[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

192 / DICEMBRE 2023 (CCXXIII)


sport

IL TRIONFO DELL’ITALDAVIS
IL TENNIS TORNA NEL CUORE DEGLI ITALIANI
di Valerio Acri

Uno sport ritrovato come un trofeo che mancava all’Italia da quasi mezzo secolo e la consacrazione del Campione capace di trascinare una squadra, catalizzare l’entusiasmo popolare e convogliare la passione collettiva. Il tennis azzurro e la classe da predestinato di Jannik Sinner ci hanno consegnato lo scorso novembre 2023 una storia italiana, una di quelle capaci anche di spiegare l’astrazione del concetto di Nazione.

La Coppa Davis riconquistata dopo 47 anni è a tutti gli effetti uno di quei momenti attraverso i quali il Paese si riscopre fiero specchiandosi nei riflessi di un successo sportivo che è anche una prima volta assoluta per tre generazioni di appassionati. Per oltre quattro lustri l’Italia tennistica ha peregrinato in attesa del suo fuoriclasse, cullandosi nel ricordo di quell’unica insalatiera d’argento conquistata nel 1976 pochi giorni prima di Natale a Santiago del Cile, nel bel mezzo della dittatura sanguinaria di Augusto Pinochet e dei dissensi di quanti avevano chiesto a gran voce di boicottare la coppa in segno di protesta.

Forse anche per i suoi connotati extra-sportivi quella vittoria ha potuto perpetuarsi nell’immaginario collettivo, celebrata anno dopo anno come un’eccezione sempre più antica, meritevole infine anche di una docu-serie a puntate narrata dai suoi protagonisti Nicola Pietrangeli, Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli.

Il trionfo del 2023 al Palacio de Deportès di Malaga ha quindi portato con sé quella sottile sensazione di liberazione che accompagna spontaneamente la fine di ogni lunga astinenza, ancor più tale se si pensa che la Davis è di fatto il Mondiale del tennis ma, a differenza della massima rassegna calcistica, non ha una cadenza quadriennale e si mette regolarmente in palio ogni anno dal 1900 (uniche eccezioni l’edizione del 1901, quelle degli anni delle due guerre mondiali e il 2020 in piena pandemia).

Brevettata dall’americano Dwight Davis, ottimo giocatore di doppio, a ben vedere è la più antica competizione sportiva mondiale per Nazioni, “un’autentica anomalia di squadra in uno sport individuale come il tennis”, secondo la definizione dello Scriba della racchetta Gianni Clerici. Per oltre 70 anni è rimasta appannaggio di una ristretta élite composta da Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia e Francia per poi aprirsi finalmente ad altre latitudini tennistiche compresa la nostra.

Da Santiago del Cile a Malaga è stato però un guado a tratti interminabile, imboccato dopo il lento crepuscolo del quartetto Panatta-Barazzutti-Bertolucci-Zugarelli che si congedò di fatto nel 1980 con la finale persa a Praga contro la Cecoslovacchia di Ivan Lendl. Nel 1998 si raggiunse una sponda con la finale disputata per la prima e unica volta in Italia nell’indoor milanese del Forum di Assago. Era la Nazionale di buoni giocatori come Andrea Gaudenzi, Diego Nargiso e Davide Sanguinetti che dovette arrendersi alla Svezia e alla sfortuna (nel primo singolare Gaudenzi giocò stoicamente con un tendine della spalla martoriato fino ad alzare bandiera bianca al tie-break del quinto set).

L’onta di una doppia retrocessione nei primi anni 2000, in Serie B e poi in Serie C, sembrò spingere la Nazionale e l’intero movimento in un deserto sportivo, fino a riemergere nel tennis che conta grazie soprattutto a un top-10 come Fabio Fognini, primo azzurro a vincere il prestigioso Masters 1000 di Montecarlo nell’era Open (quella aperta ai professionisti) e alfiere di Davis dell’ultimo decennio prima di Malaga.

Due estati fa sentimmo chiaramente che sul tennis azzurro soffiava ormai un vento nuovo e a tratti sconosciuto, come l’emozione di vedere un italiano in finale a Wimbledon. Mai in 100 anni di storia un nostro tennista era arrivato all’atto conclusivo del Major più illustre e pazienza se Matteo Berrettini dovette poi inchinarsi a Novak Djokovic e successivamente anche ai ripetuti infortuni che lo hanno costretto a essere a Malaga solamente come tifoso al seguito.

