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N. 97 - Gennaio 2016 (CXXVIII)

UNA TERRA AMBITA E CONTESA

GRECI E CARTAGINESI ALLA CONQUISTA DELLA SICILIA - PARTE III

di Paola Scollo

 

In seguito all’allontanamento dei Cartaginesi, Dionisio I fortificò Siracusa con una cinta muraria di 27 km, quindi rese l’isola di Ortigia una roccaforte inespugnabile e accessibile esclusivamente alla sua guardia del corpo. Nel 403 a.C. sottomise Nasso, Catania e Leontini.

 

Nel 398 a.C. si spinse sino alla cittadina elima di Erice da cui ricevette sostegno militare. Di lì passo poi a Mozia. Soltanto gli abitanti di Selinunte, Palermo, Segesta, Entella ed Ancira continuarono a sostenere i Cartaginesi. Le rimanenti città dei Sicani scelsero piuttosto di appoggiare i Greci.

 

Una volta ritiratisi i Cartaginesi, Mozia venne espugnata dopo un brutale assedio. I sopravvissuti furono venduti, mentre gli abitanti di origine greca furono crocifissi. Dionisio I fece ritorno a Siracusa, dopo aver affidato la città a una guarnigione di Siculi e ad una flotta capeggiata dal fratello Leptine.

 

Successivamente Imilcone, alla guida di un esercito di Libi e di Iberi, riuscì a sbarcare a Palermo. Dopo aver conquistato Erice e Mozia, si volse verso Messina, quindi in direzione di Siracusa che, per la seconda volta, venne cinta d’assedio. Nel 396 a.C., sfruttando la diffusione di un’epidemia di peste, Dionisio attaccò i Cartaginesi.

 

Imilcone si ritirò in Africa dove si lasciò morire di fame per il disonore. I Cartaginesi dovettero pertanto rinunciare alle loro mire espansionistiche sulle città della costa orientale della Sicilia, limitando il loro controllo alle città fenicie, elime e sicane dell’area occidentale. Eppure, a distanza di pochi anni, nel 382 a.C. ritornarono sull’isola, trovando valido sostegno negli Italioti.

 

Nel 375 a.C. le truppe cartaginesi furono sconfitte a Cabala, a ovest dell’isola. Dopo una breve tregua, i Cartaginesi inflissero una pesante sconfitta ai Siracusani nei pressi del monte Kronion, vicino l’odierna Sciacca. Venne infine stipulato un trattato di pace in base al quale i Cartaginesi avrebbero detenuto il controllo delle città di Selinunte, Eraclea Minoa e Terme Selinuntine, insieme al territorio di Akragas a ovest del fiume Halykos o Alico. Di contro, Dionisio avrebbe dovuto pagare le spese di guerra pari a 1.000 talenti. Questa linea di confine sarebbe rimasta immutata per circa un secolo.

 

Nel 367 a.C. Dionisio tentò per l’ennesima volta di allontanare i Cartaginesi dall’isola attraverso l’assedio di Lilibeo, ma una flotta di 200 navi cartaginesi sconfisse le triremi siracusane vicino a Drepana, nel porto di Erice. Alla morte di Dionisio I, il potere fu assunto da Dionisio II che preferì seguire un percorso più pacifico, impegnandosi piuttosto ad assicurare il suo potere minacciato dalla fazione democratica guidata da Dione e da Iceta di Leontini.

 

Nel 345 a.C. gli esponenti dell’aristocrazia siracusana chiesero alla madrepatria Corinto di essere sollevati dalla tirannide di Dionisio II. La città greca inviò una flotta di nove navi e 1.000 mercenari guidati dal generale Timoleonte. L’esercito di Iceta fu sconfitto ad Adranon e Dionisio II, dopo essersi consegnato a Timoleonte, fu mandato in esilio a Corinto.

 

Nel 315 a.C. il nuovo tiranno di Siracusa Agatocle, sfruttando l’appoggio di Cartagine, riuscì a imporsi sulle città di Messina, Milazzo, Centuripe e Taormina. Nel 311 a.C., calpestando gli accordi con i Cartaginesi, conquistò alcune posizioni puniche. L’anno seguente Amilcare, nipote di Annone il Navigatore, attraversò il Canale di Sicilia alla guida di un esercito di 14.000 uomini. Dopo la conquista di Gela, Agatocle mosse battaglia nei pressi del fiume Imera Meridionale, ma venne sconfitto.

 

Stremate dalla tirannide di Agatocle, numerose città greche strinsero alleanze con i Cartaginesi, mentre la città di Siracusa rimaneva assediata dalle truppe di Amilcare. Agatocle decise di attaccare Cartagine in suolo africano. Dopo sei giorni di navigazione, cinse d’assedio la città costringendo i Cartaginesi a richiamare in patria gli uomini impegnati nell’assedio di Siracusa. Agatocle fu obbligato a tornare in patria per l’improvviso precipitare degli eventi in sua assenza. Rientrato in Sicilia, mise a ferro e fuoco la città di Segesta, riuscendo ad estromettere i Cartaginesi dalla maggior parte dell’isola.

 

Ultimo atto dello scontro fra Greci e Cartaginesi fu la spedizione di Pirro, genero di Agatocle, che reputava fondamentale il dominio della Sicilia per gli sviluppi della guerra contro Roma. Nel 278 a.C. il sovrano d’Epiro sbarcò sull’isola con un esercito di 10.000 soldati, divenuti poi 37.000 grazie agli aiuti dei Sicelioti. Dopo aver distrutto alcune posizioni dei Mamertini, conquistò Erice, Palermo, Eraclea Minoa, Azone, Segesta, Iato e Selinunte. Ma il fallimento dell’espugnazione di Lilibeo lo indusse ad abbandonare definitivamente l’isola.

 

I Mamertini, che detenevano il controllo della città di Messina, sentendosi minacciati da Siracusa, invocarono l’aiuto di Roma che approfittò di tale richiesta per tentare di estendere il proprio dominio sullo stretto. La dichiarazione di guerra a Cartagine chiuse il capitolo delle cosiddette greco-puniche, ma a un tempo inaugurò quello delle guerre puniche. A partire da quel momento le città di Cartagine e Siracusa avrebbero dovuto fronteggiare un ulteriore, nuovo e potente nemico, Roma.

 

A conclusione di questo percorso, occorre tuttavia ricordare che la coesistenza in suolo siculo tra Cartaginesi e Greci non fu soltanto di natura conflittuale. Lo scontro, come è emerso chiaramente, si rese inevitabile nel momento in cui gli interessi economici ebbero un ruolo preminente. Eppure, attraverso l’assidua frequentazione e gli scambi commerciali questi due popoli così profondamente differenti per indole, cultura e modus vivendi si sono influenzanti a vicenda.

 

In particolare, per i Cartaginesi è stato osservato un processo di “grecizzazione” dei costumi e della cultura che ebbe culmine intorno al VI secolo a.C. Basti pensare, ad esempio, all’utilizzo della pianta ippodamea per la progettazione della città di Solunto. Va da sé che si trattò di un assorbimento graduale ed epidermico. Pur dialogando tra loro, le due culture non giunsero mai a una perfetta sintesi. Ma, a ben vedere, proprio in questa sottile polifonia e pluralità di anime e di culture risiede l’irresistibile fascino di una terra di rara e sublime bellezza.



 

 

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