N. 140 - Agosto 2019
(CLXXI)
PARIGI 1919
IL
CONGRESSO
DELLA
PACE
–
PARTE
II
di
Raffaele
Pisani
A
congresso
concluso
furono
espresse
le
prime
valutazioni
globali
su
questo
grande
evento
della
storia.
Era
iniziato
con
le
seguenti
parole
del
primo
francese,
George
Clemenceau,
presidente
della
conferenza:
«Non
si
tratta
di
pace
territoriale
o di
pace
continentale,
ma
di
pace
dei
popoli.
Questo
programma
basta
a se
stesso.
Tregua
alle
parole,
bisogna
agire
presto
e
bene».
Quello
che
ne è
seguito
non
ha
rispettato
l’iniziale
dichiarazione
d’intenti;
si è
visto
ben
presto
prevalere
un
atteggiamento
di
resa
dei
conti,
di
richieste
risarcitorie
per
danni
subiti
e di
sanzioni
punitive
per
chi
era
visto
come
colpevole
di
aver
provocato
l’immane
conflitto.
Per
l’Europa,
con
una
lunga
storia
alle
spalle,
questo
grande
consesso
internazionale
ne
richiama
altri
avvenuti
in
un
passato
più
lontano;
si
fa
riferimento
in
particolare
a
quelli
di Münster
e di
Osnabrück
(Westfalia),
che
nel
1648
conclusero
la
lunga
e
sanguinosa
Guerra
dei
Trent’anni
e
diedero
origine
ai
moderni
Stati
europei
indipendenti
e
sovrani,
in
rapporto
fra
di
loro
tramite
una
complessa
rete
diplomatica.
Il
sistema
doveva
impedire
ingerenze
di
una
potenza
nei
confronti
di
un’altra,
doveva
in
questo
senso
garantire
la
pace
nell’equilibrio
europeo.
Un
altro
grande
congresso
che
caratterizzò
un
passaggio
epocale
e
ristabilì
l’ordine
nel
nostro
continente
fu
quello
di
Vienna,
1814-15.
Anche
questo
avvenuto
dopo
grandi
sconvolgimenti,
portati
in
questo
caso
dalla
rivoluzione
francese
e
dal
successivo
periodo
napoleonico.
In
base
al
principio
di
legittimità
si
volevano
ripristinare
i
rispettivi
sovrani
che
Napoleone
aveva
spodestato.
Questo
primo
principio
a
volte
configgeva
con
quello
dell’equilibrio,
che
doveva
servire
a
evitare
nel
futuro
per
l’Europa
l’egemonia
di
uno
stato,
un
equilibrio
finalizzato
soprattutto
al
contenimento
della
Francia.
La
creazione
di
potenze
sufficientemente
estese
intorno
a
essa
era
finalizzata
a
prevenire
eventuali
mire
espansionistiche.
Il
braccio
armato
a
difesa
dell’ordine
costituito
fu
un’alleanza,
in
un
primo
tempo
chiamata
Santa,
con
Russia,
Austria
e
Prussia,
poi,
tolto
il
riferimento
religioso,
si
chiamerà
Quadruplice
con
l’ingresso
della
Gran
Bretagna,
in
seguito
si
aggiungeranno
altri
stati
tra
cui
la
stessa
Francia
con
la
restaurata
dinastia
borbonica,
ormai
ben
accetta
dalle
altre
potenze
europee.
Questi
due
congressi
avevano
comunque
caratteristiche
diverse
:
quello
seicentesco
introdusse
delle
novità
rilevanti
e
durevoli,
quello
ottocentesco
voleva
invece
ripristinare
un
equilibrio
temporaneamente
scosso
per
ritornare
alla
tradizionale
situazione
di
rapporti
fra
stati
europei.
Erano
invece
sulla
stessa
linea
per
il
fatto
che
in
entrambi
le
questioni
riguardavano
le
relazioni
tra
i
sovrani
dei
rispettivi
regni;
i
popoli
erano
costituiti
di
sudditi
che
non
avevano,
salvo
qualche
eccezione,
alcun
diritto
di
autodeterminazione.
Ben
diversa
era
invece
la
situazione
a
Parigi
nel
1919,
dove
non
si
poteva
pensare
di
ridisegnare
il
quadro
politico
a
prescindere
dalle
masse,
che
ormai
avevano
subito
un
processo
di
nazionalizzazione.
Un
ipotetico
stato
che
avesse
ottenuto
un
vantaggio
territoriale
dall’esito
della
guerra
doveva
ben
considerare
se
la
popolazione
fosse
integrabile
e a
quale
prezzo,
in
certi
casi
il
beneficio
si
poteva
rivelare
un
onere.
I
rappresentanti
impegnati
nei
trattati
non
potevano
ignorare
l’opinione
pubblica
dei
loro
rispettivi
paesi,
esasperata
dai
lunghi
anni
del
conflitto.
Questa
in
qualche
caso
non
si
sentì
adeguatamente
rappresentata
e
contestò
fortemente
i
propri
governanti.
