[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

181 / GENNAIO 2023 (CCXII)


contemporanea

IL CONGO DI DAVID VAN REYBROUCK

UN VIAGGIO DENTRO LA STORIA

di Alessio Guglielmini

 

Congo di David Van Reybrouck è molto più della storia dell’immenso stato africano, tra il 1870 e il 2010. È un viaggio abissale, sospeso tra annotazioni storiche e testimonianze dirette, tra reminiscenze e osservazioni sul campo. L’idea di Congo nasce nel 2003 a Bruxelles: Van Reybrouck è già stato diverse volte in Africa Meridionale, ma non ha mai visitato il Paese di cui si accinge a scrivere. L’unico modo è recarsi sul posto.

Fin dall’introduzione si capisce come al resoconto plausibile debba per forza di cose intersecarsi la leggenda. Il 6 novembre 2008, in uno dei suoi tanti soggiorni a Kinshasa, Van Reybrouck entra in una casa fatiscente, con un tetto di lamiera ondulata. Qui incontra il capofamiglia, “Papa Nkasi”, un uomo che dice di essere nato nel 1882 e di avere quindi 126 anni. Se le date sono un concetto relativo in Congo, come ammette l’autore, quell’improvviso salto all’indietro permette di risalire al nome di Henry Stanley, che il venerabile Nkasi non ha conosciuto di persona, ma di cui ha ovviamente sentito parlare.

È l’origine della vicenda coloniale del Congo: Stanley, inizialmente partito per ritrovare David Livingstone, si mette a risalire il fiume Congo fino alla foce. Le esplorazioni di Stanley fanno da pendant ai primi interessamenti di Bruxelles, sulle prime filantropici, per quel territorio sconfinato. Filantropia che si camuffa presto in un’impresa commerciale e che porta re Leopoldo II a trasformare il Congo in un suo possesso personale.

Il dispendiosissimo governo privato del sovrano dura ufficialmente dal 1° giugno 1885 al 15 novembre del 1908, quando il Congo diviene, a tutti gli effetti, una colonia belga. Mentre i missionari belgi, sollecitati da Leone XIII, cercano di estirpare le usanze tribali e la poligamia, si comincia a lavorare alla ferrovia ed esplode il boom della gomma provocato dalla recente invenzione dello pneumatico (1888) da parte dello scozzese Dunlop.

Dopo la fine del regno di Leopoldo II, la gestione degli affari congolesi diviene più sobria e gerarchizzata. Nel 1910 un decreto stabilisce che ogni indigeno appartenga a una chefferie o sous-chefferie: chi vuole spostarsi deve inoltre dotarsi di un passaporto medico. Si tratta di una misura indispensabile per evitare il diffondersi delle numerose patologie registrate in Congo in quel periodo, dalla malaria alla malattia del sonno causata dalla mosca tse-tse. Le iniezioni e le soluzioni scientifiche si scontrano inevitabilmente con le superstizioni locali e l’attaccamento ai rimedi della medicina tradizionale.

A proposito di tradizione e culti locali, il pluricentenario Papa Nkasi rievoca a Van Reybrouck la figura del mitologico Simon Kimbangu, nato nel 1889 e passato alla storia come profeta. A quanto pare Kimbangu è protagonista nel 1921 di una miracolosa risurrezione e ha la facoltà di dare la guarigione agli ammalati o di spostarsi a suo piacimento da un posto all’altro, in pochi secondi.

Ancora nel 1991 il suo seguito è fervido, tanto da inaugurare un tempio in suo onore. Alcuni di questi movimenti assumono peraltro un carattere anticolonialista, come nel caso dello ngunzismo, una variante del kimbanguismo diffusasi dal 1934 nel Basso Congo e favorevole alla cacciata dei belgi.

L’indipendenza arriva solo nel 1960, il 30 giugno, ma inesorabilmente con condizioni penalizzanti per la futura economia dello stato autonomo: il 27 giugno, in perfetto orario, il Parlamento belga, senza obiezioni da parte del governo congolese, scioglie il Comité Spécial del Katanga che gestisce gli affari della provincia più ricca di giacimenti minerari. Questa mossa va a tutto vantaggio dei grandi trust belgi.

Il passaggio di consegne è anacronistico: re Baldovino, venuto appositamente da Bruxelles, trasferisce ufficialmente il potere al presidente Kasavubu, senza nascondere il suo paternalismo: «Il vostro compito è immenso e voi siete i primi a rendervene conto. […] Non abbiate paura a rivolgervi a noi. Siamo pronti a restare al vostro fianco per aiutarvi con i nostri consigli».

Sul fatto che il compito sia immenso, non vi sono dubbi. Il primo ministro Lumumba dimostra fin da subito di non essere allineato a Kasavubu. L’esordio della Prima Repubblica congolese è tutt’altro che lineare e il bilancio di Van Reybrouck aiuta a capire come le ingerenze estere siano notevoli: «La Prima Repubblica fu caratterizzata da un turbinio di nomi di politici e militari congolesi, consiglieri europei, personale delle Nazioni Unite, mercenari bianchi e ribelli indigeni. Quattro nomi tuttavia dominarono la scena: Kasavubu, Lumumba, Tshombe e Mobutu. […] La storia della Prima Repubblica è la storia di un’implacabile corsa a eliminazione tra quattro uomini impegnati per la prima volta nel gioco della democrazia. Una missione impossibile, tanto più se si considera che ciascuno di loro veniva assillato da stati stranieri che volevano difendere i propri interessi in Congo. Kasavubu e Mobutu erano corteggiati dalla Cia, Tshombe era a tratti un giocattolo nelle mani dei consiglieri belgi. Lumumba subiva le fortissime pressioni degli Stati Uniti, dell’Unione Sovietica e delle Nazioni Unite».

