contemporanea
napoleone nello spazio
alla ricerca di nuovi sistemi di
approvvigionamento alimentarE
di Sara Bordignon & Cristiano Fanelli
“Un esercito marcia sul proprio stomaco”
Napoleone Bonaparte
Il cibo unisce i popoli e oltrepassa le
epoche, ma cosa hanno in comune un
generale francese nato nel Settecento e
l’agenzia spaziale americana? Nulla, se
si esclude il timido interesse del
generale per i primi palloni
aerostatici, eppure la Nasa e Napoleone
si incontrano a tavola per portare a
termine la loro personale missione.
All’inizio
del 2021, l’Agenzia spaziale canadese e
la Nasa hanno lanciato una sfida alla
scienza alimentare terrestre: 500.000
dollari per chi penserà a come
conservare il cibo per lunghi viaggi
spaziali,
«to
Mars and beyond».
Nel 1810, dopo che Napoleone si era
incoronato imperatore dei francesi,
Nicolas Appert (1750-1841), un
pasticcere della Sciampagna, vinceva un
premio da 12.000 franchi, 200 volte la
paga annuale di un operaio dell’epoca;
il suo merito? Aver scoperto “il
miglior processo per un’alimentazione
sana durante i lunghi viaggi”. La
sua scoperta avrebbe cambiato la nostra
storia: nasceva il cibo in scatola; un
mercato che vale ancora oggi 23 milioni
di dollari, con 50 chili annui di
scatolette consumate per persona.
La conservazione degli alimenti nacque
con l’uomo, forse con l’osservazione di
carcasse in stato di congelamento o di
frutta essiccata sotto un sole cocente.
Ogni civiltà sviluppò una propria
strategia: l’affumicatura, la salatura,
l’impiego di zucchero, grassi, aceto o
alcool. Ma furono il pensiero
scientifico illuminista e la Rivoluzione
francese a segnare la rottura definitiva
con il passato.
Sessant’anni prima della “scoperta dei
germi” da parte di Pasteur, Appert mise
a punto “l’appertizzazione”, un
procedimento che conosciamo ancora oggi:
bottiglie di Champagne svuotate e
riempite di confetture, piselli o
selvaggina venivano bollite a bagnomaria
e sigillate ermeticamente.
Il successo fu immediato, «monsieur
Appert ha scoperto come fermare le
stagioni», il cibo non andava in
putrefazione e le conserve trovarono la
loro fortuna a bordo di vascelli
mercantili e tra le fila della Grande
Armée. Per la prima volta gli
alimenti conservati non perdevano le
loro proprietà e conservavano anche il
loro gusto.
Come recita l’annuncio della Nasa, «gli
astronauti vogliono che il loro cibo sia
anche buono!» L’attenzione per
l’aspetto psicologico dell’alimentazione
è un approccio innovativo, infatti
all’inizio dei viaggi spaziali il cibo
non era una priorità.
Un curioso avvocato si rivolgeva così ad
Alan Shepard, il primo americano nello
spazio, all’alba del lancio della
capsula Mercury, il 5 maggio 1961: «Niente
merda?». «Esattamente» era la
risposta.
Il cibo era a basso residuo, la
defecazione nello spazio era
difficoltosa e come se non bastasse la
pietanza era anche disgustosa, carne e
verdure erano ridotte a una poltiglia
vischiosa ed erano racchiuse in tubetti
di alluminio, il format era quello del
rancio militare.
.
Uno dei primi esempi di cibo spaziale,
usato da John Glenn nel 1962
Durante la missione Mercury-Atlas 6
(1962) la preoccupazione primaria
dell’agenzia era quella di accertarsi
che John Glenn riuscisse a digerire
anche in condizioni di microgravità. Con
le missioni Gemini e Apollo
(1965-1975) arrivò il cibo solido, le
posate e la paura per le briciole
riversate in cabina dal sandwich del
pilota John Young.