Se
il
principio
dell’autodeterminazione
dei
popoli
,
propugnato
dal
presidente
Wilson
nell’introduzione
a
I
Quattordici
punti
per
la
pace,
avesse
potuto
trovare
applicazione
il
problema
sarebbe
stato
risolto
alla
radice,
ma
non
è
detto
che
chi
aveva
elaborato
tale
documento
avesse
ben
chiara
la
situazione
in
Europa.
Peraltro,
neanche
gli
Americani
nei
loro
territori
si
erano
dimostrati
paladini
della
libera
scelta
dei
popoli
di
autodeterminarsi.
Sappiamo
comunque
che
a
Parigi
prevalse
una
sorta
di
diritto
di
conquista
e le
consultazioni
popolari
per
scegliere
a
quale
nazione
appartenere
sono
state
molto
marginali
(Schleswig,
Carinzia).
A
rendere
ancora
più
complicata
la
situazione
contribuiva
il
fatto
che
le
minoranze
etniche,
linguistiche
e
religiose
risultavano
talvolta
disseminate
a
macchia
di
leopardo.
Per
questi
motivi
nei
mesi
successivi
all’armistizio
del
1918
sorsero
nuovi
stati,
ci
furono
smembramenti
e
ricomposizioni,
talvolta
indipendenti
dal
Congresso
che
si
stava
svolgendo.
L’idea
del
presidente
americano
Wilson
di
una
Lega
o
Società
delle
Nazioni
segnò
l’inizio
di
un
passaggio
fondamentale
nella
storia
e
marcò
la
differenza
tra
il
periodo
post-Westfaliano,
con
Stati
totalmente
sovrani,
a
un’epoca
nella
quale
un
organismo
internazionale
ne
avrebbe
dovuto
regolare
autorevolmente
i
rapporti.
Questo
doveva
costituire
una
sorta
di
Internazionale
democratico-borghese,
capace
di
liquidare
le
strutture
militar-aristocratiche
degli
Imperi
centrali.
Nello
stesso
tempo
in
Russia,
ma
anche
in
Ungheria
e
nella
stessa
Germania,
l’Internazionale
proletaria
muoveva
i
suoi
primi
passi.
Già
nel
marzo
del
1919
a
Mosca
si
costituiva
il
Komintern
per
estendere
la
rivoluzione
socialista
a
livello
globale.
Questo
cambio
radicale
sulla
concezione
della
politica
mondiale
non
pare
essere
stato
compreso
più
di
tanto
dagli
uomini
di
stato
dell’epoca,
specie
europei,
continuò
invece
la
prassi
che
vedeva
gli
stati
nazionali
solitamente
contrapposti
fra
di
loro
e in
qualche
caso
temporaneamente
alleati
per
far
fronte
a un
nemico
comune.
Del
resto,
neanche
gli
Stati
Uniti
fecero
proprie
le
istanze
wilsoniane
e si
chiusero
in
un
orgoglioso
isolazionismo.
Nella
Russia,
poi
Unione
Sovietica
dal
1922,
prevarrà
di
lì a
poco
l’idea
che
il
socialismo,
prima
di
estendersi
al
mondo,
dovesse
compiersi
pienamente
nel
paese
nel
quale
aveva
già
conseguito
il
potere.
Si
trattava
quindi
di
consolidare
lo
stato
per
rafforzare
il
partito,
la
rivoluzione
globale
poteva
attendere.
Il
Komintern,
tradendo
il
suo
significato
letterale,
verrà
ben
presto
egemonizzato
dai
Sovietici.
La
Società
delle
Nazioni
aveva
altre
aspettative,
sollecitava
in
primo
luogo
la
pace
e la
collaborazione
e
propugnava
una
sorta
di
arbitrato
internazionale,
capace
di
intervenire
per
risolvere
eventuali
controversie
sulla
base
del
diritto
dei
popoli.
Questo
organismo
nacque
già
mutilo,
per
la
non
partecipazione
degli
Stati
Uniti,
e
non
ebbe
la
capacità
di
rispondere
alle
aspettative
per
le
quali
era
stato
costituito.
Con
l’andare
del
tempo
quegli
stati
che
ritenevano
di
aver
subito
delle
ingiustizie
conseguenti
al
Congresso
di
Parigi
e ai
successivi
trattati
di
pace
videro
sempre
più
la
Società
delle
Nazioni
come
un
organismo
opprimente
in
mano
ad
alcuni
paesi
vincitori
del
conflitto
mondiale.
Anche
l’Italia,
che
considerò
la
sua
vittoria
come
mutilata,
assumerà
in
seguito
questa
posizione
e
nel
1937
uscirà
dall’organizzazione.
La
conclusione
del
consesso
parigino
disilluse
vincitori
e
vinti,
non
poteva
che
essere
questo
l’epilogo,
considerando
quante
e
quanto
irrazionali
siano
state
le
illusioni
al
momento
dell’entrata
nel
conflitto
dei
singoli
Stati.