Ad avere la meglio, dopo la morte di Lumumba nel 1961 e l’allontanamento di Kasavubu e Tshombe, è Mobutu, il trionfatore della “partita a quattro”. Mobutu, dal 1965, è l’eccentrico ripristinatore della tradizione, a partire dal nome scelto al posto di Congo. Il padre della rivoluzione si basa su una cartina portoghese del sedicesimo secolo, in cui il famoso fiume veniva designato come “Zaire”. Zaire è in verità lo “spelling sbilenco” della parola nzadi che in lingua kongo significa “fiume”. Con ciò, il primo decennio di Mobutu al potere è attraversato da grandi ambizioni e speranze: il mercato della birra esplode, spuntano ovunque antenne e ripetitori e nel 1974 la spettacolarizzazione del potere di Mobutu confluisce nel famoso incontro di boxe tra Ali e Foreman.

L’era Mobutu si prolunga stancamente fino alla fine degli anni Ottanta del Novecento, tra nepotismo, corruzione e inflazioni indicibili. Il 24 aprile 1990 il leader è costretto ad annunciare la democratizzazione dello Zaire. Il popolo lo prende in parola: dopo 25 anni senza partiti, se non quello di Stato, nel 1991 ce ne sono 112. Eppure, lo zampino di Mobutu è ancora palpabile: tra il 1990 e il 1997 si alternano otto diversi Primi Ministri, sette dei quali piazzati dall’ex dittatore. Il genocidio in Ruanda del 1994 paradossalmente nobilita il ruolo di Mobutu quale figura stabilizzatrice della regione.

La carneficina ruandese avvia però al contempo una guerra che per qualche anno confonde il destino del Congo con quello delle nazioni confinanti: Burundi, Uganda e Ruanda, per l’appunto. Laurent-Désiré Kabila, originario del Katanga, che vive di contrabbando d’oro e d’armi in Tanzania, prende il comando dell’Afdl, Alliance des Forces Démocratiques pour la Libération.

 

L’Afdl, tramite una manovra a tenaglia, conquista lo Zaire, avvalendosi dell’appoggio di Ruanda, Uganda e Stati Uniti, ma anche della popolazione locale esasperata da Mobutu che, nel frattempo, è andato a curarsi il cancro in Europa. Le cure non gli impediscono di morire in esilio, a Rabat, il 7 settembre del 1997. Qualche mese prima Kabila si è autoproclamato presidente della neonata Repubblica Democratica del Congo.

Se quella dell’Afdl è di fatto la “Prima guerra del Congo”, il 2 agosto 1998 inizia il secondo capitolo di un altro conflitto sanguinoso che si prolunga fino al giugno del 2003. Nei primi mesi della nuova ostilità, Ruanda, Uganda e un esercito improvvisato di ribelli provano a rovesciare Kabila. Dopo di che le forze d’invasione rinunciano a Kinshasa, accontentandosi di sfruttare le materie prime del territorio occupato che equivale a metà dell’intero Congo. Non a caso, “nel 1999 e nel 2000 le esportazioni d’oro dell’Uganda ammontarono a 90-95 milioni di dollari l’anno.

 

Il Ruanda allora esportava, ogni anno, 29 milioni di dollari in oro. Molto, se si pensa che entrambi i paesi non hanno una significativa produzione di oro”. A trarre profitto dalla ricettazione delle risorse provenienti dal Congo, tra cui il coltan, in quel periodo sono in molti, dalle multinazionali ai trafficanti d’armi.

I ruandesi e gli ugandesi si ritirano solo nel 2003, quando i caschi blu dell’ONU rafforzano il loro presidio nella zona dopo l’Accordo di pace di Pretoria del 2002. A Laurent-Désiré Kabila, assassinato nel 2001, succede il figlio Joseph, artefice della pacificazione che rimarrà presidente fino al 2019. Ma questo il Van Reybrouck di Congo non può ancora saperlo.

Gli ultimi capitoli della sua monumentale ricognizione sono dedicati a nuovi sorprendenti fenomeni, come la guerra tra le marche di birra: da una parte la Bralima e, dall’altra, la Bracongo. Uno scontro fino all’ultima bottiglia, reso perfino più sonante e spettacolare dalla rivalità dei rispettivi ambassador, le pop star J.B. Mpiana e Werrason. Il più famoso dei due, Werrason, è il testimonial della Bracongo, ma nel luglio del 2005, a sorpresa, decide di passare alla Bralima, con grande scalpore generale.

Lo sguardo di Van Reybrouck, prima che si chiuda il sipario, paradossalmente esce dal Congo. L’autore accompagna due donne a Guangzhou: si tratta di giovani congolesi che vanno in Cina ad acquistare la merce per poi rivenderla in patria con introiti vantaggiosi. A Canton s’imbatte anche in Jules Bitulu, emigrato dal 1988 che ha fatto successo cantando canzoni cinesi nei bar e nei ristoranti.

Van Reybrouck riempie i suoi taccuini mentre ascolta le peripezie di colui che ha dato vita alla comunità congolese locale. È quasi il preambolo del rientro a Kinshasa, insieme alle due donne che indossano un’improbabile parrucca biondo platino.

È la fine di un viaggio allucinante, il ritorno in un luogo sfruttato, martoriato, quasi sognato e immaginato, tanto è il materiale narrativo che l’autore ha saputo trarre dai suoi testimoni inaspettati e dalle sue densissime zone d’ombra.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]