N. 108 - Dicembre 2016
(CXXXIX)
Cori di animali
Le commedie di Aristofane - Parte II
di Paola Scollo
Lo
stato
lacunoso
delle
testimonianze
dirette
e
indirette
permette
di
acquisire
soltanto
dati
parziali,
tuttavia
è
possibile
affermare
con
sufficiente
certezza
che
Aristofane
sentiva
molto
il
peso
della
tradizione
di
formare
cori
con
animali.
E la
presenza
di
cavalli,
vespe
e
uccelli
è
finalizzata
a
proporre
modelli
di
riferimento
per
la
società.
Ma
questa
interpretazione
ben
poco
si
adatta
al
coro
delle
rane.
Nell’antichità
le
rane,
pur
vivendo
in
gruppi,
non
sono
considerate
animali
“sociali”.
Anzi,
si
distinguono
per
la
natura
ambigua:
sono
creature
ctonie,
perché
hanno
origine
dal
fango,
ma
sono
ad
un
tempo
creature
palustri,
perché
abitano
zone
paludose.
Alle
rane
vengono
poi
riconosciuti
poteri
magici,
tra
cui
quello
di
prevedere
la
pioggia.
Di
qui
l’associazione
con
Apollo,
dio
dell’arte
profetica.
L’ambiguità
delle
rane
è
confermata
nelle
Rane:
abitano
la
palude
nei
pressi
dell’Acheronte
e
con
i
loro
canti
accompagnano
le
anime
nel
passaggio
dal
mondo
dei
vivi
a
quello
dei
morti.
A
differenza
delle
vespe
e
degli
uccelli,
le
rane
non
presentano
caratteristiche
umane:
non
sono
antropomorfizzate.
Aristofane
intende,
piuttosto,
mettere
in
luce
la
dimensione
sonora
dei
canti
delle
rane
per
mostrare
il
contributo
delle
rane
alla
musica
e,
in
generale,
della
natura
alla
cultura
umana.
E
Dioniso,
riproducendo
il
caratteristico
verso,
raccoglie
simbolicamente
questa
eredità
musicale
e
canora.
La
natura
ibrida
delle
rane
trova
poi
espressione
nella
mescolanza
di
stili
dei
loro
canti.
Interessante,
a
tal
proposito,
è la
ricerca
di
Dillon
sulle
sequenze
metriche
dei
cori
di
animali
in
Aristofane.
Dillon
individua
nei
cori
di
Vespe,
Uccelli
e
Rane
l’impiego
di
25
metri
differenti.
Delle
28
sezioni
corali
delle
Vespe
17
presentano
giambi
e
trochei.
Negli
Uccelli
è
presente
una
maggiore
varietà
di
metri,
ovvero
giambi,
docmi,
coriambi,
trochei,
ionici,
cretici
e
dattili,
in
linea
con
la
varietà
dei
versi
degli
uccelli
in
natura.
Per
il
coro
delle
Rane,
invece,
vengono
per
lo
più
utilizzati
giambi
e
trochei.
Viene
qui
riprodotto
onomatopeicamente
un
unico,
fastidioso
e
assordante
verso,
che
è
verso
animale
non
poetico.
Il
ritmo
serrato
dell’esecuzione
canora
sarebbe
per
Daitz
una
prova
efficace
della
presenza
delle
rane
in
scena:
la
struttura
metrica
accompagna
e
sostiene
l’azione
drammatica.
Queste
osservazioni
fanno
da
preludio
al
nodo
problematico
di
questo
contributo:
la
presenza
e la
visibilità
delle
rane
nelle
Rane.
È
doveroso
quindi
ripercorrere
le
tappe
più
significative
del
percorso
di
studi
e di
interpretazioni
su
questo
problema
di
drammaturgia
in
Aristofane.
La
tradizione
antica
non
ha
dubbi.
In
base
allo
scolio
vet.
209
b le
rane
non
erano
in
scena
e i
loro
canti
erano
eseguiti
da
dietro
la
scena.
D’altra
parte,
nelle
predizioni
di
Caronte
a
Dioniso
sugli
splendidi
canti
intonati
da
rane-cigni,
l’unica
sfera
sensoriale
cui
si
fa
riferimento
è
quella
uditiva
(205).
Non
c’è,
insomma,
alcun
riferimento
a un
possibile
coinvolgimento
della
vista.
Inoltre,
non
troviamo
nel
testo
nessuna
nota
didascalica
dell’autore
con
dettagli
di
scena.