Oggi il cibo spaziale non è solo una
necessità, ma anche un obiettivo, si
lavora a un pasto leggero, nutriente,
gustoso e veloce da preparare. Queste
erano le stesse caratteristiche che
doveva possedere la refezione dei
soldati napoleonici, abituati ad
affrontare lunghe marce e rapidi
spostamenti. Durante la campagna
d’Egitto (1798-1801), i medici avevano
potuto vedere con i loro occhi la
dissenteria dilagante tra i soldati;
essa era legata al consumo di angurie
raccolte dalle sponde del Nilo. Per
sopperire alla mancanza di viveri si
faceva ricorso alla carne di cammello o
a saccheggi e requisizioni.
Con l’avvento della carne in scatola le
condizioni igieniche dei cibi
migliorarono, ma i barattoli in vetro
non poterono sfamare da soli un esercito
che, al suo apogeo, contava 612.000
uomini in marcia. I soldati francesi
avevano in dotazione della farina e
lungo il tragitto percorso dall’armata
venivano allestiti dei forni di
campagna, infine vi era una anche una
figura preposta alla produzione del
pane, il munitionnaire général.
Il pane era un alimento basilare, una
vera e propria “munizione da bocca”.
La stessa ricerca di autonomia
alimentare si ritrova anche nello
spazio: due micro-serre, una di insalata
e l’altra di Arabidopsis thaliana,
una pianta infestante europea, sono
state coltivate dall’astronauta Paolo
Nespoli durante la sua permanenza sull’ISS.
Su 14 semi piantati di A. thaliana
ne sono germogliati 2, l’insalata,
invece, non ha dato segni di crescita.
Nel 1815 la fabbrica costruita da
Nicolas Appert venne distrutta, l’uomo
morì in povertà all’età di 91 anni e fu
gettato in una fossa comune. Nel 1812 il
britannico Peter Durand iniziò a
produrre conserve in latta anziché in
vetro e l’Inghilterra divenne uno dei
centri mondiali per la produzione di
cibo in scatola. Intorno al 1850 le
lattine non servivano solo a proteggere
un marinaio dallo scorbuto, ma
arrivarono anche sulle tavole dei più
ricchi, da ogni parte del mondo: le
aringhe del mar Baltico, le ostriche
della costa atlantica, i fagioli della
Campbell’s e i pelati del torinese
Francesco Cirio.
Una “globalizzazione culinaria” che
caratterizza anche l’esperienza della
ISS, dove il branding si mischia
all’antropologia alimentare. Va a
Samantha Cristoforetti il primato del
caffè espresso in orbita, prodotto da
Argotec per Lavazza, con la macchina
ISSpresso. Il cinese Yang Liewi ha
potuto mangiare del pollo kung pao e
bere tè verde, la JAXA ha prodotto ramen
e sushi spaziali. Per i Russi caviale e
goulash e un kimchi per l’astronauta
sud-coreana, per la cui produzione il
paese ha speso milioni di dollari.
L’attenzione dell’agenzia spaziale per i
vantaggi che tali scoperte potrebbero
avere anche sulla Terra sottolinea
l’universalità della scoperta
scientifica. Oggi la medaglia Nicolas
Appert viene assegnata ogni anno per le
più importanti innovazioni dall’Institute
of Food Technologies di Chicago. Un
pasticcere nato nel 1750 permise ad
altri uomini di cenare ai Poli terrestri
mezzo secolo più tardi. Egli non è altro
che il giovane ricercatore del 2021 che
permetterà a futuri esploratori di
cenare su un pianeta alieno.
Yuri Gagarin non dovette pensare a come
nutrirsi durante i primi 108 minuti in
orbita della storia umana. Eppure,
pregustando la cena che lo attendeva al
ritorno, il cosmonauta dedicò al cibo le
sue ultime parole prima del lancio:
«La cosa più importante è che ci sia la
salsiccia, al chiaro di Luna».
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