N. 121 - Gennaio 2018
(CLII)
la conversione dimenticata
gli ebrei di sannicandro - Parte i
di Stefano Coletta
Questa
storia
inizia
con
due
messi
notificatori
del
Tribunale
Penale
di
Foggia
che
bussano,
una
mattina
del
febbraio
1936
(anno XIV
dell’era
fascista),
alla
porta
di
Donato
Manduzio,
un
contadino,
residente
a
Sannicandro
Garganico,
noto
con
il
soprannome
“Caccabra”
faccia
di
merda),
unica
eredità
paterna.
Ad
aprire
la
moglie,
Emanuela
Vocino,
che
rassicurata
che
non
sono
agenti
delle
tasse,
li
invita
a
entrare,
ma
quale
sconforto
l’assale
quando
scopre
che
recano
la
notifica
di
una
multa
di £
250
a
carico
del
marito
Donato
Manduzio.
La
donna
inizia
a
imprecare
e a
contestare
«Ma
come
può
essere
che
mio
marito
ha
fatto
qualcosa,
se è
paralitico
e
trascorre
tutto
il
tempo
a
casa!
Ma
s’è
ammattito
quel
cornuto
del
Giudice
di
Foggia!».
Inutile
cercare
di
farla
ragionare.
Solo
dopo
molto
tempo
riescono
a
spiegare
che
la
multa
è
frutto
delle
riunioni
religiose
che
tiene
il
marito
nella
sua
casa.
«Cosa
c’è
di
male!»,
risponde
la
donna.
Il
male
sta
nella
decisione
di
Donato
di
autoproclamarsi
ebreo
e di
aver
fatto
proseliti
tra
la
popolazione
del
paese.
Donato
Manunzio,
classe
1885,
nasce
il
25
luglio
a
Sannicandro,
un
paese
del
sub
appennino
dauno,
nella
provincia
di
Foggia,
da
una
famiglia
di
poveri
contadini.
Questo
gli
impedisce
di
frequentare
la
scuola,
come
la
maggioranza
dei
paesani.
Appena
è in
grado
di
tenere
una
zappa
in
mano
viene
avviato
nei
campi,
allo
scopo
di
aiutare
la
famiglia.
Nel
1910,
all’età
di
venticinque
anni,
contrae
matrimonio
con
Emanuela
Vocino,
figlia
di
contadini.
Il
matrimonio
non
è
“benedetto”
dall’arrivo
di
figli.
Nel
1915,
l’Italia
lo
“chiama
a
difendere
i
sacri
confini
della
Patria”.
Si
ritrova
a
vestire
i
panni
del
soldato
e il
fregio
del
94°
Reggimento
Fanteria.
Durante
la
permanenza
in
prima
linea,
s’ammala,
di
una
malattia
non
ben
precisata,
è
ricoverato
in
ospedale,
dove
rimane
molto
tempo.
Vien
dimesso
con
un
certificato
d’invalidità
permanente,
che
gli
consente
di
percepire
la
pensione
di
guerra.
Durante
il
periodo
di
degenza
apprende
a
leggere
e a
scrivere,
in
maniera
elementare.
Tornato
a
Sannicandro,
si
dedica
alla
lettura
e in
questo
modo
perviene
alla
lettura
della
Bibbia,
in
italiano,
regalatagli,
da
un
vicino
di
casa,
pentacostale,
forse
con
l’intento
di
convertirlo,
come
aveva
fatto
con
altri
abitanti.
Manduzio
s’appassiona
nella
lettura
delle
Sacre
Scritture,
rivela
delle
incongruenze,
prima
tra
tutte
il
mancato
rispetto
del
Sabato,
per
questo
motivo,
rifiuta
la
proposta
di
conversione
dei
Pentacostali
e
degli
Evangelisti,
presenti
sul
territorio,
e
decide
che
l’unica
vera
religione
da
seguire
è
l’Ebraismo.
Si
autoproclama
“Ebreo”
e
riesce
a
coinvolgere
80
abitanti
del
paese,
la
maggioranza
sono
donne,
alcune
coppie,
e
due
invalidi.
