N. 87 - Marzo 2015
(CXVIII)
Cornelia e Messalina
storia di due donne
di Miro Gabriele
Cornelia
madre
dei
Gracchi
e
l’imperatrice
Messalina,
sono
sinonimi
di
due
tipologie
femminili
nel
mondo
antico,
del
tutto
opposte.
Cornelia,
figlia
di
Scipione
l’Africano
(II
sec.
a.C.)
è la
donna
semplice
ed
amorevole,
simbolo
degli
ideali
repubblicani
che
vedevano
nella
madre,
custode
della
famiglia,
un
modello
per
tutte
le
spose.
In
Messalina,
moglie
dell’imperatore
Claudio
(I
sec.
d.C.),
si
sono
invece
identificate
le
caratteristiche
più
negative
del
genere
femminile:
la
capacità
d’inganno,
la
lussuria,
l’infedeltà,
gli
intrighi.
Entrambe
sono
emblematiche
di
due
epoche
della
società
romana:
la
repubblicana
e
quella
imperiale.
In
Cornelia
è
facile
leggere
il
primitivo
ideale
di
saggezza
e di
buona
condotta.
In
Messalina
si
rispecchia
il
tempo
del
lusso
e
degli
eccessi,
quell’età
frenetica
e
violenta,
in
cui
le
enormi
ricchezze
e la
mancanza
di
scrupoli,
avevano
ormai
corrotto
gli
ideali
di
semplicità
della
prima
Roma,
capace
di
eccellere
anche
per
le
qualità
morali.
In
antitesi
alla
beatificazione
di
Cornelia,
gli
storici
antichi
hanno
operato
la
dannazione
di
Messalina,
attribuendo
alle
sfrenatezze
femminili
la
causa
del
decadimento
dei
costumi.
Nessun’altra
donna
rappresenta
la
matrona
meglio
di
Cornelia,
madre
dei
Gracchi,
già
ritenuta
in
vita
perfetto
esempio
di
virtù
femminili.
Nacque
nel
189
a.C.,
da
Scipione
Africano,
l’eroe
di
Zama,
vincitore
di
Annibale.
Sposò
Tiberio
Sempronio
Gracco,
a
cui
diede
ben
dodici
figli,
dei
quali
solo
tre
però
raggiunsero
l’età
adulta:
Sempronia,
la
primogenita,
e i
futuri
tribuni
della
plebe
Tiberio
e
Gaio
Gracco.
Dopo
la
morte
del
marito
si
dedicò
all’educazione
dei
bambini.
Vedova
ancor
giovane,
fu
chiesta
in
moglie
dal
re
egiziano
Tolomeo
VIII,
ma
rifiutò,
volendo
restare
fedele
all’ideale
dell’univira:
cioè
della
donna
con
un
solo
marito.
Mentre
Roma
espandeva
il
suo
impero,
e
grandi
ricchezze
cominciavano
ad
affluire
dall’oriente,
Cornelia
visse
con
modestia.
Questo
è
l’episodio
della
sua
vita
che
le
ha
dato
la
celebrità,
nelle
parole
dello
storico
Valerio
Massimo
(I
secolo
d.C.):
Cornelia
Gracchorum
mater,
cum
Campana
matrona
apud
illam
hospita
ornamenta
sua
pulcherrima
illius
saeculi
ostenderet,
traxit
eam
sermone,
donec
e
schola
redirent
liberi,
et 'haec'
inquit
'ornamenta
sunt
mea'.
Omnia
nimirum
habet
qui
nihil
concupiscit,
eo
quidem
certius
quam
cuncta
possidet,
quia
dominium
rerum
conlabi
solet,
bonae
mentis
usurpatio
nullum
tristioris
fortunae
recipit
incursum.
Itaque
quorsum
attinet
aut
divitias
in
prima
felicitatis
parte
aut
paupertatem
in
ultimo
miseriarum
statu
ponere,
cum
et
illarum
frons
hilaris
multis
intus
amaritudinibus
sit
referta
et
huius
horridior
aspectus
solidis
et
certis
bonis
abundet?
Cornelia,
madre
dei
Gracchi,
poiché
una
matrona
campana
sua
ospite
le
mostrava
i
suoi
gioielli,
i
più
belli
allora
conosciuti,
la
intrattenne
chiacchierando
finché
non
tornarono
da
scuola
i
suoi
figli,
allora
le
disse:
“Questi
sono
i
miei
gioielli”.
Indubbiamente
ha
tutto
chi
nulla
desidera,
e
tanto
più
sicuramente
in
quanto
tutto
possiede,
perché
il
potere
sulle
cose
in
genere
finisce,
mentre
il
possesso
della
saggezza
non
subisce
alcun
assalto
dal
peggioramento
della
fortuna.
Che
significa,
dunque,
porre
le
ricchezze
al
primo
posto
nella
considerazione
della
felicità
o la
povertà
all'ultimo
grado
dell'infelicità,
quando
le
prime,
esteriormente
gioiose,
hanno
dentro
di
sé
tanta
amarezza
e la
seconda,
spiacevole
all'aspetto,
cosi
ricca
di
beni
solidi
ed
infallibili?
(Valerio
Massimo
Fatti
e
detti
memorabili
Libro
IV,
4.4)
I
suoi
due
figli
maschi
raggiunsero
entrambi
la
carica
di
tribuno
della
plebe
e, a
distanza
di
dieci
anni
l’uno
dall’altro,
caddero
uccisi
in
scontri
politici.
Unica
dei
suoi
figli
le
restò
Sempronia,
che
sposò
Scipione
Emiliano.
