N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
Contributo
a un Progetto
Europeo
Appunti per una
cittadinanza come
apertura
interculturale
di Gennaro Tedesco
Vorrei partire, per
affrontare l’argomento in questione, da un punto di
vista forse eterodosso. Sono del parere che l’assimilazionismo
e il multiculturalismo, al di là delle loro carenze
teoretiche e antropologiche, che, tra l’altro, sembrano,
esercitare un notevole fascino sulle nostre elites
dirigenti, sono rivelatori di un approccio eurocentrico
non solo alla cittadinanza, ma anche alla cultura.
Sono proprio gli immigrati
extracomunitari che hanno tutti o quasi tutti i titoli
per dettare l’agenda della nuova cittadinanza non solo
europea ma globale. Essi, infatti, posseggono due
caratteristiche importanti che li contraddistinguono in
particolare rispetto ai nostri allievi e ai nostri
docenti delle Scuole e delle Università che sono in
prima linea, con altre istituzioni ufficiali e
pubbliche, nella loro accoglienza: di solito posseggono
almeno una doppia esperienza della realtà del mondo e
sono motivati o costretti ad aprirsi e a confrontarsi
con l’altro. E inoltre, a parte qualche eccezione, per
scelta o per necessità, si impegnano almeno nel
tentativo di informarsi sul nuovo contesto nel quale
sono coinvolti.
E a me sembra che queste tre caratteristiche le possiamo
considerare strategiche e determinanti, anche se non
esaustive, al fine di riconfigurare una teoria e una
pratica dell’approccio interculturale alla cittadinanza
non solo europea, ma anche e soprattutto globale.
Il cittadino interculturale e globale che verrà non mi
sembra ancora abitare tra di noi nella dimora europea.
Il cittadino europeo che verrà deve andare alla scuola
degli extracomunitari e non viceversa.
In questi ultimi anni, a partire dalle mie esperienze
balinesi e dalle mie letture antropo-teoretiche, mi sono
interessato alla storia di un vasto spazio africano come
quello rappresentato dal Congo e alle “radici” storiche
di due complessi fenomeni migratori, quali quello
albanese e rumeno, all’interno della Comunità europea e,
anche alla luce dei miei soggiorni balcanici e delle mie
esperienze quotidiane e assidue con tali soggetti
storici e sociali, credo di poter mettere in campo
almeno qualche osservazione non solo storica, ma anche
fenomenologia e sociale.
Dalla sintesi delle mie ricerche
storico-interdisciplinari, approfondite per mezzo di
esplorazioni elettroniche e sitografiche oltre che
testuali e bibliografiche, confluite nella produzione di
quattro cd, ho potuto constatare la quasi assoluta
carenza di conoscenza o perdita di conoscenza non solo
di allievi e docenti italiani sulla storia e sulle
problematiche interdisciplinari dei Balcani, ma, anche
attraverso le mie pratiche sociologiche e
antropologiche, il loro probabilmente anche conseguente
rifiuto, derivante dall’ignoranza su detta, di un
contatto alla pari con tali soggetti balcanici.
Al contrario, albanesi e rumeni, nel loro proprio stile
culturale e antropologico, con alle spalle almeno una
doppia esperienza del mondo e con la necessità o la
scelta di aprirsi ad esso, si appropriano di
un’istruzione e di un’educazione prevalentemente
informale, che li rende alla fine dei loro percorsi
esistenziali e civili di vita, enormemente consapevoli
delle opportunità, che, malgrado tutto, anche una
democrazia carente e claudicante come la nostra può
ancora offrire, più consapevoli e maturi dei nostri
adolescenti e giovani, alle prese con un’educazione alla
cittadinanza scolastica avulsa da qualunque contesto
esperienziale di vita e da qualunque pratica di vita in
altri mondi, assurdamente abbarbicata a ristrette
nozioni pragmatistiche e ad astratte e incomprensibili
teorie di civismo nazionale o, peggio ancora, di
nazionalismo. Tutto ciò in un contesto dinamicamente
dialettico del processo di globalizzazione e di
cosmopolitizzazione del diritto e non solo del diritto.
Il discorso sulla cittadinanza come apertura di
carattere interculturale non può prescindere dal suo
stretto legame con l’architettura istituzionale e
politica che la Comunità Europea va costruendo e
ridefinendo lentamente e gradualmente nel suo processo
di evoluzione costante e permanente. Credo che anche
questo percorso di maturazione europeo e non solo
europeo, pur potendo richiamarsi ad illustri e
considerevoli modelli tratti dal suo passato storico,
possa e debba fare i conti soprattutto con quei Paesi
emergenti, come ad esempio l’Indonesia, che pur tra
immani difficoltà ed enormi problemi, con la loro
profonda e antica civiltà, ma soprattutto con le loro
odierne e avvincenti sperimentazioni istituzionali, si
stanno rivelando laboratori politici e sociali di
estrema importanza.
