N. 108 - Dicembre 2016
(CXXXIX)
IMPEACHMENT COREANO E DINTORNI
L'INFLUENZA DI UNA SCIAMANA SUL GOVERNO DI SEUL
di Gian
Marco Boellisi
Per
quanto
siamo
stati
abituati
a
vedere
spesso
sotto
i
riflettori
negli
ultimi
anni
la
Corea
del
Nord,
da
qualche
settimana
a
questa
parte
anche
la
sua
gemella
meridionale,
la
Repubblica
di
Corea,
ha
fatto
parlare
discretamente
di
sé.
Il
massimo
vertice
del
governo
coreano,
ovvero
la
sua
presidente
Park
Geun-hye,
è
stata
investita
da
uno
scandalo
che
spazia
da
alcune
tangenti
versate
dalle
multinazionali
fino
a
una
“sciamana”
che
avrebbe
tirato
le
fila
delle
azioni
governative
fin
dal
primo
giorno
del
suo
mandato.
Tutto
ciò
ha
portato
ad
un
voto
di
impeachment
avvenuto
il 9
dicembre
scorso,
in
seguito
al
quale
la
Park
è
uscita
dimissionaria.
Ma
andiamo
con
ordine.
È
giusto
inquadrare
prima
il
contesto
in
cui
questa
particolare
vicenda
si
sta
tuttora
svolgendo.
La
Corea
del
Sud
è
una
democrazia
molto
giovane.
Nata
dalla
spartizione
fatta
dalle
superpotenze
dopo
la
Guerra
di
Corea,
essa
è
passata
per
svariati
anni
da
un
regime
autoritario
all’altro,
senza
riuscire
a
trovare
una
via
verso
la
democrazia.
Questa
svolta
è
avvenuta
negli
anni
’80,
affacciando
il
paese
nel
suo
completo
alla
comunità
internazionale.
Il
presidente
eletto
dalle
ultime
consultazioni
risulta
essere
Park
Geun-hye,
figlia
di
Park
Chung-hee,
dittatore
e
maggiore
rappresentante
della
Terza
Repubblica
Coreana,
assassinato
nel
1979.
L’attuale
presidente
Park
ha
vinto
le
ultime
elezioni
nel
2012,
presentandosi
a
capo
il
partito
di
centro-destra
Saenuri
con
un
programma
riformatore
e
autoritario
e
ottenendo
il
51,6%
dei
consensi
nei
confronti
del
rivale.
Lo
scandalo
in
cui
è
stata
coinvolta
la
Park
a
quattro
anni
dalla
sua
elezione
non
risulta
riguardare
né
il
governo
né
una
cerchia
ristretta
di
individui
all’interno
dell’esecutivo,
ma
solo
ed
esclusivamente
la
presidente.
Infatti
le
accuse
formali
sono
di
abuso
di
potere
e di
favoritismi
verso
un
numero
imprecisato
di
associazioni
e
singoli
individui.
La
portata
del
caso
è
tale
che
non
si
farebbe
fatica
a
definirlo
come
il
più
grande
scandalo
che
la
democrazia
sud-coreana
abbia
dovuto
affrontare
dalla
sua
breve
vita.
Neanche
in
passato
quando
nel
2004
ci
fu
un’altra
richiesta
di
impeachment
contro
l’allora
presidente
Roh
Moo-hyun,
respinta
dal
Parlamento,
si
raggiunse
una
crisi
tanto
grave.
Il
caso
è
scoppiato
nell’ottobre
scorso,
quando
una
fuga
di
notizia
avrebbe
portato
nelle
mani
della
stampa
un
numero
consistente
di
mail
dalle
quali
emergeva
un
legame
di
dipendenza
e
subordinazione
psicologica
della
Park
nei
confronti
di
Choi
Soon-Sil,
una
persona
che
pare
le
sia
stata
accanto
da
sempre.