In
breve
tempo,
la
popolazione
locale
li
appella
i “Sabbatici”,
perché
non
lavorano
di
sabato.
A
farli
conoscere
sono
le
liti
familiari
che
nascono
ogni
sabato
nelle
famiglie
“miste”,
tra
mariti
che
tornano
dai
campi
e
sperano
di
trovare
da
mangiare
e le
mogli
che
si
astengono
da
qualunque
attività.
Nella
giornata
di
Sabato,
la
comunità
si
riunisce
e
“recita
il
Paternoster,
detto
in
Italiano
e a
bassa
voce
da
ognuno,
cui
segue
una
lettura
ad
alta
voce
fatta
da
uno
dei
presenti
della
Bibbia
(Vecchio
Testamento)
o di
uno
dei
discorsi
del
Pentateuco
commentata
elementarmente”.
Seguono
dei
canti
sia
religiosi
che
politici
(Inno
di
Mameli,
Marcia
Reale).
Gli
uomini
durante
la
funzione
stanno
in
ginocchio,
le
donne
hanno
il
capo
coperto.
Manduzio
apprende
dell’esistenza
di
comunità
ebraiche
sul
territorio
nazionale,
da
un
venditore
ambulante,
che
gli
indica
l’esistenza
di
sedi
nelle
città
di
Genova,
Napoli
e
Torino.
La
notizia
rallegra
e
rincuora
il
fondatore,
che
decide
di
scrivere
per
far
conoscere
la
loro
esistenza
e
chiedere
notizie
sulle
pratiche
ebraiche.
Invia
cartoline,
recanti
l’elenco
dei
nomi
degli
aderenti
al
gruppo
e il
proprio
indirizzo,
ma
non
esplicitando
alcuna
richiesta,
alle
varie
sedi.
Da
Torino
giunge
l’invito
a
rivolgersi
all’Ufficio
Generale
di
Roma.
Manduzio
non
demorde,
scrive
a
Roma
all’“Eccell.mo
Commentatore
capo
comunità
Israelitica
Roma”.
La
risposta
si
fa
attendere.
Manduzio,
invece
di
abbandonare
e
arrendersi,
continua
a
scrivere
e a
chiedere
il
riconoscimento
della
sua
comunità
di
convertiti
all’ebraismo,
di
materiale
per
apprendere
i
riti
ebraici
e i
canti,
oltre
alla
lingua.
Ma
niente!
Silenzio!
Più
la
risposta
si
fa
attendere
e
più
sono
le
lettere
che
invia.
Il
Rabbino
Capo
Angelo
Sacerdoti,
dapprima,
pensa
che
si
tratti
di
un
mitomane,
ma
con
l’aumentare
delle
lettere,
invita
l’amico
e
collega
Alfonso
Pacifici
a
valutare
il
caso.
Questi
vaglia,
con
molta
attenzione,
la
corrispondenza,
i
toni
usati,
le
richieste
avanzate
e
giunge
alla
conclusione
che
potrebbe
trattarsi
di
un
caso
“d’inconscio
marranesimo”
e
che
per
“saggiare
la
serietà
di
questi
tali”
si
deve
inviare,
una
persona
di
fiducia,
sul
posto.
Il
Rabbino
Capo
Sacerdoti,
risponde,
nel
novembre
1933,
mostrando
interesse
verso
questi
fedeli
e
annunciando
l’arrivo
di
una
persona
di
fiducia:
Giorgio
Sessini.
Manduzio
interpreta
la
lettera,
come
un
riconoscimento
della
comunità
e
non
vede
l’ora
dell’arrivo
del
signor
“Sirsillo”,
che
giunge
nel
gennaio
1934.
Costui
trascorre
una
giornata
con
il
gruppo,
assiste
alle
loro
pratiche,
ascolta
le
motivazioni
della
conversione
di
Manduzio,
raccogliere
le
richieste
e
promette
che
farà
pervenire
del
materiale,
che
possa
consentire
al
gruppo
di
diventare
veri
Ebrei.
L’entusiasmo
è
alle
stelle.
