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N. 82 - Ottobre 2014 (CXIII)

UN PROGETTO AMBIZIOSO
CONTRADDIZIONI E FINE DEL CAPITALISMO

di Filippo Petrocelli

 

L’ultima fatica editoriale del prof. David Harvey si chiama Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo pubblicato da Feltrinelli sul finire del settembre 2014.

 

Esperto di geografia, sociologia e politologia, Harvey è di origine inglese ma oggi insegna negli USA, presso il Graduate Center of the City University of New York.

 

Egli però ha consolidato la sua carriera accademica fra Oxford, Bristol e Baltimora, mentre ha fondato a Worchster negli anni Settanta la rivista Antipode, segnando la nascita di una “radical geography community”.

 

Il suo merito è quindi quello di aver reso la geografia più “umana”, di essere andato oltre i laghi e i fiumi, superando la semplice “scrittura della terra” per proporre al contrario, una comprensione globale della natura, del mondo e dello spazio.

 

Harvey ha innovato la geografia attraverso un’ibridazione con le scienze sociali al punto da renderla una materia indispensabile per leggere e interpretare il mondo contemporaneo.

 

Un uomo insomma che ha condotto una battaglia culturale in nome della “materia amata”, per superare le gabbie mentali dell’Accademia che l’aveva relegata a comparsa nel mondo della cultura, un semplice esercizio di stile per eruditi.

 

Dopo il celebre La crisi della modernità (1978), considerato da The Indipendent una delle cinquanta opere più influenti del Dopoguerra, e i più recenti Città Ribelli (2013) e Breve storia del neoliberismo (2007), usciti in Italia per il Saggiatore, l’ultima sfida del professore britannico si presenta ambiziosa già nella prefazione.

 

La prima questione da evidenziare è che in questo libro non si parla delle contraddizioni del capitalismo, ma piuttosto di quelle del capitale.

 

È bene chiarire questo punto, non solo perché Harvey dedica a questo problema tutta la lunga introduzione – usando una splendida metafora in cui il capitalismo è paragonato a una grande nave da crociera e lui è interessato solo all’ammasso di ferraglia del motore d’acciaio, al “cuore” della nave – ma anche perché di analisi sulle incoerenze del sistema capitalista sono piene le librerie di tutto il mondo, intasate da rapporti annuali dei più svariati think tank, sospesi fra analisi dei flussi finanziari, studi sulla produzione e tassi di disoccupazione.

 

La prima parte dello scritto è dedicata alle contraddizioni alle fondamenta del capitale, ovvero quelle senza le quali il capitale stesso non potrebbe sopravvivere.

 

Sono sette, tutte strettamente intersecate fra loro e senza di esse sarebbe impossibile l’accumulazione del capitale: si parla della contraddizione fra valore di scambio e valore d’uso, quella fra valore sociale del lavoro e la sua rappresentazione mediante il denaro, ma anche delle contraddizioni fra proprietà privata e Stato capitalistico mentre ampie pagine sono dedicate al conflitto latente fra appropriazione privata e ricchezza comune, concentrando l’attenzione sulla natura “predatoria” del capitalismo odierno.

 

Ma naturalmente non manca neanche la più grande contraddizione marxista ossia quella fra capitale e lavoro, così come quella fra capitale inteso come “processo” e capitale come “cosa”.

Infine si parla abbondantemente della contraddizione fra produzione e realizzazione.

 

Le parole chiave sono quelle marxiste, così come il metodo d’analisi ma gli esiti non sono sempre ortodossi. In altre parole Harvey si limita a usare il metodo dialettico proprio di Marx, senza giungere sempre e comunque alle medesime soluzioni.

 

La seconda parte del libro invece è centrata sulle cosiddette “contraddizioni in movimento”, ovvero quelle generate e radicate nel presente e la cui variabile è difficile da calcolare.

 

Qui si parla di tecnologia e lavoro, di monopolio e concorrenza, di divisione del lavoro, di disparità di reddito, di sviluppi geografici disomogenei, di riproduzione sociale, ma anche di libertà e dominio, passando per disuguaglianze, potere delle multinazionali e crisi economica.

 

Quasi come una postilla invece le ultime tre contraddizioni: crescita composta senza fine, relazione del capitale con la natura e alienazione universale. Sono descritte in un capitolo a parte e vengono definite “pericolose”, se non “letali” per il presenze.

 

Soprattutto queste pagine, forse meno tecniche e più divulgative, rappresentano il quid in più del libro: la scrittura sempre comprensibile e molto “anglosassone” di Harvey, diventa più seducente e meno accademica, e arriva a parlare al quotidiano.

 

Ma Harvey non si accontenta di un’analisi, si spinge nelle conclusioni persino a promuovere una sorta di umanesimo rivoluzionario, di fatto marxista anche se a suo modo innovativo, capace di combattere questa nuova alienazione universale, che il geografo individua come uno dei principali mali del contemporaneo.

 

Nuove idee per plasmare una nuova prassi politica, strumento indispensabile per cercare di proporre realmente una nuova società alternativa al capitalismo. Sembra essere questo insomma l’ambizioso progetto di David Harvey.



 

 

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