Nel frattempo Sinner aveva cominciato a farci alzare il sopracciglio vincendo prima le NextGen (2019, il torneo riservato ai migliori Under-21 del mondo) e poi facendo il suo esordio (2021) sul palcoscenico delle AtpFinals, subentrato proprio in sostituzione di Berrettini infortunato. Erano i primi bagliori del suo talento cristallino che oggi sembra destinato a brillare per lungo tempo nel firmamento del tennis mondiale e autorizza a sognare nel futuro nuovi trionfi come la vittoria di uno Slam, quella agli Internazionali di Roma sulla terra del Foro Italico e magari anche la conquista del numero 1 del ranking Atp.

Intanto è riuscito, in due settimane di autentica febbre tennistica, a scalzare addirittura il TG1 sul primo canale Rai per la diretta della finale delle AtpFinals di Torino contro Novak Djokovic e ad aggregare oltre sei milioni di telespettatori per quella del match decisivo dell’insalatiera nel quale ha strapazzato l’australiano Alex De Minaurlasciandogli appena tre giochi. Una sorta di rigenerazione mediatica per il tennis che, dopo la retrocessione dell’ItalDavis in Serie B nel 2000, era gradualmente sparito dai palinsesti dell’emittente di Stato insieme alle esaltanti telecronache di Giampiero Galeazzi.

Erano gli anni nei quali i pochi spazi di visibilità lasciati dal calcio agli altri sport divenivano appannaggio dei record di Federica Pellegrini nel nuoto, dei successi di Valentino Rossi nel motociclismo e del ciclo vincente di Michael Schumacher alla guida della Ferrari. Il nobile sport della racchetta sopravviveva invece a stento nelle televisioni a pagamento e, all’occorrenza, gli archivi delle reti di Stato potevano rispolverare le immagini in pellicola del fotografo Gigi Oliviero, unico reporter presente nel ‘76 a Santiago del Cile – a titolo personale e a proprie spese – per documentare la prima insalatiera azzurra perché la Rai, in sdegno al regime di Pinochet, disertò la trasferta sudamericana limitandosi a inviare Mario Giobbe per una radiocronaca degli incontri.

Separati da 47 anni i due trionfi tennistici del nostro Paese raccontano ovviamente anche l’evoluzione di uno sport e del suo pubblico. Quella attuale è una Davis in formato ridotto, compressa in due sole settimane l’anno per lasciare spazio ai tornei del Circuito Atp in un calendario divenuto nel tempo sempre più fitto e all’interno del quale i top-player faticano a concedersi alla Nazionale. Lo stesso Sinner aveva preferito declinare la convocazione azzurra per gli incontri del Round Robin e, priva di lui, la squadra capitanata da Filippo Volandri aveva barcollato all’Unipol Arena di Bologna, sconfitta impietosamente dal Canada e vittoriosa solo in rimonta sul Cile con Lorenzo Sonego costretto a salvare quattro match-point contro Nicolas Jarry.

La necessità di assecondare le esigenze dei giocatori e mantenere alto l’interesse del pubblico ha di fatto mandato in soffitta la formula storica della Coppa Davis –certamente più rispondente alla sua ultracentenaria tradizione – che prevedeva quattro singolari (anziché due) e il doppio in match al meglio dei cinque set (come negli Slam) all’interno di un tabellone con confronti a eliminazione diretta diluiti in tre giorni dal venerdì alla domenica.

Anche nel suo formato 2.0, però, l’affascinante anomalia di questa coppa capace di trasformare il tennis in uno sport di squadra ha regalato un’eccezione nella (quasi) eccezione quando Jannik Sinner, opposto a Djokovic nella semifinale contro la Serbia, ha saputo risalire la china e imporsi in un match nel quale il tennista più vincente di sempre è uscito battuto dopo essere stato per tre volte a un solo “quindici” dal successo.

Il campione altoatesino ha poi firmato il Davis-point servitogli con coraggio da Matteo Arnaldi, messo alle corde nel primo singolare della finale dall’australiano Alexei Popyrin, al quale ha dovuto annullare otto palle-break nel set decisivo prima di strappargli il servizio e consentire all’Italia di allungare le mani sui manici dell’insalatiera più ambita. Per sollevarla la squadra azzurra ha dovuto attendere la vittoria di Sinner su De Minaur, una formalità che ha spezzato il tabù consegnandoci un’impresa sportiva destinata a essere raccontata.


Riferimenti bibliografici:

Gianni Clerici, Il grande tennis, Mondadori, Milano 1978.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]