Partito
Sessini,
inizia
l’attesa
spasmodica
e
stressante,
che
spinge,
dopo
alcune
settimane,
a
tempestare
il
Rabbino
Sacerdoti
di
lettere,
per
ricordare
gli
impegni
presi
da
Sessini,
soprattutto,
in
vista
dell’avvicinarsi
della
festività
di
Pasqua,
dal
momento,
che
non
hanno
piena
conoscenza
dei
riti
da
seguire
in
tale
festa.
Sacerdoti
temporeggia,
alla
fine,
dopo
un
mese,
risponde.
Sacerdoti
si
dimostra,
leggermente,
irritato,
spiega
che
non
esiste
materiale
in
lingua
italiana,
ma
solo
in
ebraico.
Propone
che
si
rechino,
in
visita,
nei
Ghetti
di
Roma
o
Firenze,
due
o
tre
persone,
allo
scopo
d’impratichirsi
dei
riti
e
degli
usi
ebraici
e
poi
riportarli
alla
comunità.
Proposta
che
cade
nel
vuoto,
per
l’impossibilità,
da
parte
degli
aderenti
al
gruppo,
di
permettersi
una
“vacanza
studio”.
Fino
ad
aprile
nessuna
notizia,
Manduzio
ricontatta
Sacerdoti
perché
un
giovane
s’è
presentato
dicendo
che
era
inviato
dalla
Comunità
di
Roma.
La
risposta
è
immediata,
la
persona
che
s’è
presentata,
non
è un
ebreo,
ma
un
“uscito
di
senno”,
noto
alla
Comunità
di
Roma.
Sacerdoti
specifica
che
in
caso
di
arrivo
di
persone
della
Comunità,
sarà
sua
preoccupazione
avvertire
il
gruppo
per
tempo.
Manduzio
ritorna
alla
carica,
scrive
lettere
con
richieste
e
insiste
sulla
necessità
di
apprendere
i
riti
della
Pasqua,
per
poterla
celebrare
in
maniera
adeguata.
Sacerdoti
risponde,
con
tono
severo,
e
domanda
«come
mai
lei
e i
Suoi
amici
che
non
avevano
mai
avuto
contatti
con
ebrei
e
pertanto
ben
poco
dovessero
comprendere
e
sapere
cosa
sia
l’ebraismo
era
venuta
questa
convinzione.
(…)
è
necessario
una
lunga
preparazione
e
studio
profondo».
Aggiunge
che
non
bisogna
avere
“una
fretta
ansiosa”
e
ricorda
che
l’ebraismo
non
cerca
proseliti
e
accetta
i
convertiti
solo
«dopo
che
sia
evidente
la
necessità
di
farlo:
occorre
soprattutto
che
gli
aspiranti
siano
preparati,
maturi
ed
edotti
del
credo
ebraico»,
in
ogni
caso
la
decisione
di
ammetterli
nella
comunità
spetta
solo
«al
capo
religioso,
la
cui
decisione
non
può
essere
forzata».
Un
modo
molto
educato
e
semplice
per
dire,
a
Manduzio
e al
gruppo,
di
non
ostinarsi
nel
tempestarlo
di
richieste
e,
soprattutto,
di
non
insistere
nell’idea
di
proclamarsi
ebrei.
Sacerdoti
conclude
dicendo
che
avrebbe
inviato
qualcuno
a
spiegare
i
riti
della
Pesach
e il
vero
significato
di
tale
festività
per
gli
Ebrei.
Manduzio,
non
riesce
a
capacitarsi
di
quanto
afferma
il
Capo
Rabbino,
dal
momento
che
li
vuole
consapevoli
della
cultura
ebraica,
ma
non
gli
fornisce
strumenti,
proclama
interesse,
ma
non
vuole
che
si
dicano
interessati.
Nel
frattempo,
giunge,
in
visita,
il
Conte
Federico
Luzzatto
(1900-1960)
studioso
delle
origini
di
varie
comunità
ebraiche
e
membro
dell’Organizzazione
delle
Associazioni
Culturali
Ebraiche
in
Italia.
La
comunità
è in
festa,
per
la
seconda
volta,
crede
e si
convince
che
è un
ulteriore
segno
di
riconoscimento
da
parte
della
Comunità
Centrale
di
Roma.