Tutti
i
paesi
belligeranti,
a
parte
il
Belgio
che
neutrale
si
trovò
coinvolto
e
subito
invaso
dalle
truppe
tedesche,
confidavano
di
ottenere
tanti
benefici
in
poco
tempo
e
con
un
modesto
dispendio
di
risorse
umane
e
materiali.
Al
momento
della
resa
dei
conti
ognuno
aveva
la
sensazione
di
non
aver
ottenuto
quanto
sarebbe
stato
giusto.
La
Francia
aveva
ripristinato
i
suoi
confini
del
1871,
aveva
ottenuto
il
mandato
su
alcune
ex
colonie
tedesche
in
Africa
e su
importanti
territori
dell’Impero
Ottomano
in
medio
Oriente,
ma
aveva
ancora
ai
suoi
confini
un
antico
nemico
per
niente
pacificato.
I
Tedeschi
della
Germania
uniti
a
quelli
dell’Austria,
del
territorio
dei
Sudeti
e
della
regioni
dell’Est
passate
alla
Polonia
erano
quasi
il
doppio
dei
Francesi.
La
giovane
repubblica
di
Weimar
al
momento
non
era
certamente
in
grado
di
nuocere
ma
conservava
una
forte
capacità
di
ripresa
che
avrebbe
potuto
creare
nel
prossimo
futuro
seri
problemi.
Anche
alla
Gran
Bretagna
andarono
colonie
ex
tedesche
in
Africa
e
ampi
territori
in
Medio
Oriente
e in
Mesopotamia,
ma,
come
abbiamo
visto,
non
riuscì
a
venire
in
possesso
della
la
flotta
tedesca,
autoaffondatasi,
alla
quale
ambiva
particolarmente.
Quanto
agli
Stati
Uniti,
gran
parte
dell’opinione
pubblica
era
convinta
che
i
propri
figli
fossero
andati
a
morire
in
Europa
inutilmente
e il
presidente
Wilson
di
ritorno
da
Parigi
ebbe
contro
di
sé,
non
solo
i
naturali
avversari,
ma
anche
molti
del
suo
stesso
partito.
In
Italia
ebbe
largo
seguito
il
mito
della
Vittoria
mutilata,
espressione
coniata
dal
poeta
vate
Gabriele
D’Annunzio,
che
non
limitò
la
sua
azione
al
solo
campo
letterario.
Paesi
minori
che
avevano
combattuto
dalla
parte
degli
alleati
e
degli
associati
o
che
si
erano
formati
alla
conclusione
del
conflitto
avevano
quasi
tutti
delle
rimostranze,
per
un
qualche
lembo
di
territorio
nel
quale
viveva
una
popolazione
non
ancora
unita
alla
madrepatria.
Tra
gli
sconfitti
europei,
la
Germania
in
primo
luogo,
si
sperava
nella
proposta
di
Wilson
che
prevedeva
l’autodeterminazione
dei
popoli,
almeno
di
quelli
che
si
riteneva
fossero
in
grado
di
autodeterminarsi;
per
il
resto
del
mondo
si
pensava
a un
processo
graduale
che
avrebbe
richiesto
qualche
tempo.
I
Mandati,
che
erano
una
sorta
di
protettorato
con
limiti
temporali
non
ben
definiti,
avevano
ufficialmente
questo
scopo.
Quanto
fosse
giusta
la
configurazione
europea
e
mondiale
susseguente
la
conferenza
di
Parigi,
si
perde
in
una
molteplicità
di
giudizi
di
valore
che
ciascuno
può
considerare;
è
invece
incontrovertibile
il
fatto
di
un’estrema
insanabilità
nei
rapporti
tra
gli
stati.
Negli
anni
immediatamente
successivi
vi
furono
delle
controversie,
anche
armate,
che
portarono
a
ulteriori
modifiche
territoriali.
La
grave
crisi
economica
del
1929
e il
formarsi
di
regimi
autoritari
e
totalitari
apriranno
la
strada
a
un’altra
conflagrazione
mondiale,
ancor
più
dirompente
della
prima,
e a
un’ulteriore
perdita
di
autorità
dell’Europa
a
livello
mondiale.
Riferimenti
bibliografici
Hardt
M./Negri
A.,
Impero,
BUR
,
Milano
2003.
McMillan
M.,
Parigi
1919.
Sei
mesi
che
cambiarono
il
mondo,
Traduttore:
Sioli
A.M.,
Mursia,
Milano
2006.
Romolotti
G.,
1919
La
pace
sbagliata,
Mursia,
Milano
1969.
Rumi
G.,
Benedetto
XV e
la
pace
–
1918,
Morcelliana,
Brescia
1991.
Scottà
A.
(a
cura
di),
La
Conferenza
di
pace
di
Parigi
fra
ieri
e
domani
(1919-1920).
Atti
del
convegno
Internazionale
di
Studi
Portogruaro-Bibione
31
maggio-
4
giugno
2000,
Rubettino,
Catanzaro
2003.