L’Indonesia, pur essendo
un Paese poco e mal conosciuto in Occidente e accusato
di non contrastare adeguatamente il fenomeno del
fondamentalismo islamico al suo interno, ha costruito e
sviluppato un sistema politico basato su quello che
potremmo definire un politeismo istituzionale. In questa
Repubblica sud-est-asiatica lo Stato, costretto a
confrontarsi in un vastissimo territorio con popolazioni
di diverso orientamento non solo religioso, ha
istituzionalizzato una indifferenza politeistica e
laica, molto più laica della stessa Europa e della
stessa America, proponendo una “religione” civile dello
Stato e della cittadinanza a tutte le popolazioni che ne
fanno parte.
Pur tra inevitabili
contraddizioni e contrasti tra la maggioranza islamica e
le altre minoranze indù, buddiste, animiste e cristiane,
tale processo di modernizzazione e di laicizzazione
politeistica procede, guardando avanti,valorizzando e
avvalendosi di un passato metamorfico e dinamico che
potenzia il misticismo islamico, l’estetismo indiano, la
tolleranza buddista e il naturalismo animistico. In un
contesto sociale in cui la donna, anche quando “velata”,
gode di margini di libertà personale, anche se non
codificata, maggiori che in Europa e America.
Ma torniamo in Occidente.
è
evidente, ci sembra, che a questo punto del nostro
discorso se vogliamo intendere realisticamente la
cittadinanza come effettiva apertura di carattere
interculturale all’altro e al mondo essa deve
confrontarsi sempre di più con un diritto che in larga
parte è sempre più cosmopolitico come lo è sempre di più
inevitabilmente il cittadino non solo europeo. E allora
una domanda: cittadinanza nazionale, seppure europea o
cittadinanza cosmopolitica?
Negli ultimi anni le numerosissime prediche ideologiche
su radici, identità e cittadinanza nel contesto della
storia e della tradizione europea, anzi eurocentrica, a
noi sembrano non ispirate da genuini bisogni
storiografici e scientifici, ma da mal celati, profondi
e ancestrali timori non solo ontologici: l’Europa, o
meglio l’Occidente, potrà ancora essere al centro del
mondo, dettare e imporre le sue leggi?
Anche e soprattutto di questi timori e di queste assurde
e pretestuose domande l’elaborazione di una nuova
cittadinanza interculturale dovrà tener conto. Dietro
queste domande si celano l’irrompenza e l’irruenza sulla
scena del mondo dell’Elefante indiano e del Dragone
cinese.
I perdenti di un tempo,
ora vincenti, prorompono nel teatro del mondo per
insidiare e contestare con la loro dirompente e
straripante forza economica il primato occidentale. A
portare alla ribalta dell’Europa e dell’Occidente il
discorso sulla cittadinanza in qualunque modo intesa non
sono i dibattiti scientifici, le disquisizioni
storiografiche e giuridiche o le dispute ideologiche, ma
i fatti nudi e crudi, brutali e spigolosi di uno
sviluppo economico che non dimora più in Europa o in
America, ma nel misterioso e impenetrabile Oriente. E
dopo l’ultima recentissima crisi finanziaria è
giocoforza che dallo “Scontro delle Civiltà” si passi al
“Confronto delle Civiltà”.
Se l’Europa e l’America
intendono sopravvivere nella disputa mondiale, debbono
necessariamente fare i conti con una rielaborazione
della cittadinanza in senso interculturale che tenga
presenti due direttrici del processo di globalizzazione
ancora in corso: la forza rampante e travolgente delle
economie asiatiche e il dialogo interculturale, due
fattori indissolubilmente legati tra di loro. Anche
perché il processo di impoverimento materiale e
culturale dell’Europa può essere contrastato e superato
solo da una educazione alla cittadinanza globale e
interculturale che approfondisca, recepisca e diffonda
la comprensione e la pratica dell’interconnessione
planetaria.
Riferimenti
bibliografici:
C.Geertz, Mondo Globale, Mondi Locali, Bologna, 2007
C.Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, 1998
C.Geertz, Antropologia interpretativa, Bologna, 2006
U.Beck, La società cosmopolita, Bologna, 2003
E.Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, 2007
G.Bocchi, M.Ceruti, Educazione e Globalizzazione,
Milano, 2006
E.Morin, B.Kern, Terra-Patria, Milano, 1994
J.Bruner, La Cultura dell’Educazione, Milano, 2002 |