Invece,
è
solo
un
modo
per
indagare
e
comprendere
cosa
sta
succedendo
in
quello
sperduto
paese.
Sacerdoti
è
preoccupato
che
il
caso
Sannicandro
coinvolga
e
travolga
l’intera
comunità
ebraica
a
livello
nazionale.
Luzzatto
riporta,
al
Rabbino
Capo,
che
i «neo-convertiti
rispettano
il
Sabato,
non
mangiano
carne
di
maiale
e
anguilla,
anche
se
comprano
la
carne
dal
macellaio
del
paese»
(avrebbero
dovuto
acquistarla
da
un
shochet
che
uccida
l’animale
con
rispetto
e
compassione).
A
pasqua
avevano
mangiato
le
Azzime
inviate
da
Sacerdoti,
aggiunge
che
«essi
vogliono
una
maggiore
istruzione
nella
fede
ebraica
e
hanno
espresso
il
desiderio
di
circoncidersi».
Prima
della
partenza
chiedono
che
Luzzatto
faccia
pervenire
il
seguente
materiale:
un
lunario
ebraico,
un
sillabario
ebraico-italiano
per
l’apprendimento
della
lingua,
alcuni
brevi
testi
religiosi
pratici,
come
quelli
in
uso
nelle
scuole
elementari,
articoli
della
legge
riguardanti
il
matrimonio
e
l’esenzione
dei
bambini
dalla
dottrina
cattolica
a
scuola,
musiche
sacre
e
copie
della
Rassegna
Mensile
d’Israel.
Un
mese
dopo
Sacerdoti
inviò
una
lampada
per
il
Sabato
e un
calendario
ebraico,
cosa
che
animò
di
gioia
la
comunità.
Erano
stati
riconosciuti.
Finalmente!!
Erano
ebrei!
Quindi
il
silenzio.
La
situazione
irritò
Manduzio,
che
non
riusciva
a
comprendere
il
comportamento
del
Capo
Rabbino.
Per
questo
motivo,
ritorna
a
tempestarlo
di
lettere.
Sacerdoti
risponde
solo
a
novembre,
annuncia
che
sta
partendo
per
Gerusalemme
e
rinvia
ogni
decisione
al
suo
ritorno.
Nel
frattempo
consiglia
che
la
comunità
legga
e
apprenda
i
testi
della
Genesi,
dell’Esodo
e
del
Levitico,
Libro
dei
Numeri,
Deutoronomio
e
Dieci
Comandamenti,
basilari
per
comprendere
lo
spirito
e il
pensiero
ebraico.
Sacerdoti
non
intraprende
mai
il
viaggio,
perché
muore
subito
dopo.
Manduzio,
in
attesa
del
ritorno
di
Sacerdoti,
tempesta
di
lettere
Pacifici,
che
cerca
di
eludere
le
richieste,
con
varie
scuse,
poiché
l’ultima
parola
spetta
al
Rabbino
Capo.
Nel
1934
comunica
a
Manduzio
che
si
sta
trasferendo
a
Gerusalemme
e
che
il
rabbino
Sacerdoti
è
morto.
Manduzio
augura
ogni
bene
all’amico
per
la
sua
nuova
vita
“lontano
dall’impuro”,
mentre
mostra
indignazione
perché
nessuna
comunità
sorella
ha
ritenuto
opportuno
comunicare
la
dipartita
del
Rabbino
Capo.
A
risollevare
gli
animi
e la
visita,
annunciata
da
Pacifici,
da
Gerusalemme,
di
Jacques
Faitlovich
(Łódź,
1881-
1955),
famoso
per
la
sua
opera
a
favore
dei
Falashà
etiopi
(anche
detti
Beta
Israel).
La
sua
visita
venne
interpretata
dalla
comunità
come
un
riconoscimento
internazionale,
mentre
per
lo
studioso
polacco
il
caso
di
Sannicandro
rientrava
nella
sua
convinzione
di
dover
promuovere
e
incoraggiare
il
proselitismo
della
religione
ebraica.