Infatti
Choi
risulta
essere
figlia
di
un
poliziotto
diventato
poi
santone,
il
quale
avrebbe
ricoperto
la
carica
di
consigliere
di
Park
Chung-hee,
il
padre
dell’attuale
presidente.
L’influenza
della
Choi
sulla
presidente
è
tuttavia
di
vecchia
data.
Infatti
pare
si
sia
avvicinata
alla
Park
già
quando
era
bambina,
nel
1974,
subito
dopo
l’assassinio
della
madre.
Avrebbe
quindi
convinto
l’allora
bambina
di
poterle
insegnare
a
comunicare
con
il
defunto
parente.
Da
allora
in
poi
sarebbe
stato
solo
un
crescendo
che
avrebbe
portato
la
Park
ad
una
completa
sudditanza
psicologica.
Choi
Soon-Sil
non
ha
mai
ricoperto
alcun
incarico
pubblico,
tuttavia
negli
ultimi
anni
correggeva,
o
addirittura
scriveva,
i
discorsi
della
presidente,
aveva
accesso
a
file
riservati
riguardanti
la
politica
estera,
compresi
i
rapporti
con
il
turbolento
gemello
del
Nord,
ed
infine
consigliava
anche
che
abbigliamento
era
opportuno
indossare
e
quali
colori
sarebbero
stati
più
consoni
per
un
certo
giorno
della
settimana.
Questi
gravissimi
fatti
trovano
le
proprie
fondamenta
nella
società
coreana
stessa.
In
questa
lontana
penisola,
sciamani,
indovini
e
auguri
di
vario
tipo
sono
venerati
e la
loro
opinione
viene
presa
ancora
in
considerazione
nei
villaggi
di
pescatori
e
nelle
zone
rurali.
Il
governo
scoraggia
questa
pratica,
considerandole
mere
superstizioni
e
cercando
di
nasconderle
ad
occhi
esterni.
Le
popolazioni
rurali
che
migrano
verso
i
grandi
centri
in
cerca
di
lavoro
tuttavia
preservano
queste
tradizioni
di
stampo
animista,
riportando
parzialmente
in
auge
queste
vecchie
credenze.
La
tradizione
culturale
quindi
ha
avuto
sicuramente
un’influenza
notevole
sulla
presidente
Park,
che
avrà
affrontato
il
dolore
della
perdita
della
madre
affidandosi
al
bagaglio
di
usanze
del
proprio
paese.
Questo
però
non
giustifica
gli
atti
delle
due
donne.
Infatti
oltre
alla
diffusione
di
segreti
di
stato,
la
presidente
e la
sua
sciamana
sono
state
coinvolte
in
uno
scandalo
di
tangenti.
Choi
Soon-sil
è
accusata
di
aver
usato
la
propria
influenza
politica
sulla
Blue
House
(il
palazzo
presidenziale
coreano),
distribuendo
favori
e
ricevendo
in
cambio
mazzette.
E
non
parliamo
di
spiccioli.
Pare
che
circa
70
milioni
di
dollari
siano
stati
estorti
dai
colossi
industriali
del
paese,
tra
cui
Samsung,
Hyundai
e
Lotte.
Questi
soldi
sarebbero
poi
confluiti
in
due
fondazioni
create
da
Choi
stessa,
le
quali
sarebbero
state
a
disposizione
anche
per
fini
politici
della
Park.
Avrebbe
inoltre
anche
garantito
un
ingresso
assicurato
alla
figlia
in
una
delle
migliori
università
del
paese,
la
cui
laurea
è
stata
subito
annullata
dopo
lo
scoppio
del
caso.
Già
nel
2007
alcuni
documenti
diplomatici
statunitensi
riportano
la
pericolosità
del
legame
tra
le
due
donne
e la
completa
obbedienza
della
Park
nei
confronti
di
Choi.
