N. 112 - Aprile 2017
(CXLIII)
CORI DI ANIMALI
LE COMMEDIE DI ARISTOFANE - PARTE V
di Paola Scollo
Nelle
Rane
la
presenza
di
parole
composte,
frutto
del
genio
compositivo
di
Aristofane,
è
chiara
allusione
alla
poesia
dalle
forme
aeree,
sontuose
e
vuota
nei
contenuti,
in
stile
ditirambico.
L’attenzione
per
la
forma
delle
parole,
per
la
capacità
del
linguaggio
di
commuovere
e
stupire
gli
ascoltatori,
attraverso
effetti
sonori
e
giochi
di
parole,
sembra
implicare
un’ironia
critica
all’insegnamento
dei
sofisti
basato
sul
parlar
bene.
Significativa
è
poi
la
presenza
di
verbi
come
che,
enfatizzando
la
dimensione
sonora
dei
canti
delle
rane,
segnalano
la
preponderanza
della
musica
sui
testi.
Infine,
l’apostrofe
di
Dioniso
alle
rane,
«non
siete
altro
che
un
koax»
(227),
può
essere
intesa
come
ulteriore
riferimento
polemico,
in
linea
con
l’immagine
di
Euripide
quale
raccoglitore
di
insulsaggini
(841)
e
maestro
della
chiacchiera
(954
a).
Nelle
voci
delle
rane
può
ironicamente
echeggiare
la
voce
di
Aristofane,
che
si
fa
beffa
sia
di
Euripide,
esponente
della
nuova
cultura,
sia
dei
poeti
contemporanei.
A
questo
riguardo
si è
pensato
anche
a
una
sottile
polemica
nei
confronti
di
Frinico,
principale
avversario
di
Aristofane
e
autore
di
una
commedia
dal
titolo
Muse,
che
ottenne
il
secondo
posto
alle
Lenee
del
405
a.C.,
subito
dopo
le
Rane.
Nelle
Rane
la
vittoria
di
Dioniso
sulle
rane
potrebbe
simboleggiare
il
trionfo
del
vero
campione,
Aristofane,
sull’eterno
rivale.
Secondo
Salomos,
il
coro
delle
rane
è
una
satira
sui
numerosi
poetastri
del
V
secolo
a.C.
Per
Withman,
invece,
è
correttivo
burlesco
del
serioso
coro
principale:
le
rane
simboleggiano
la
musica
falsa
e il
loro
fastidioso
verso
bilancia
il
tono
sublime
delle
invocazioni
degli
iniziati.
Su
posizioni
simili
è
Campbell.
Secondo
Wills,
le
rane
non
sono
altro
che
falsi,
presuntuosi
cantori
e la
sconfitta
che
subiscono
da
parte
di
Dioniso
è
speculare
rispetto
a
quella
inflitta
da
Eschilo
a
Euripide
nell’agone.
Per
Defradas,
il
canto
delle
rane
è
parodia
musicale
del
nuovo
ditirambo,
dunque
anche
di
Euripide.
Questa
ipotesi
viene
sostenuta
da
motivazioni
concrete:
il
fastidio
di
Dioniso
per
il
gracidio
delle
rane
(261
ss.),
la
battuta
con
cui
Dioniso
riduce
a un
semplice
koax
il
concerto
delle
rane
(227),
il
ritmo
serrato
del
canto
interrotto
da
frequenti
hapax.
Le
rane
eseguono
un
canto
che
per
Dioniso
diventa
assordante.
Da
parte
sua,
il
dio,
nonostante
si
mostri
infastidito,
si
lascia
travolgere
completamente
dal
motivo,
quasi
ne
fosse
ipnotizzato,
al
punto
da
ripeterlo
(250).
Pur
essendo
il
dio
del
teatro
e il
protagonista
della
commedia,
Dioniso
non
risponde
attraverso
una
sequenza
lirica
di
superiore
bellezza,
ma
assume
le
caratteristiche
di
un
animale!
Del
Corno
interpreta
i
canti
delle
rane
come
simbolo
del
ritmo
della
natura
perenne
nel
passaggio
dalla
vita
alla
morte:
«le
rane
sono
il
canto
libero
della
natura,
l’esistenza
non
condannata
alle
convenzioni
del
vivere
umano.
[…]
Confrontandosi
con
la
natura,
l’uomo
può
anche
credere
di
prevalere
-perché
nella
dimensione
del
suo
giudizio
vince
chi
fa
più
rumore,
come
Dioniso,
con
ogni
mezzo:
ma
egli
dovrà
pur
sempre
approdare
al
regno
della
morte,
lasciando
alle
sue
spalle
il
gorgoglio
gioioso
delle
rane,
dopo
averlo
celebrato
con
la
nostalgia
della
parola».
Il
concerto
delle
rane
dimostra
che
l’unica
esistenza
è la
poesia.