Il
visitatore
promise
testi
e
suggerì
di
mandare
uno
dei
ragazzi
della
famiglia
Cerrone
a
studiare
presso
un
collegio
ebraico,
per
apprendere
la
lingua
e la
cultura.
Con
la
conseguenza
che
il
direttore
Ascher
dell’Istituto
di
Bex
les
Bains,
vicino
Losanna,
si
ritrova
sommerso
di
lettere
del
padre
del
ragazzo,
riguardo
alla
sua
ammissione
e
partenza
per
la
Svizzera.
Il
direttore
risponde
confermando
la
disponibilità
ad
accogliere
un
bambino
di
11-12
anni,
“in
seguito
anche
due”,
ma
evidenzia
la
difficoltà
delle
leggi
sull’immigrazione,
che
non
facilitano
l’ingresso
di
stranieri.
Trascorrono
due
anni,
durante
i
quali
Ascher,
ribadisce
la
volontà
di
accogliere
il
piccolo
Cerrone,
ma
di
fatto
la
cosa
non
si
concretizza.
Nel
febbraio
1936,
cambia
tono,
evidenzia
le
restrizioni
delle
leggi
e
conclude
che
«è
inutile
vivere
di
false
speranze.
Il
nostro
paese
(la
Svizzera)
proibisce
l’immigrazione
di
forestieri
che
cercano
lavoro,
perché
molte
persone
della
svizzera
non
possono
trovare
lavoro
e la
crisi
regna
ovunque»,
per
questo
invita
Cerrone
a
chiedere
a
Faitlovich
di
muoversi
per
farli
emigrare
a
Eretz
Israel
(“la
Terra
d’Israele”).
Cerrone
e la
comunità
si
sentono
traditi,
abbandonati.
Manduzio,
in
qualità
di
capo
del
gruppo,
espone
il
malessere
a
Pacifici,
costui
risponde
che
hanno
dimostrato
una
profonda
“sincerità
e
del
desiderio
di
conversione”
e
pertanto
possono
considerarsi
“figli
di
Noè”,
ma
non
“figli
d’Israele”,
dal
momento
che
il
cammino,
per
potersi
fregiare,
di
questo
titolo
è
lungo
e
arduo.
Li
rassicura
che
«vi
manderemo
maestri
e
libri
perché
impariate
quali
sono
i
doveri
del
figlio
d’Israele,
e se
poi
perdurereste
nel
vostro
proposito
dopo
lo
studio
prolungato,
vi
accoglieremmo
con
gioia
nel
patto
d’Israele
segnato
con
il
sangue
della
circoncisione.
Ma
se
invece
voi
riflettere
che
tutto
ciò
è
troppo
grave,
noi
vi
diciamo
“State
tranquilli”,
anche
come
Benè
Noach,
fedeli
al
patto
di
Noach,
voi
potrete
portare
benedizione
al
mondo
e
fare
molto
bene
a
Israele
vostro
fratello.
A
voi
fratelli
la
scelta,
sulla
quale
ci
farete
avere
una
risposta
dopo
averla
ben
ponderata».
Manduzio
ricevuta
la
lettera,
si
precipita
a
rispondere,
non
pondera
e
non
riflette,
è
certo
della
sua
decisione
e di
quella
dei
suoi
compagni.
«Ringraziamo
dei
buoni
consigli
–
aggiunge
–
ma
siamo
stupiti
nel
sentire
che
non
siamo
Figli
d’Israele
(…)
Sappiamo
per
Rivelazione
Divina
che
siamo
più
che
Israeliti,
discendiamo
dal
terzo
ramo
di
Giacobbe
e
direttamente
da
Levi.
Ci
troviamo
fuori
da
Israele
solo
per
i
peccati
a
causa
dei
quali
siamo
stati
scacciati
e
perseguitati
dai
nemici
di
Dio».
Insiste
sulla
necessità
di
apprendere
le
pratiche
ebraiche,
che
non
conoscono,
non
certo
per
colpa
loro,
ma
perché
nessuno
ha
studiato
presso
un
Collegio
Rabbinico
e
quello
che
conoscono
«c’è
stato
insegnato
dall’Unico
Dio
che
è il
solo
Maestro
e
Pastore».