A
differenza
di
altre
commedie,
come
gli
Uccelli
(268
-
309),
nelle
Rane
manca
ogni
pur
possibile
indicazione
sulla
disposizione,
sull’aspetto
e
sul
numero
delle
rane.
Infine,
da
tutta
l’iconografia
non
emerge
alcun
elemento
che
possa
far
supporre
la
presenza
delle
rane
in
scena.
Più
in
generale,
nella
tradizione,
gli
animali
simbolo
del
corteggio
di
Dioniso
sono
tori,
capre,
delfini,
serpenti
o
leoni,
mentre
non
troviamo
raffigurazioni
di
Dioniso
in
compagnia
di
rane.
L’opinione
antica
della
non
visibilità
delle
rane
è
stata
ripresa
in
epoca
moderna
da
Russo,
che
sostiene
la
tesi
dei
canti
corali
retroscenici
e
considera
il
concerto
delle
rane
una
“trovata”
di
Aristofane
al
fine
di
materializzare
la
palude
infernale
e
rappresentare
simbolicamente
il
passaggio
dal
mondo
dei
vivi
a
quello
dei
morti.
Con
ogni
probabilità
l’esecuzione
canora
delle
rane
sarà
stata
affidata
ai
componenti
del
coro
principale,
quello
degli
iniziati.
Ma
perché
il
titolo
Rane
in
base
a
canti
corali
retroscenici?
Russo
ritiene
che
il
titolo
sia
dovuto
alla
prima
manifestazione
del
coro
e
alla
natura
dionisiaca
delle
rane.
Al
di
là
delle
Rane,
la
tesi
dei
canti
corali
retroscenici
viene
applicata
da
Russo
ad
altre
due
commedie
di
Aristofane,
le
Nuvole
e
gli
Uccelli.
Peraltro,
lo
studioso
non
manca
di
sottolineare
l’importanza
dell’esecuzione
canora
negli
Uccelli.
A
vent’anni
di
distanza,
la
tesi
dei
canti
retroscenici
è
stata
riproposta,
seppur
con
variazioni,
da
Allison.
Lo
studioso
fonda
le
sue
argomentazioni
proprio
sull’assenza
nel
testo
di
ogni
pur
possibile
indicazione
sull’aspetto,
sul
costume,
sul
numero,
sul
movimento
delle
rane
in
scena.
Aristofane
è
solito
preannunciare
l’ingresso
del
coro
con
descrizioni,
riferimenti,
sequenze
didascaliche,
per
cui
l’assenza
di
riferimenti
nelle
Rane
è
una
evidente
anomalia,
che
può
essere
giustificata
solo
dall’ipotesi
della
non
visibilità
delle
rane.
E
per
Allison
il
confronto
con
gli
Uccelli
contribuisce
a
dare
forza
a
queste
argomentazioni.
Reckford
ritiene
che
l’unico
coro
visibile
agli
spettatori
sia
stato
quello
degli
iniziati.
Le
difficoltà
economiche
di
Atene
alla
fine
del
V
secolo
avranno
indotto
Aristofane
a
non
avvalersi
di
un
secondo
coro.
I
canti
delle
rane
saranno
stati
interpretati
dagli
stessi
componenti
del
coro
principale.
Il
ritmo
incalzante
del
dialogo
sarebbe
poi
chiaro
riferimento
al
modo
di
comporre
dei
poeti
contemporanei.
La
non
visibilità
delle
rane
ha
elevato
valore
simbolico:
pur
da
dietro
la
scena,
le
rane
incitano
Dioniso
a
riconquistare
l’identità
di
eroe
comico
e,
soprattutto,
di
divinità
del
teatro.
Le
argomentazioni
di
Reckford
sono
state
accolte
successivamente
da
Wills.
A
tal
proposito,
lo
studioso
rileva
le
difficoltà
legate
all’allestimento
di
un
coro
secondario.
Dopo
aver
individuato
i
motivi
del
contrasto
tra
Dioniso
e le
rane,
Wills
interpreta
la
scena
come
anticipazione
dell’agone
tra
Eschilo
ed
Euripide.
In
effetti,
il
motivo
della
competizione
canora
non
rappresenta
un’assoluta
novità
nella
produzione
di
Aristofane:
basti
pensare
ai
Cavalieri
(274
-
277,
285
-
287).
Il
confronto
tra
le
rane
e
Dioniso
è
una
sorta
di
primo
agone
in
un
contesto
estetico
che
ha
per
oggetto
lo
statuto
della
poesia.
È
qui
dunque
espressa
una
critica
nei
confronti
dei
poeti
moderni.