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antica


N. 116 - Agosto 2017 (CXLVII)

La sezione dei cordofoni nella musica greca antica

Lyra, kithara, barbitos

di Alessandra Romeo

 

«Fa che io esegua un canto armonioso, quando io prenda la cetra sonora e per le mie amiche… cose belle, o Musa, io canti».

[Sapph. 58b Voigt, vv. 7-8. Trad. it. G. Tedeschi, EUT, Trieste 2014]

 

Gli strumenti musicali nell’antica Grecia sono numerosi e si suddividono in diverse sezioni, ognuna con specifiche caratteristiche. Fondamentale per la conoscenza della struttura e dell’utilizzo, ancor più delle fonti scritte, è la tradizione iconografica, in particolare quella della produzione vascolare.  

 

Dei cordofoni, ossia gli strumenti a corde, spiccano la lyra, la kithara e il barbitos, spesso confusi tra loro.

 

La lyra era costituita da una cassa armonica, l’echeion, ovvero il carapace di una testuggine. Ad essa erano fissati due bracci, pekeis, o corna, kerata, uniti alla sommità da una traversa di legno di quercia, zigon, sulla quale erano avvolte le corde, tese su un piccolo ponte, magas, e attaccate al chordotonion, posto nella parte inferiore della cassa, con anelli mobili di cuoio o tessuto, kollaboi. Il numero delle corde andava da tre a dodici e presentavano la medesima lunghezza.

 

Lo strumento si suonava con un plettro, plektron, fatto di legno, corno, avorio, metallo, pietra preziosa, e con una particolare forma terminante con un uncino o a punta. Esso era fisso alla lira perché attaccato tramite una cordicella. Per poterla era sufficiente che la mano destra muovesse il plettro sulle corde e la sinistra le pizzicasse.

 

Uno degli esemplari vascolari più affascinanti e sul quale è riprodotta una lyra è la kylix a fondo bianco del Pittore di Pistoxenos conservata al Museo Archeologico di Delfi (inv. 8140) e datata al 475-450 a.C. Nel tondo interno è raffigurato Apollo, seduto, che versa una libagione da una phiale mentre regge una lyra nella mano sinistra, della quale è ben identificabile il carapace che costituisce la cassa armonica.

 

Si narra che fu Ermes il suo mitico inventore: a poche ore dalla nascita, il dio scappò dalla culla e raggiunse la Tessaglia, dove rubò dodici vacche al fratello e dio Apollo, che nel frattempo si era distratto per assecondare la sua passione per il giovane Imeneo. Attaccò le loro code ad un ramo e le portò in giro per tutta la Grecia, fino a Pilo. Qui sacrificò agli dei due degli animali rubati, nascose il resto della mandria e si rifugiò nella grotta dove nacque, sul monte Cillene.

 

All’ingresso di essa trovò una testuggine e, svuotando questa e usando le budella e le corna degli animali sacrificati, fabbricò la prima lira. Apollo, infuriato per il furto subito, giunse a Pilo e scoprì, grazie alla spia di un vecchio di nome Batto, l’autore del furto.

 

Andò, quindi, a protestare con la madre di Ermes, Maia, ma lei gli mostrò come il piccolo stesse dormendo beatamente nella culla. Alla fine i due fratelli raggiunsero un accordo: Apollo avrebbe lasciato le vacche ad Ermes e il piccolo in cambiò avrebbe donato la lira ad Apollo, che nel frattempo era rimasto affascinato dal suo suono (cfr. Apollod. Bibliotheca 3, 10, 2).

 

La kithara era usata solo da suonatori professionisti e nelle competizioni musicali. Raramente è descritta nelle fonti letterarie, ma è tuttavia largamente rappresentata nella produzione vascolare greca. Come ogni altro strumento ha subito un’evoluzione della forma, che diverrà canonica dal VI secolo a.C. Presenta un’altezza di 70-80 cm e una larghezza di 50 cm circa ed era suonata con un plektron, attaccato allo strumento tramite una cordicella.

 

È costituita da una cassa di risonanza trapezoidale con la base minore posta in basso. La base maggiore presenta una forma rettilinea, o concava, o formata da due curve congiunte. Dalla cassa sporgono due bracci, collegati in alto ad una traversa in legno (45-50 cm) ma che la superano di circa 10 cm. Su di essa erano avvolte le corde, tese su un piccolo ponte, magas, e attaccate al chordotonion, posto nella parte inferiore della cassa e di forma rettangolare. Le estremità della traversa presentano due manopole, usate per applicare o sostituire le corde.

 

La parte anteriore della cassa è piatta, quella posteriore è convessa e con uno spigolo al centro, utile per sorreggere lo strumento.

 

Sulla cassa sono presenti a volte dei fori armonici, non essenziali per la sonorità, che nelle immagini vascolari sono raffigurati come cerchi, croci o occhi.

 

Lo strumento, infine, presenta un complesso meccanismo di tasselli di rinforzo per mantenere in tensione le corde e molti studiosi hanno ipotizzato la presenza di lamelle vibranti, in avorio, in corno o in metallo, poste nella cassa per amplificarne la sonorità.

 

Spesso kithara e lyra sono confuse, nonostante l’evidente maggiore complessità della prima e le differenze strutturali e di suono.  

 

Così come lo strumento precedente, anche questo è molto presente sulle immagini vascolari. Un esempio è la lekythos a fondo bianco del Pittore di Achille ARV² 651.26, del 475-450 a.C. e conservata al Metropolitan Museum di New York (inv. 53.244). È raffigurato Apollo che tiene nella mano sinistra uno splendido esemplare di kithara, mentre con la destra raccoglie una foglia di palma dall’albero.

 

Il barbitos, infine, era suonato con un plettro fatto di materia dura come nei casi precedenti e con una particolare forma terminante con un uncino o a punta. Esso era fisso allo strumento perché attaccato tramite una cordicella. La tecnica per suonare era la stessa descritta in precedenza.

 

Questo strumento era adatto alle esecuzioni musicali che si svolgevano all’interno dell’ambiente domestico.

 

Sostanzialmente possiamo definirlo una sorta di lira più stretta e lunga, con la cassa di risonanza più piccola e la lunghezza delle corde maggiore: ciò conferiva un suono più grave e, purtroppo, raramente è identificato correttamente perché scambiato con la più comune lyra.

 

Utile per la comprensione delle differenze è l’anfora del Pittore dei Niobidi conservata al Walters Art Gallery di Baltimora (inv. 48.2712) e risalente al 475-450 a.C. Essa, sul lato principale, mostra una scena domestica raffigurante tre donne: quella sulla sinistra con una scatola nelle mani, la centrale seduta con un barbitos sulle gambe e, sulla destra, una donna con due flauti, uno per mano. In alto è appesa una lyra e ciò consente un immediato confronto tra i due strumenti e di apprezzarne le peculiarità.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

ARV² : Beazley J. D., Attic Red-Figure Vase-Painters, Oxford 1963.

A. D’Amicis, L’arte delle Muse, Spazio M.Ar.Ta., Taranto 1999.

S. Sarti, La kithara greca nei documenti archeologici, in Revue belge de philologie et d’histoire 81, 2003, pp. 47-68.

E. Wellesz  (a cura di), Storia della musica. The New Oxford History of Music. Vol. 1, Musica antica e orientale, trad. it. G. Tintori, Feltrinelli, Milano 1987 (ed. orig.  New Oxford History of Music, I. Ancient and Oriental Music, Oxford University Press, London 1957).

L. M. West, Ancient Greek Music, Clarendon Press, Oxford 1994.



 

 

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