Conclude
con
la
seguente
annotazione,
degna
di
un
capo
e di
un
maestro
di
dottrina,
«se
dite
che
siamo
fuori
d’Israele,
allora
questo
è un
segno
che
voi
non
riconoscete
la
Rivelazione
Divina,
della
quale
siamo
stati
i
soli
destinatari
prediletti»,
adesso
alla
sua
comunità
necessita
la
conoscenza
del
Talmud
e
l’apprendimento
dell’ebraico
per
poter
“emigrare
in
Eretz
Israel”.
Pacifici
non
risponde
più
a
nessuna
lettera,
le
comunicazioni
s’interrompono,
con
disappunto
e
sconcerto
di
Manduzio
e
della
comunità.
A
creare
ulteriore
malessere
è
l’arrivo
dei
messi
e
dell’ammenda,
frutto
della
Circolare
del
18
novembre
1935,
recante
la
firma
del
Ministro
degli
Interni
Guido
Buffarini
Guidi,
che
prevede
“tolleranza
zero”
nei
confronti
dei
“pentacostali,
o
pentecostieri
o
neumatici
o
tremolanti
come
sono
diversamente
conosciuti”
perché
si
dedicano
“a
pratiche
religiose
contrarie
all’ordine
sociale
e
nocive
dell’integrità
fisica
e
psichica
della
razza”.
Era
il
manifesto
per
“nazionalizzare
la
religione
cattolica”
e il
primo
passo,
come
afferma
Giorgio
Rochat,
per
l’emanazione
delle
leggi
razziali
del
settembre
1938.
Manduzio
decide
di
nominare
un
suo
rappresentante,
affinché
si
rechi
presso
le
autorità
di
polizia
per
chiedere
informazioni
riguardo
alla
multa.
Nel
frattempo,
scrive
ai
fratelli
delle
varie
comunità
ebraiche.
Risponde
la
Comunità
di
Firenze,
nel
1937,
a
opera
di
Raffaele
Cantoni,
che
s’interessa
al
loro
caso
e
decide
di
recarsi
a
Sannicandro.
Manduzio,
si
dimostra
scettico,
troppe
delusioni
ha
dovuto
sopportare
la
sua
comunità,
troppe
promesse
sono
state
fatte
e
non
mantenute.
Ma
deve
ricredersi,
Cantoni
reca
i
candelabri,
i
“tallet”
per
ogni
componente
della
comunità,
affitta,
a
sue
spese,
un
luogo
di
culto
più
grande
e
consono.
Quando
apprende
che
il
proprietario
s’oppone
alla
possibilità
che
il
locale
sia
adibito
a
luogo
di
culto,
si
reca
dal
Podestà,
dichiarando
che
la
multa
è
illegittima,
dal
momento
che
si
tratta
di
un
gruppo
di “ebrei”
e la
legge
parla
di “protestanti”.
Il
podestà
tranquillizza
Cantoni
e
afferma
che
ha
chiesto
la
revoca
della
multa
e ha
richiesto
il
permesso
per
esercitare
il
culto
nella
casa
in
affitto.
La
Comunità
si
ricrede,
finalmente,
non
solo
promesse,
ma
fatti
concreti.
Quello
che
Manduzio
e i
suoi
seguaci
non
sanno
è
che
Cantoni
è
nel
mirino
dell’Ovra,
perché
secondo
“notizie
fiduciarie
Cantoni
stava
viaggiando
per
tutta
Italia,
con
lo
scopo
di
svolgere
subdola
opera
di
diffamazione
e
disfattismo
contro
il
Regime”.
Di
conseguenza
la
sua
visita
a
Sannicandro,
accende
i
riflettori
sulla
Comunità,
che
da
questo
momento
non
viene
persa
di
vista
dall’Ovra.
Cantoni,
sembra
non
preoccuparsi
del
pericolo
che
lo
persegue.
Insiste
nel
voler
aiutare
il
gruppo
di
Sannicandro
e
interessa
l’amico
Enrico
Emilio
Franco,
docente
di
urologia
a
Bari,
a
cui
racconta
la
storia
del
gruppo
di
Sannicandro
e
chiede
di
seguire
il
gruppo
nel
percorso
di
avvicinamento
alla
religione
ebraica.
