N. 87 - Marzo 2015
(CXVIII)
aLLA CONQUISTA DI TIKRIT
MILIZIE SCIITE, ESERCITO REGOLARE E STATO ISLAMICO
di Filippo Petrocelli
Le truppe regolari irachene affiancate
dalle
milizie
sciite
sono
entrate
a
Tikrit,
città
natale
di
Saddam
Hussein,
importante
crocevia
sulla
strada
di
Mosul,
roccaforte
dello
Stato
islamico
in
Iraq.
Ma dopo i primi travolgenti successi
dell’operazione
cominciata
ai
primi
di
Marzo
del
2015,
l’offensiva
si è
arrestata
nel
giro
di
due
settimane,
per
l’eccessivo
coinvolgimento
di
civili
e la
strenua
resistenza
di
IS,
almeno
secondo
la
versione
ufficiale.
La città dove nacque il raìs
è
controllata
per
tre
quarti
dalle
forze
governative
appoggiate
dalle
milizie
sciite,
ma
lo
Stato
islamico
si è
trincerato
nella
parte
antica
della
città
e
sta
offrendo
una
resistenza
spregiudicata
fatta
di
cecchini,
IED
(ordigni
esplosivi
improvvisati),
mine
e
armi
non
convenzionali.
Gli uomini del califfo avevano occupato
Tikrit
nell’estate
del
2014,
facendone
una
delle
principali
città
del
loro
territorio,
ma
anche
grazie
ai
raid
compiuti
da
parte
della
coalizione
anglo-americana
–
soprattutto
al
confine
fra
Iraq
e
Siria
– la
situazione
si è
sbloccata
in
favore
delle
autorità
irachene.
L’IS sembra quindi prossima a perdere,
per
la
prima
volta,
un’importante
città:
intaccando
fra
le
altre
cose,
quell’aura
di
invincibilità
già
compromessa
dopo
la
liberazione
di
Kobane,
nel
cantone
del
Rojava
in
territorio
curdo-siriano.
Eppure la liberazione di Tikrit,
più
che
quella
di
Kobane
–
svolta
quasi
esclusivamente
da
milizie
curde
vicine
al
PKK
e al
suo
partito
fratello
in
Siria
PYD
nonché
dai
Peshmerga
–
assomiglia
a
quelle
delle
molte
città
affrancate
in
territorio
siriano
nell’estate
del
2013.
A
Qusayr
come
a
Quneitra,
Assad
ha
beneficiato
dell’aiuto
dell’Iran
e
degli
sciiti
dell’area
(in
particolare
Hezbollah),
in
una
sorta
di
“internazionale
della
Shia”,
contro
lo
Stato
islamico.
La formula è infatti sempre la stessa:
l’esercito
regolare
affiancato
da
reparti
leggeri
di
miliziani
e
guerriglieri,
altamente
addestrati
e
motivati,
che
svolgono
il
grosso
del
lavoro
contro
gli
uomini
del
califfato
di
IS.
Nell’offensiva su Tikrit le forze
in
campo
sono
di
oltre
ventimila
uomini:
divisi
fra
circa
20.000
miliziani
provenienti
da
Iraq,
Iran,
Libano
e
Yemen
e
circa
4.000
militari
dell’esercito
iracheno
accompagnati
da
un
numero
indefinito
di
consiglieri
militari
iraniani.
In questo caso a fare la parte del
leone
sono
le
milizie
sciite
foraggiate
e
sostenute
economicamente
dall’Iran:
le
più
importanti
sono
le
Brigate
Badr
guidate
da
Hadi
Al-Ameri,
Kata'ib
Hezbollah,
Asaib
Ash
al
Haq
il
cui
leader
è
Qais
al-Khazali
(famoso
per
essere
uno
dei
comandanti
più
sanguinari),
e
Liwa
al-Youm
al-Mawud,
meglio
conosciuta
come
“Brigate
del
Giorno
del
giudizio”
di
Moqtada
al-Sadr,
eredi
di
quell’Esercito
del
Mahdi
molto
attivo
durante
l’occupazione
americana
ma
anche
negli
scontri
settari
che
hanno
insanguinato
il
paese
nell’ultimo
decennio.
Oltre al proliferare di milizie nel
paese,
è
possibile
scorgere
il
coinvolgimento
di
Teheran
a
partire
dalla
presenza
di
Qassem
Suleimani,
importante
generale
dei
Pasdaran
e
comandante
della
Brigata
al-Quds,
ovvero
quella
sezione
delle
Guardiani
della
Rivoluzione,
dedicata
alle
operazioni
speciali
all’estero.
Ma quella che sembra in atto è una
mobilitazione
popolare
sostenuta
fortemente
dal
clero
sciita:
a
cominciare
da
Al-Sistani,
leader
religioso
iracheno
che
fin
da
agosto
2014
ha
designato
IS
come
il
principale
nemico;
così
come
lo
stesso
Khamenei,
guida
suprema
della
Repubblica
Islamica
dell’Iran,
che
è in
prima
linea
contro
lo
Stato
islamico
di
Al-Bagdadi
e
quello
che
lui
stesso
chiama
“takfirismo”
(considerata
un’eresia
sanguinaria).
Insomma quello che si svolge nell’antica
Mesopotamia
si
profila
sempre
più
come
un
massacro:
eppure
il
ruolo
dell’Iran
diventa
sempre
più
egemone,
e la
Repubblica
islamica
si
trasforma
in
un
insolito
alleato
per
le
cancellerie
europee
e
occidentali,
almeno
in
termini
di
realpolitik.
Ma per Teheran, oltre che una partita
sul
campo
delle
relazioni
internazionali,
questa
guerra
contro
l’IS
è
una
vera
lotta
per
la
sopravvivenza
della
Shia
nell’area,
combattuta
con
ogni
mezzo.