerra finita, degli eventuali accordi. Rispondo a Phillips che Roosevelt è fuori strada. Ci vuol altro per dissuadere Mussolini. In fondo non è ch’egli vuole ottenere questo o quello: vuole la guerra. Se pacificamente potesse avere anche il doppio di quanto reclama, rifiuterebbe».

 

Ciano, dopo avere parlato col Duce, riferisce a Phillips che l’Italia non può accettare la proposta del presidente americano; che Mussolini ha deciso di adempiere ai suoi obblighi di alleanza con la Germania mantenendo la sua libertà d’azione, e non è disposto a intraprendere qualsiasi negoziazione che non sia in accordo con lo spirito del fascismo;infine, Ciano informa l’ambasciatore che l’Italia entrerà in guerra al più presto.

 

Il 30 maggio 1940 Roosevelt manda un ultimo energico messaggio a Mussolini. Ciano così annota le sue impressioni nel diario: «Dopo aver ricordato i tradizionali interessi del suo Paese nel Mediterraneo, Roosevelt afferma che un intervento dell’Italia in guerra determinerà un aumento di armamenti da parte degli USA e il raddoppio degli aiuti in mezzi e materiali agli alleati. Riservo una risposta dopo avere conferito con Mussolini, e, preliminarmente, dico a Phillips che anche il nuovo tentativo di Roosevelt subirà la sorte dei precedenti. Non scuoterà affatto il Duce».

 

In effetti la risposta che il Duce dà a Ciano per l’ambasciatore americano il primo giugno è definitiva: ricorda che l’America non ha più interessi nel Mediterraneo di quanti ne abbia l’Italia nel mare dei Caraibi; quindi, è bene che Roosevelt la smetta di insistere: «anzi si ricordi che le sue pressioni valgono a irrigidire sempre più Mussolini nella linea di condotta ormai decisa». Aggiunge che la decisione di aprire le ostilità è stata già presa. Il 10 giugno 1940 infatti, alle sei del pomeriggio, dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annuncia l’entrata in guerra a fianco della Germania: «Scendiamo in guerra contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente».

 

I giornali italiani affogano in una retorica che contrasta con lo scarso entusiasmo del Paese, ad esempio il Corriere della Sera dell’11 giugno 1940 titola in prima pagina a caratteri cubitali: “Folgorante annunzio del Duce, la guerra alla Gran Bretagna e alla Francia“, con sottotitolo “Dalle Alpi all’Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione: Duce!”. E in seconda pagina un articolo dal titolo ancora più reboante: “Con fiammeggiante volontà di lotta e di gloria le moltitudini acclamano il Sovrano ed il Duce”.

 

Il 28 maggio del 1941 Roosevelt durante la “conversazione accanto al caminetto” aveva annunciato “lo stato illimitato di emergenza nazionale”. Ciò comportava il conferimento al presidente di poteri assoluti su tutto il sistema economico degli Stati Uniti. Il documento irrita Mussolini che si scaglia contro Roosevelt dicendo «nella storia non si è mai visto un popolo retto da un paralitico. Si sono avuti Re calvi, Re grossi, Re belli e magari stupidi, ma mai Re che per andare al gabinetto, al bagno, o a tavola avessero bisogno di essere retti da altri uomini».

 

Il 27 ottobre 1941 Roosevelt annuncia di avere dato ordine di armare la marina mercantile e che le navi con la bandiera americana avrebbero aperto il fuoco per prime contro i “serpenti del mare” (gli U-Boot tedeschi). Ribbentrop, ministro degli esteri del Reich, informato del messaggio del presidente, pur tergiversando per non determinare una immediata entrata in guerra degli USA, durante una cena, si scatena contro Roosevelt dicendo: «Ho dato ordine ai giornali di stampare sempre “Roosevelt l’ebreo”. Faccio una profezia: quell’uomo sarà lapidato sul Campidoglio dai suoi stessi connazionali». Diversa la reazione di Mussolini che meno che mai crede adesso all’intervento degli Stati Uniti commentando che «Ormai è chiaro che Roosevelt abbaia perché non può mordere».

 

Il 7 dicembre 1941, a seguito dell’attacco giapponese alla base della flotta americana del Pacifico concentrata alle Hawaii, a Pearl Harbor, Roosevelt dichiarerà guerra al Giappone e pochi giorni dopo, l’11 dicembre, Germania e Italia, in nome del patto tripartito col Giappone, dichiareranno guerra agli Stati Uniti.

 

Alla fine dell’immane conflitto si conteranno circa sessanta milioni di morti, di cui quasi il 60% civili, e innumerevoli distruzioni parziali o totali di intere città e villaggi, proprio come Roosevelt aveva previsto e paventato nei suoi accorati messaggi ai due dittatori europei.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

G. Ciano, Diario 1939-1943, Rizzoli, Milano 1946.

W.L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1963.

S. Wells, prefazione a G. Ciano, Diario 1939-1943, Rizzoli, Milano 1946.

L. Barzini, Roosevelt, le elezioni e gli armamenti, in “L’Illustrazione Italiana”, n. 30, 28 luglio 1940.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]