Nota
ormai
come
“la
sciamana”
o la
“nuova
Rasputin”,
Choi
Soon-sil
stessa
avrebbe
ammesso
dal
carcere
nel
quale
è
rinchiusa
«Merito
la
morte
per
quello
che
ho
fatto».
Lo
scandalo
ha
provocato
una
reazione
molto
forte
da
parte
dell’opinione
pubblica.
Per
circa
sette
settimane
i
sud-coreani
sono
scesi
in
piazza
a
chiedere
le
dimissioni
del
loro
presidente,
aumentando
di
volta
in
volta
la
presenza
nelle
piazze.
Il 3
dicembre,
l’ultimo
sabato
prima
del
voto
di
impeachment,
erano
presenti
circa
1,7
milioni
di
persone
nella
capitale
Seul
e
oltre
2
milioni
nel
resto
della
penisola.
In
piazza
non
si
sono
visti
solo
i
coreani
politicamente
contrari
al
governo
Park,
ma
un’intera
nazione:
sindacati,
studenti,
partiti
di
opposizione,
cittadini
di
qualsiasi
categoria.
Un’immagine
ormai
diventata
il
simbolo
della
protesta
sono
le
mamme
con
le
proprie
carrozzine,
che
sfidano
il
gelo
invernale
chiedendo
a
voce
alta
giustizia.
C’è
addirittura
qualcuno
che
ha
paragonato
questa
serie
di
proteste
con
quelle
effettuate
dal
movimento
degli
ombrelli
ad
Hong
Kong,
in
cui
la
città
fu
bloccata
per
alcuni
mesi.
La
protesta
a
Seul
e
negli
altri
centri
abitati
ha
avuto
connotati
pacifici
e
pacati,
senza
sfociare
in
atti
di
violenza.
Ciò
a
dimostrare
come
l’intero
popolo
coreano
abbia
capito
l’importanza
della
conquista
democratica
di
soli
trent’anni
fa,
e di
come
lotti
con
unghie
e
denti
per
mantenere
oleati
gli
ingranaggi
di
questa
fragile
macchina.
Per
quanto
riguarda
invece
le
questioni
prettamente
politiche,
anche
qui
le
reazioni
non
si
sono
fatte
attendere.
La
stessa
presidente
Park
Geun-hye,
trovatasi
con
le
spalle
al
muro,
aveva
dichiarato
di
voler
seguire
le
procedure
legislative
verso
l’impeachment.
Non
che
le
opposizioni
la
pensassero
diversamente.
Infatti
ancor
prima
di
stabilire
la
data
ufficiale
della
votazione,
era
già
iniziata
la
conta
dei
voti.
Affinché
il
voto
passasse
era
necessario
avere
i
due
terzi
del
Parlamento
a
favore,
quindi
si
parla
di
200
voti
su
300
totali.
I
voti
certi
a
favore
dell’incriminazione
della
presidente
erano
172,
ovvero
i
voti
delle
opposizioni
unite.
Quindi
ne
mancavano
28.
Guardando
ai
fatti,
venerdì
9
dicembre
erano
234
i
voti
a
favore
dell’impeachment
su
300
parlamentari.
Quindi
se
ne
può
dedurre
che
una
fetta
consistente
della
maggioranza
abbia
votato
a
favore
della
proposta.
Sicuramente
una
parte
sarà
provenuta
dai
40
cosiddetti
“dissidenti”
del
partito
Saenuri,
ma
la
gravità
dello
scandalo
deve
aver
intaccato
sicuramente
anche
altri
membri
della
maggioranza,
probabilmente
oltraggiati
dai
misfatti
della
Park.
Questa
enorme
confluenza
di
voti
ha
superato
le
ben
più
ristrette
previsioni
dei
media
di
Seul,
i
quali
avevano
previsto
una
maggioranza
di
212
voti
a
favore.
Ora
il
governo
è in
mano
ad
interim
alla
seconda
carica
dello
Stato,
ovvero
il
premier
Hwang
Kyo-ahn.