Cornelia
passò
il
resto
della
vita
dedicandosi
ad
attività
culturali,
ricevendo
ospiti
illustri,
mentre
i
regnanti
del
mediterraneo
le
rendevano
omaggio.
Valeria
Messalina
fu
accusata
dagli
storici
antichi
di
aver
influenzato
negativamente
il
governo
del
marito
Claudio.
Le
furono
attribuiti
delitti
e
depravazioni
di
ogni
genere.
Il
suo
personaggio
divenne
tanto
emblematico
da
entrare,
a un
solo
cinquantennio
dalla
morte,
in
poesia:
nella
VI
satira
di
Giovenale
(II
secolo
d.C.).
La
forza
del
verso
ha
proiettato
il
suo
nome
in
un
immaginario
senza
tempo,
simbolo
di
ogni
perversità.
Leggiamo
il
famoso
ritratto
che
ci
ha
lasciato
Giovenale:
[...]
Claudius
audi
quae
tulerit.
Dormire
virum
cum
senserat
uxor,
sumere
nocturnos
meretrix
Augusta
cucullos
ausa
Palatino
et
tegetem
praeferre
cubili
linquebat
comite
ancilla
non
amplius
una.
Sed
nigrum
flavo
crinem
abscondente
galero
intravit
calidum
veteri
centone
lupanar
et
cellam
vacuam
atque
suam;
tunc
nuda
papillis
prostitit
auratis
titulum
mentita
Lyciscae
ostenditque
tuum,
generose
Britannice,
ventrem.
excepit
blanda
intrantis
atque
aera
poposcit.
Continueque
iacens
cunctorum
absorbuit
ictus.
Mox
lenone
suas
iam
dimittente
puellas
tristis
abit,
et
quod
potuit
tamen
ultima
cellam
clausit,
adhuc
ardens
rigidae
tentigine
volvae,
et
lassata
viris
necdum
satiata
recessit,
obscurisque
genis
turpis
fumoque
lucernae
foeda
lupanaris
tulit
ad
pulvinar
odorem.
“[...]
Ascolta
ciò
che
Claudio
sopportò.
La
moglie,
non
appena
lo
vedeva
addormentato,
spingendo
la
sua
audacia
di
augusta
meretrice
sino
a
preferire
una
stuoia
al
talamo
del
Palatino,
incappucciata
di
nero,
lo
abbandonava
accompagnata
da
una
sola
ancella.
Nascondendo
i
capelli
neri
sotto
una
parrucca
bionda,
entrava
in
un
bordello
tenuto
al
caldo
da
un
vecchio
tendone;
in
una
cella
tutta
sua,
col
falso
nome
di
Licisca,
si
prostituiva
nuda,
i
capezzoli
dorati,
offrendo
il
ventre
che,
generoso
Britannico,
ti
aveva
portato.
Accoglieva
gentile
i
clienti,
chiedeva
il
denaro
e
stando
supina
assorbiva
l'assalto
di
tutti.
Quando
il
ruffiano
mandava
via
le
sue
ragazze,
usciva
a
malincuore,
chiudendo
almeno
per
ultima
la
cella,
con
la
vulva
ancora
in
fiamme
e
piena
di
libidine.
Sfiancata
dagli
uomini,
ma
non
ancora
sazia,
se
ne
andava,
le
guance
sporche,
impregnata
del
fumo
della
lucerna,
portava
il
puzzo
del
bordello
dentro
il
letto
imperiale”.
Giovenale
Satira
VI,
115–132
(traduzione
di
Miro
Gabriele)
Anche
lei
di
famiglia
aristocratica
(pronipote
di
Augusto),
nacque
intorno
al
25
d.C.,
e
passò
l’infanzia
alla
corte
di
Caligola.
A
sedici
anni
divenne
la
terza
moglie
di
Claudio,
uomo
già
cinquantenne,
eletto
imperatore
poco
dopo;
da
lui
ebbe
Ottavia
e
Britannico.
La
tradizione
ci
ha
lasciato
un
ritratto
di
donna
dispotica
e
perversa.
Fu
certamente
capricciosa
e di
pochi
scrupoli,
ma
forse
lottò
soltanto
nel
difficile
ambiente
di
corte,
e in
un’epoca
violenta,
usando
la
debolezza
del
marito
per
poter
acquistare
influenza,
ma
senza
esercitare
un
vero
potere.
Mal
sopportata
a
corte,
si
alleò
con
degli
aristocratici
ostili
all’imperatore.
Arrivò
a
sposare
segretamente
uno
di
loro:
Gaio
Silio,
console
designato
e
suo
amante,
volendo
forse
detronizzare
il
marito
e
insediarsi
al
vertice.
Ma
venne
scoperta,
l’imperatore
condannò
a
morte
Silio
e la
fece
uccidere,
Messalina
non
era
ancora
venticinquenne.
I
figli
non
raggiunsero
neppure
l’età
della
madre.
La
sorte
di
Britannico
fu
segnata
dalle
nuove
nozze
di
Claudio
con
Agrippina,
la
matrigna
riuscì
a
far
adottare
il
proprio
figlio
Nerone,
e
fece
poi
avvelenare
Claudio
per
metterlo
sul
trono.
Più
tardi
Nerone
diede
l’ordine
di
sopprimere
Britannico,
appena
quattordicenne.
Claudia
Ottavia
la
primogenita,
benvoluta
da
tutti,
a
quindici
anni
sposò
Nerone.
Ma
venne
ripudiata
dall’imperatore,
che
le
preferì
Poppea.
Esiliata
a
Ventotene,
fu
fatta
uccidere
nel
63
d.C.,
a
ventitre
anni.