Il
docente
è
stupito,
poiché,
nonostante,
sia
rimasto
per
cinque
anni
a
Bari,
non
ha
sentito
mai
parlare
di
questo
gruppo
e si
rammarica
di
non
potersi
recare
personalmente,
causa
il
suo
trasferimento
presso
l’ateneo
di
Pisa,
ma
suggerisce
il
nome
di
altro
correligionario
e
medico
Tullio
Zappler.
Cantoni
gli
scrive.
Gli
espone
l’esistenza
della
Comunità,
che
da
anni,
«vuole,
regolarmente,
divenire
ebrei,
e da
molto
tempo
che
studiano
ed
intendono
avere
la
circoncisione
come
primo
e
inconfondibile
segno
della
nuova
fede.
Ella
ha
già
capito
dove
io
voglio
arrivare.
Ella
dovrebbe
presentarsi
a
compiere
la
grande
Mizwah
(…)
sono
esseri
che
aspettano
da
noi
la
luce
della
verità
e
della
libertà
dello
Spirito».
Mentre
la
comunità
di
Sannicandro
sembra
aver
trovato
un
varco
per
progredire
nella
religione
ebraica;
nubi
funeste
si
stagliano,
anche
in
Italia,
contro
i
figli
delle
dodici
tribù.
Infatti,
nel
luglio
del
1938,
viene
pubblicato
il
Manifesto
degli
scienziati
razzisti,
a
cui
fanno
seguito,
tra
il
settembre
e il
novembre,
dello
stesso
anno,
una
serie
di
leggi
e
decreti,
comunemente,
indicati
con
il
nome
di
leggi
razziali.
Tale
situazione
accentua
il
controllo
della
polizia
sul
piccolo
gruppo.
Il
Podestà,
nonché
capo
della
Polizia,
convoca
Francesco
Cerrone,
poiché
lo
ritiene
capo
del
gruppo,
costui
nega
quest’affermazione
e
nega,
altresì,
che
si
siano
convertiti
dietro
cessione
di
denaro
e
aggiunge
che
il
gruppo
non
può
ricevere
denaro
fino
al
riconoscimento,
che
doveva
avvenire,
solo,
con
la
circoncisione.
Il
Podestà
conclude
il
suo
rapporto
«il
movimento
di
Sannicandro
è
d’importanza
assai
limitata».
Nonostante
tutto,
il
Governo
decide
di
aprire
un’indagine
formale
sul
caso
di
Sannicandro
e,
attraverso
l’ambasciata
italiana
presso
la
Santa
Sede,
inoltra
un
memorandum
“riservato”
al
Cardinale
Eugenio
Pacelli,
Segretario
di
Stato
del
Papa
e
futuro
Papa
Pio
XII.
Il
rapporto
è
costruito
ad
arte,
infatti,
ignora
i
rapporti
di
polizia
e
del
Podestà.
Riferisce
che
i
componenti
del
gruppo
hanno
condanne
penali
e
uno
di
loro,
tal
Vincenzo
Di
Salvia,
è
stato
condannato
a
ventidue
anni
di
prigione
per
diserzione.
Alla
religione
ebraica
erano
stati
“attratti
dalla
mira
di
qualche
lucro”.
I
motivi
di
queste
accuse
infamanti
e
false,
potrebbero
essere
nella
volontà
di
screditare
e
diffamare
gli
Ebrei,
opera
attuata
sin
dall’antichità,
e
giustificare,
in
parte
le
leggi
razziali.
L’ufficio
della
Santa
Sede
inoltra
il
memorandum
al
Vescovo
di
Lucera,
Monsignor
Giuseppe
Di
Girolamo,
che
chiede,
immediate,
notizie
al
parroco
di
Sannicandro,
che
conferma
che,
da
diversi
anni,
ci
sono
«dei
fanatici
delinquenti
i
quali
si
camuffano
nel
nome
di
Sabbatini
e
che
si
dicono
seguaci
della
religione
israelitica»,
il
capo
è
Cerrone,
uomo
di “basso
conio,
zoppo,
delinquente”.