Un’altra
conseguenza
dello
scandalo,
decisamente
più
sottile
da
intravedere,
risulta
essere
il
coinvolgimento
delle
multinazionali
coreane.
Infatti
molti
hanno
visto
questo
come
una
conferma
di
decenni
di
sospetti.
È
stato
pensiero
comune
per
molti
anni
che
i
giganti
sud
coreani
abbiano
sempre
sommerso
la
politica
di
denaro,
più
o
meno
volontariamente,
per
avere
favoritismi
e
protezione
governativa
in
cambio.
Nei
giorni
precedenti
al
voto
sono
stati
chiamati
a
testimoniare
sotto
giuramento
in
Parlamento
gli
amministratori
delegati
delle
9
chaebol,
ovvero
conglomerati
di
aziende,
più
importanti
della
Corea.
Esse
controllano
oltre
l’80%
dell’economia
coreana,
costituendo
anche
una
grossa
fetta
dell’economia
asiatica.
Come
accennato
in
precedenza,
esse
avrebbero
sborsato
circa
70
milioni
di
dollari
in
tangenti
alla
Choi.
L’interrogativo
di
maggiore
interesse
è
quindi
quali
favori
essi
abbiano
ricevuto
in
cambio.
La
linea
dei
tycoon
durante
l’interrogazione
parlamentare
sarebbe
stata
univoca:
hanno
tutti
descritto
una
“realtà
coreana”,
dalla
quale
non
si
può
prescindere
se
si
vuole
avere
una
certa
posizione
economica
di
rilevo
e a
cui
non
ci
si
può
opporre
se
le
istituzioni
o il
governo
stesso
chiedono
denaro.
E
questa
è
solo
la
punta
dell’iceberg.
Guardando
l’intera
vicenda
nel
complesso,
si
può
concludere
che
essa
abbia
portato
a
galla
alcuni
aspetti
molto
importanti
della
società
Coreana.
In
primis
si
denota
come
la
Corea
del
Sud
sia
ancora
fortemente
radicata
nei
confronti
di
certe
figure
e
come
la
tradizione
sia
ancora
tutt’oggi
in
lotta
con
la
cosiddetta
“modernità”.
Santoni,
politici,
i
leader
delle
chaebol,
sono
tutte
entità
che
detengono
un
potere
sproporzionato
se
confrontato
a
tutte
le
altre
categorie
sociali.
Il
loro
potere
di
determinare
il
buono
e il
cattivo
tempo
è
consolidato
da
anni,
e
questo
è
solo
l’ultimo
episodio
di
una
lunga
serie.
Un’altra
considerazione
è
doverosa
nei
confronti
delle
multinazionali
sopracitate.
L’impatto
visivo
e
psicologico
nel
vedere
i 9
CEO
delle
chaebol
testimoniare
in
Parlamento
ha
scosso
molto
i
coreani.
La
sensazione
dilagante
è
come
se
questi
personaggi,
sembrati
da
sempre
intoccabili,
avessero
perso
la
loro
aura
di
invulnerabilità.
Alcuni
analisti
suppongono
addirittura
che
questo
sia
il
primo
sintomo
del
declino
dell’olimpo
industriale
coreano.
Ma
solo
il
tempo
deciderà
le
sorti
di
questi
colossi.
In
conclusione,
qualora
la
Corte
si
pronunci
a
favore
del
voto
parlamentare,
la
Park
avrà
tempo
fino
a
sessanta
giorni
per
dimettersi.
I
tempi
di
gestazione
dell’intero
processo,
come
si
vede,
sono
molto
lunghi.
Si
potrebbe
infatti
arrivare
fino
ad
agosto.
Una
Corea
senza
una
guida
politica
certa
così
a
lungo
sarebbe
un
enorme
vuoto
di
potere
nella
regione.
Ma
al
di
là
dei
ragionamenti
di
politica
estera,
i
primi
a
rimetterci
sarebbero
i
coreani
stessi.