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N. 110 - Febbraio 2017 (CXLI)

CORI DI ANIMALI
LE COMMEDIE DI ARISTOFANE - PARTE Iv

di Paola Scollo

 

Le rane levano il loro canto bellissimo a Dioniso: del dio si dicono figlie e fiere considerano come proprio il tempio a lui dedicato (219 a). Nei versi successivi è presente un riferimento alle Antesterie (214 - 217), feste che avevano luogo ad Atene alla fine di febbraio, proprio nei pressi del santuario di Dioniso, per celebrare la maturazione del vino e il culto dei morti. Le Antesterie avevano una durata di tre giorni: il primo dedicato all’apertura dei tini; il secondo destinato agli assaggi e alle libagioni; il terzo, infine, al travaso del vino in giare e orci per la successiva distribuzione.

 

Il richiamo alle folle in festa di uomini e donne, che si radunano nel tempio di Dioniso nei giorni delle Antesterie, sembra concludere la serie di allusioni dei versi precedenti al legame tra le rane e il dio del teatro. In sintesi, le rane mediante questi versi si definiscono di Dioniso. Ma sembra che non ne riconoscano l’autorità. Questa contraddizione non deve sorprendere. Sin dall’inizio della commedia è percepibile una sottile ironia nei confronti di Dioniso, un’ironia che certo non favorisce prestigio e autorità: Dioniso è oggetto di scherno a causa del suo abbigliamento e della indecisione sull’arte tragica.

 

Nei versi successivi le rane chiariscono la loro natura musicale (229 - 235). Esse affermano di essere care non solo alle Muse dalla bella lira, ma anche alle principali divinità poetiche: Pan dal piede caprino, che suona la zampogna, e Apollo, il citaredo, che prova gioia per le canne, sostegno alla lira, che le rane nutrono nelle paludi. Secondo Del Corno, le divinità dell’Olimpo vengono qui invocate come garanti del diritto delle rane a cantare. La fierezza, mista a presunzione, dei canti delle rane sarebbe dovuta non tanto alla qualità dei canti, quanto al fatto che nelle paludi crescono le canne necessarie per gli strumenti divini.

 

Uno sguardo alla critica mostra la diffusa convinzione che Aristofane, attraverso i canti delle rane, voglia suggerire l’idea di un coro fortemente proiettato verso la nuova musica, dunque criticare l’orientamento musicale dei poeti ditirambici del V secolo a.C. Nel campo delle teorie musicali dell’antichità, possiamo distinguere due indirizzi principali: quello dei Pitagorici che, privilegiando l’aspetto quantitativo, applicano la matematica al suono e impostano le teorie musicali sui numeri; l’indirizzo noto quale “teoria dell’ethos musicale”, che ha come pioniere Damone di Oa, sostenitore dell’influenza della musica sull’animo umano. Sembra che Damone fosse solito stabilire una corrispondenza tra metri e tipologia narrativa. Occorre comunque ricordare che anche Protagora sosteneva che l’anima fosse armonia, quindi l’ipotesi di scambi fra i due orientamenti non va scartata a priori.

 

Nel V secolo a.C. i compositori, liberi dai vincoli dei generi musicali, istituiscono un nuovo rapporto fra testo poetico e melodia con conseguente predominio della musica sul testo. Il virtuosismo artistico finisce col prevalere sul fine etico-psicologico, per cui i sostenitori della musica tradizionale interpretano l’evoluzione come decadenza dell'arte musicale. È questa l’idea di Platone che emerge dalla Repubblica (III 397 c - X 595 a).

 

A proposito della funzione etica dell'arte nello stato ideale, Platone prende in esame poesia e musica, assumendo posizione di netto rifiuto nei confronti della nuova musica, che suscita nell'uomo emozioni e passioni nocive per l'equilibrio razionale. In ogni caso, non è sancita l’esclusione degli studi musicali: la musica, come preparazione alla dialettica, è fondamentale per l’educazione fin dai primi anni di vita ed è parte integrante del percorso formativo dei filosofi destinati al governo dello Stato, perché educa all’equilibrio e all’armonia, alla compostezza nella voce e nei movimenti.

 

Questa sintetica incursione in Platone risulta illuminante ai fini del nostro discorso: la discussione sul valore della musica, al centro del dibattito filosofico di Platone, si pone già in Aristofane. È viva la preoccupazione per l’impatto paideutico negativo della musica e della poesia alimentata dal pensiero dei sofisti. Già nelle Nuvole è possibile rintracciare una significativa riflessione in tal senso (331 - 334): «Dunque, tu ignori, in nome di Zeus, che sono loro a nutrire i maestri di pensiero, quasi tutti: profeti di Turii, esperti di guarigioni, perdigiorno zazzeruti che usano l’unghia per sigillo, torcicanti di cori ciclici, impostori che volano per il cielo. A tutti i lazzaroni loro danno da vivere: e questi non fanno nulla, soltanto le mettono nelle loro poesie».

 

Questa poesia è vuota, priva di sostanza (335 - 338 a): «Ecco perché facevano versi così: delle umide nuvole fulminanti l’ostile assalto, e le chiome di Tifone dalle cento teste e tempeste soffianti e aeree umide, adunchi uccelli nuotatori dell’aria e piogge d’acqua da rugiadose nubi; e poi in cambio si facevano fuori tranci di grossi muggini squisiti e carni volatili di tordi». Di qui i ripetuti attacchi a Frinide, maggior esponente del ditirambo, che con i suoi vocalizzi ha oltraggiato le Muse, simbolo della poesia tradizionale (969 - 972). La riflessione sulla musica è presente poi nella Pace (826 - 831), laddove Trigeo afferma che per aria è possibile scorgere soltanto i poeti ditirambici, intenti ad afferrare «al volo preludi naviganti nell’aere». Negli Uccelli la poesia ditirambica è descritta come legata alle nuvole e di difficile comprensione (1388 - 1390): «gli splendori dei ditirambi sono fatti d’aria e d’ombra, rifulgono d’azzurro e fanno vibrare le ali». In sintesi, la nuova musica costituisce una seria minaccia per la tradizione.

 

Alla luce di queste osservazioni, tutto indurrebbe a pensare che, attraverso i canti delle rane, Aristofane esprima una polemica nei confronti degli indirizzi musicali e della poesia del V secolo. D’altra parte, tale polemica ben si inserisce nella critica alla poetica di Euripide, che permea le Rane. Il teatro rappresenta la più importante forma di espressione della poesia, per cui particolarmente adatto a configurarsi come strumento di salvezza per i cittadini. Il desiderio di proporre una poesia utile alla polis è da porre all’origine dei severi giudizi sulle tragedie di Euripide, specchio della cultura sofistica. È impossibile quindi non scorgere nel coro delle rane la posizione polemica di Aristofane nei confronti della poesia ingannevole dei sofisti.



 

 

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