N. 107 - Novembre 2016
(CXXXVIII)
CORI
DI
ANIMALI
LE
COMMEDIE
DI
ARISTOFANE
-
PARTE
I
di
Paola
Scollo
La
questione
dell’origine
di
cori
di
animali
nella
commedia
antica
è
stata
per
lungo
tempo
al
centro
di
discussioni
e
dibattiti.
Il
ritrovamento
di
una
serie
di
vasi,
databili
tra
la
fine
del
VII
e il
primo
ventennio
del
V
secolo
a.C.,
ha
dischiuso
nuove
prospettive.
Si
tratta
di
ceramica
attica
a
figure
nere
o
rosse
con
scene
di
uomini
su
cavalli,
uccelli,
delfini.
Sembra
che
queste
raffigurazioni,
ampiamente
studiate,
riproducano
scene
della
commedia
antica
nella
sua
prima
fase.
L’origine
di
cori
animali
potrebbe
essere
connessa
a
danze
di
demoni
zoomorfi
o di
uomini
travestiti
da
animali.
Riguardo
alla
prima
ipotesi,
Daitz
sostiene
che
si
tratti
di
un
culto
di
epoca
minoica
o
micenea
di
ordine
totemico
volto
a
garantire
la
fertilità
della
terra
e la
fecondità
della
popolazione
locale.
Riguardo
alla
seconda
ipotesi,
lo
studioso
ritiene
si
possa
trattare
del
“komos”,
la
processione
in
cui
uomini,
travestiti
da
animali,
intonano
canti
sarcastici
uniti
a
insulti,
beffe,
minacce.
D’altra
parte,
non
bisogna
dimenticare
che
Aristotele
nella
Poetica
(1448
b 30
-
35)
individua
proprio
nel
“komos”,
l’ebbrezza
dei
partecipanti
al
corteo
dionisiaco,
una
delle
due
possibili
etimologie
per
il
termine
commedia.
Lo
stato
attuale
delle
conoscenze
non
consente
di
approdare
a
una
risposta
definitiva,
ma è
pur
possibile
ricavare
un
dato
certo:
la
messa
in
scena
di
cori
di
animali
in
commedia
si
pone
prima
di
Aristofane
e si
inserisce
all’interno
di
forme
cultuali
primitive,
dove
gli
animali
sono
espressione
delle
forze
oscure
della
natura.
Di
recente
Rothwell,
ripercorrendo
le
tappe
più
significative
di
un
lungo
dibattito,
ha
rilevato
come
in
Omero
gli
animali
siano
percepiti
quali
forze
pericolose
e/o
antitetiche
alla
civilizzazione
dell’uomo.
Nel
V
secolo,
invece,
il
rapporto
degli
uomini
con
gli
animali
viene
discusso
in
prospettiva
nuova.
Poeti
e
sofisti
propugnano
la
cosiddetta
“teoria
del
progresso”:
gli
uomini,
dapprima
nomadi
e in
costante
pericolo
di
vita,
superano
gradualmente
le
loro
naturali
debolezze
creando
le
tecniche,
agricoltura,
allevamento,
urbanistica,
e le
società.
Questa
concezione
si
oppone
al
mito
esiodeo
della
decadenza
delle
razze
a
partire
dall’età
dell’oro,
sostituendo
a
una
teoria
della
storia
come
regresso
una
teoria
della
storia
come
progresso,
come
sforzo
graduale
di
sfruttamento
e di
modifica
dell’ambiente
a
vantaggio
dell’uomo.
Secondo
Rothwell,
proprio
in
questo
quadro
si
inserisce
la
messa
in
scena
di
animali
in
commedia.
Lo
studioso
ha
ipotizzato
che
Aristofane
sia
ricorso
a
cori
di
animali
proprio
per
parodiare
questa
teoria.
Una
conferma
in
tal
senso
giunge
dagli
Uccelli:
qui
gli
uccelli
rinunciano
a
una
vita
nomade
per
sottomettersi
alla
guida
di
un
leader
e
fondare
una
città
ideale
in
antitesi
ad
Atene,
città
invivibile.
E,
seguendo
questa
condotta,
si
confermano,
più
che
animali,
animali
politici,
dunque
uomini.
Gli
uccelli
diventano
simbolo
di
una
nuova
società
fondata
sulla
natura.
A
ben
vedere,
anche
le
vespe
presentano
caratteristiche
umane:
l’effettiva
natura
animale
è
svelata
agli
spettatori
solo
nel
momento
in
cui
i
coreuti
sollevano
i
mantelli
e
mostrano
i
pungiglioni.
Motivo
di
interesse
è
quindi
il
processo
di
antropomorfizzazione
cui
gli
animali
sono
sottoposti
nel
teatro
di
Aristofane:
queste
creature
costituiscono
già
dei
piccoli
nuclei
che
annullano
le
differenze
tra
uomini
e
animali.
A
tal
proposito,
Rothwell
nota
che
si
tratta,
generalmente,
di
animali
portati
a
vivere
in
gruppi,
come
formiche,
vespe,
uccelli,
in
contrasto
con
animali
privi
di
una
loro
“società”,
come
leoni,
pantere,
leopardi.
È
questo
un
tratto
distintivo
della
commedia
del
V
secolo:
gli
animali
sono
espressione
del
passaggio
dal
nomadismo
alle
prime
forme
di
organizzazione
sociale
e
contribuiscono
al
processo
di
civilizzazione
che
si
pone
alle
origini
della
polis.
Un’attenta
analisi
delle
commedie
di
Aristofane
rivela
la
significativa
presenza
e
messa
in
scena
di
cori
di
animali
e la
creazione
di
espressioni
onomatopeiche
per
riprodurre
versi
di
animali.
Ad
esempio,
Aristofane
fa
ampio
uso
di
versi
di
animali
nel
coro
delle
Rane
e in
varie
sezioni
degli
Uccelli.
D’altra
parte,
la
capacità
di
riprodurre
mimeticamente
voci
e
suoni
reali
è
un’abilità
di
per
sé
necessaria.
Prevista
dalle
tante
situazioni
di
paratragodia,
questo
tipo
di
abilità
permetteva
ben
più
che
le
maschere
il
riconoscimento
delle
varie
illustri
personalità
dell’epoca.
Per
quanto
riguarda
la
tradizione
di
rappresentare
cori
di
rane,
Aristofane
ricorda
nei
Cavalieri
(521
-
525)
la
figura
di
Magnete,
commediografo
apprezzato
della
più
antica
commedia
attica
e
autore
di
una
commedia
dal
titolo
Rane
nel
470
-
440
a.C.:
«sbattendo
le
ali
[...]
facendo
il
moscerino,
tingendosi
del
colore
delle
rane».
Gli
scoli
a
questi
versi
attestano
che
Uccelli,
Moscerini
e
Rane
erano
commedie
di
Magnete.
La
Suda
(k
213)
attribuisce
poi
a
Callia
una
commedia
del
430
o
420
a.C.
dal
titolo
Rane
di
cui,
tuttavia,
non
è
rimasto
alcun
frammento.