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N. 81 - Settembre 2014 (CXII)

IL GIUDICE E LO SCRITTORE UNA SERA A CENA
GLI ARTICOLI DI CONSOLO PER L’ORA

di Gaetano Cellura

 

S’erano conosciuti otto anni prima a Trapani, durante il processo – tra i più oscuri e labirintici – a Michele Vinci, il “mostro di Marsala”.

 

Giangiacomo Ciaccio Montalto ne era il pubblico ministero; e Vincenzo Consolo lo seguiva per conto dell’Ora. S’intesero, si capirono subito il magistrato e il cronista che sapeva dare – da scrittore quale già era, da scrittore impegnato negli ultimi ritocchi a Il sorriso dell’ignoto marinaio, il suo capolavoro – carattere letterario alle proprie corrispondenze.

 

Queste e altri articoli, scritti per il giornale palermitano – prima, durante e dopo quell’estate del’75, l’estate del processo Vinci appunto – sono stati raccolti, a cura di Salvatore Grassia, e pubblicati da Sellerio nel 2013 (Esercizi di cronaca, pagine 243, euro 13).

 

Ciaccio Montalto aveva occhi acuti dietro le lenti, la testa nera capelluta, l’espressione onesta di siciliano giusto che sapeva di combattere contro le selvagge forze che da sempre devastano la Sicilia.

 

La sua parola era tagliente e il suo sorriso ironico e amaro. Così Consolo lo ricorda sul Messaggero quando apprende dalla radio che il magistrato è stato ucciso dalla mafia.

 

La sua requisitoria al processo Vinci – tre bambine uccise, l’imputato che si autoaccusa ma che lascia ampio spazio al dubbio d’essere davvero lui il colpevole e d’aver agito senza complici o mandanti, una ridda di contraddizioni e ritrattazioni – era stata un capolavoro di sapienza giuridica e morale.

 

Era giovane Ciaccio Montalto, sulla trentina. La sua famiglia aveva radici nella tradizione democratica di Trapani, bella “città araba”. E il nome rousseauiano, Giangiacomo, lo doveva al nonno, fondatore a Trapani dei Fasci socialisti.

 

I fatti, il triplice omicidio oggetto del dibattimento, che si svolgeva nel refettorio del collegio dei Gesuiti, un “immenso stanzone adibito ad aula giudiziaria”, risalivano a quattro anni prima. Ed era stato il procuratore Cesare Terranova, anche lui anni dopo vittima della mafia, a far arrestare il Vinci, il cui alibi non reggeva, non veniva cioè confermato dalla moglie.

 

Ciaccio Montalto mise in evidenza i tanti “vuoti” del processo e chiese alla giuria di valutare non solo le prove a carico del “mostro di Marsala”, ma anche quanto emerso a suo favore; e di considerare l’ormai certa condanna non come punto di arrivo, ma come inizio di una ulteriore indagine, necessaria per diradare le tenebre che avvolgevano quella vicenda giudiziaria.

 

Durante una delle pause del processo invitò Consolo a cena, a casa sua a Valderice. E fu l’occasione per lo scrittore di conoscere anche la moglie del magistrato, “una giovane e bella insegnante di lettere” con negli occhi l’ansia per il difficile lavoro del marito.

 

Parlarono di tante cose: di letteratura e della storia di Trapani; degli studi del magistrato a Roma e del ritorno nella terra dei suoi avi per svolgervi il lavoro che aveva scelto. Consolo ricorderà questo incontro ne L’olivo e l’olivastro, in uno dei suoi nostoi, viaggi di ritorno nell’Isola. Quando il discorso cadde brevemente sul processo, Ciaccio Montalto gli disse: “Io ho ricevuto telefonate e lettere anonime di minacce. Lei ora non scriva niente di questo. Lo scriverà solo se dovesse succedermi qualcosa”.

 

Quel “qualcosa” successe otto anni dopo, il 25 gennaio del 1983, ma era difficile da collegare al processo Vinci. Perché il magistrato s’era occupato di tante altre cose, di mafia e di droga.

 

Da quella sera non si videro più. Consolo tornò a Milano, dove viveva.

 

Nel 1979 uscì Il sorriso dell’ignoto marinaio. Ma pensò sempre all’amico dal nome rousseauiano nel “campo minato di Trapani”. Lo pensava come a un soldato che combatte per noi contro la mafia. Lo pensava come un magistrato a cui premeva più inseguire la verità che trovare il colpevole.

 

Condannato all’ergastolo, Michele Vinci, il “mostro di Marsala”, avrà commutata la pena in appello a ventotto anni.

 

Ci sono altre storie in questi Esercizi di cronaca che si fanno letteratura.

 

Storie brevi – e tragiche alcune – di siciliani a Milano, padri di famiglia venuti dalla provincia di Catania o da Calascibetta.

 

Uno fa il benzinaio in piazzale Lotto e viene ucciso, per sport, con un colpo di pistola al cuore, da un “fascistello” della borghesia solo per dar prova del proprio coraggio; l’altro fa il camionista, e si suicida buttandosi dalla finestra con i suoi due piccoli figli, vinto dall’angoscia domenicale di Quarto Oggiaro, uno dei quartieri dormitorio, dei quartieri lager di Milano dove vivono molti meridionali. Il suicidio dell’onorevole Verga quando cade su di lui l’accusa di bancarotta fraudolenta.

 

Ma ci sono anche bei ricordi all’ombra del Duomo. Le passeggiate con Sciascia: dal suo “solito albergo vicino alla stazione” alla libreria Einaudi, in Galleria. La bancarella dei libri di fronte a Palazzo Marino. (Era di Manusè, l’arabo di Caropepe, vecchio nome di Valguarnera. E ci trovavi di tutto: prime edizioni di libri introvabili come La Vita di Vittorio Alfieri. Libri delizia per i letterati. Consolo scrive che Manusè era arabo nel nome, nell’aspetto e nell’intelligenza). La presentazione alla libreria Einaudi di via Manzoni del libro di Michele Pantaleone, Antimafia:occasione mancata.

 

L’ultimo appunto preso da Esercizi di cronaca riguarda Salemi. Il sequestro (17 luglio del 1975) di Luigi Corleo, re delle esattorie. È il paese dove Garibaldi “arruolò” le prime bande di picciotti che poi si sarebbero battuti a Calatafimi.

 

Un paese che vive d’agricoltura e d’impiego pubblico; e di tanta, tanta emigrazione, con i segni del terremoto del Belice marcati, ben visibili. La ricchezza dei Corleo e dei Salvo è un caso isolato nella generale povertà.

 

Il sequestro dell’esattore, imparentatosi con i Salvo e diventato quindi ancora più ricco e potente, offre a Consolo l’occasione di visitare Salemi e di scrivere, finito il processo al “mostro di Marsala”, un’altra corrispondenza per l’Ora. Di visitare Salemi e di vedere il vecchio magazzino, il fondaco che era l’originaria esattoria di Corleo con l’insegna arrugginita: “miracolo della legge regionale sulle esattorie, miracoli degli aggi”.

 

La storia dei cugini Salvo è nota a tutti. Di Luigi Corleo, dopo il sequestro, non si è più saputo nulla. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.



 

 

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