Conclude
rassicurando
il
vescovo
che
il
gruppo
«è
molto
ristretto
ed
esplica
nessuna
attività
salvo
qualche
rara
riunione
in
qualche
casa
privata».
Il
parroco
lamenta
che
nonostante
le
segnalazioni
reiterate
ai
carabinieri,
questi
non
hanno
ravvisato
alcun
reato,
per
questo
s’era
rivolto
alla
polizia
che
aveva
concluso
essere
“quattro
cenciosi
miserabili
e
irresponsabili”
per
cui
non
v’era
niente
di
pericoloso.
Il
Vescovo
ricevuta
la
nota
del
parroco,
invia
una
relazione
al
Segretario
di
Stato
ed
esprime
la
speranza
che
l’attenzione
prestata
dal
Governo
a
questo
gruppo
di
persone
possa
sortire
buoni
effetti,
per
estirpare
la
mala
pianta
delle
sette.
La
Segreteria
di
Stato
ritrasmette
la
relazione
al
Governo
Fascista,
ma
modera
i
toni,
in
questo
modo
i
delinquenti
iniziali
diventano
“certe
persone
che
seguono
un
culto
non
cattolico”.
Il
ministero
degli
Interni,
in
base
alla
circolare
emanata
il
22
agosto
1939,
riguardante
i
pericoli
delle
sette,
decide
di
chiedere
ulteriori
informazioni
al
Prefetto
di
Foggia.
Questi
riprende
gli
incartamenti
di
polizia,
senza
chiedere
ulteriori
indagini,
relaziona,
al
suo
caro
amico
Bocchini,
capo
della
polizia,
sulla
comunità.
Indica
come
capo
Cerrone,
“convertitosi
con
la
speranza
di
poter
trarne
una
qualche
utilità
economica”.
Ironia
della
sorte,
Cerrone,
in
quel
periodo,
è in
conflitto
con
Manduzio
e
vuole
uscire
dal
gruppo,
quindi
si
ritrova
“cornuto
e
mazziato”,
ma
questo
il
Prefetto
non
lo
sa,
e
anche
se
lo
sa,
ha
poca
importanza.
In
aggiunta,
il
Prefetto,
fedele
alle
direttive
di
sua
“Eccellenza
il
Duce”,
decide
di
chiedere
al
Podestà
di
estendere
le
leggi
razziali,
anche
alla
comunità
di
Sannicandro,
con
la
conseguenza
che
Cerrone
viene
sfrattato
di
casa,
perché,
in
quanto
ebreo,
non
può
abitare
in
un
quartiere
ariano
e «anche
alle
scuole
–
ricorda
Elezier
Tritto
–
i
fascisti
ci
davano
fastidio.
Maestri
e
Direttori
erano
fascisti,
a
tutti
i
ragazzi
Ebrei
li
mandavano
via
dalla
scuola,
prendevano
scusa
che
no
ci
facevamo
il
segno
della
Croce
nel
Tempio
della
Pregheira,
io
per
esempio
ho
fatto
solamento
la
terza
elementare,
come
anche
tutti
gli
altri
ragazzi
della
Comunità».
Inoltre,
indossano
la
stella,
che
per
gli
appartenenti
al
gruppo
diviene
un
segno
di
orgoglio
e di
prestigio.
Fortunatamente,
la
notizia
della
presenza
di
ebrei
a
Sannicandro
non
giunge
alle
SS,
altrimenti
la
storia
avrebbe
preso
il
treno
per
i
campi
di
sterminio.
Manduzio,
non
comprende
cosa
sta
accadendo,
per
questo
tempesta
le
varie
comunità
ebraiche
alla
ricerca
di
una
risposta.
Finalmente,
giunge
la
notizia
delle
persecuzioni
e
delle
deportazioni,
della
condanna
al
confino,
alle
isole
Tremiti
del
filantropo
Cantoni.
Queste
notizie
lasciano
interdetti
i
membri
del
gruppo,
che
non
comprendono
quali
siano
le
ragioni
di
tanto
odio
e di
tanto
accanimento
nei
confronti
degli
Ebrei.