Paduano
considera
la
messa
in
scena
delle
rane
un’operazione
di
metateatro,
una
sorta
di
drammaturgia
on
the
road,
in
cui
i
vari
incontri
non
hanno
significazioni
a
priori.
Il
duetto
tra
le
rane
e
Dioniso
può
essere
definito
metaforicamente
un
dialogo
tra
sordi:
le
rane
assordano
Dioniso,
che
risponde
con
la
stessa
moneta.
Lo
studioso
ritiene
che
la
poesia
qui
non
venga
riconosciuta
come
valore
assoluto,
ma
come
oggetto
di
divisione,
di
contestazione.
Anche
Reckford
ritiene
che
il
coro
delle
rane
sia
portatore
di
un
messaggio
letterario:
i
canti
delle
rane
sono
simbolo
della
commedia
antica
che,
soggetta
al
piede
del
tempo
(100
-
311),
è
avviata
alla
decadenza.
Il
riferimento
alle
bolle
d’aria
(249)
sembrerebbe
infatti
suggerire
l’effimera
natura
delle
umane
creazioni,
inclusa
la
poesia
della
cosiddetta
commedia
antica.
Si
tratta
di
prodotti
artistici
paragonabili
a
semplici
bolle
che
si
gonfiano
per
poi
esplodere
a
contatto
con
l’aria.
La
commedia
antica,
insieme
a
tutti
i
suoi
poeti,
è
destinata
al
silenzio,
così
come
sono
costrette
al
silenzio
le
rane.
Secondo
Rothwell,
l’episodio
potrebbe
essere
interpretato
come
un
contesto
misterico
che
impone
all’iniziato
il
superamento
di
prove
al
fine
di
essere
riconosciuto
quale
membro
della
comunità:
Dioniso
passa
dalla
condizione
di
vittima
a
quella
di
vincitore
e,
insieme
ad
una
rinnovata
identità,
acquista
nuovo
potere.
Al
contrario,
Campbell
sostiene
che
l’unica
funzione
del
coro
delle
rane
sia
quella
di
compensare
l’assenza
di
comicità
del
serioso
coro
degli
iniziati.
In
sintesi,
per
alcuni
studiosi
le
rane
rappresentano
la
materializzazione
della
palude
infernale,
il
passaggio
dal
mondo
dei
vivi
a
quello
dei
morti,
per
altri
sono
espressione
della
crisi
della
commedia
antica,
dunque
strumento
di
critica
letteraria,
per
altri
ancora
punto
di
svolta
nel
processo
di
trasformazione
di
Dioniso.
Fin
qui
le
posizioni
della
critica.
È
molto
probabile
che
il
coro
delle
rane
sia
portatore
di
un
messaggio
incentrato
sul
valore
della
poesia.
Questa
scena
si
pone
perfettamente
in
linea
con
il
tema
principale
della
commedia,
che
nasce
quale
risposta
alla
conclusione
del
glorioso
ciclo
della
tragedia
del
V
secolo
a.C.
Sin
dalle
prime
battute,
viene
denunciata
la
crisi
del
teatro,
quindi
viene
manifestata
la
necessità
di
riportare
in
vita
un
poeta
capace
(71
-
72).
Il
coro
delle
rane
è
sia
malinconica
consapevolezza
della
fase
conclusiva
della
stagione
tragica
ateniese
sia
trionfo
delle
forze
della
natura
che
rivendicano
la
libertà
della
poesia.
Ma
poesia
da
intendere
non
come
espressione
artistica
da
giudicare
in
termini
estetici,
ma
come
parte
integrante
dell’educazione
del
cittadino
e in
grado
di
contribuire
alla
sua
formazione.
È
proprio
questa
la
tipologia
poetica
a
trionfare
al
termine
della
commedia:
la
vittoria
di
Eschilo
non
rappresenta
tanto
il
successo
di
un
certo
tipo
di
poesia,
che
non
è
affatto
risparmiata
dalle
critiche
di
Euripide,
quanto
un
sistema
di
valori
che
guarda
al
passato.
Al
termine
della
sua
carriera,
Aristofane
non
fa
altro
che
rivendicare
il
valore
dell’arte,
quindi
la
capacità
della
poesia
di
indirizzare
i
comportamenti
umani,
il
diritto
di
fare
in
modo
che
viva
dentro
e
fuori
di
noi.
Alla
vigilia
dell’ingresso
di
Lisandro
ad
Atene,
in
una
società
in
crisi
che
sembra
aver
smarrito
ogni
riferimento,
Aristofane
potrebbe
aver
pensato
al
canto
delle
rane-cigni
come
all’ultimo
canto
del
cigno.
Alla
luce
di
queste
riflessioni,
appare
doveroso
indagare
ulteriormente
il
compito
educativo
che
Aristofane
assegna
alla
poesia
e al
teatro,
in
modo
da
rilevare
la
componente
metateatrale
e la
modalità
particolare
in
cui
l’impegno
didascalico
trova
espressione
nella
sua
produzione.