.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

FILOSOFIA & RELIGIONE


N. 46 - Ottobre 2011 (LXXVII)

Le Confraternite abruzzesi del Sacro Monte dei Morti nel Seicento
aspetti definitori e storiografici

di Olga Di Loreto

 

Fornire una risposta assoluta all’interrogativo: "Cosa sono le Confraternite?" risulta, a tutt’oggi, impervio quand’anche anzidetta questione venga circoscritta in una determinata epoca, in una precipua area geografica, ad una specifica societas, ecc.

Partendo dall’assunto, ormai pressoché indiscusso, che getta le basi della storiografia confraternale italiana nell’età medievale, è doveroso ricordare quanto, già nel 1742, lo storico modenese Ludovico Antonio Muratori, elevando l’oggetto della confraternita a dignità di tema storiografico, dichiarò nel descrivere la diffusione ubiqua e plurima di queste associazioni laicali/religiose, ovvero le molteplici problematiche legate allo studio delle confraternite stesse: la definizione dell’oggetto, la terminologia, le fonti, le tipologie, le funzioni, ecc.

Avanzando una definizione ampia di confraternita la si potrebbe definire come un gruppo variamente composto da laici e chierici, da uomini e da donne, consociatosi nei centri urbani come in quelli rurali, per scopi di edificazione e solidarietà religiosa, di impegno liturgico, di pratica caritativa, socio-assistenziale e pedagogica.

Il loro fine è, pertanto, massimamente inscrivibile all’esercizio di opere di pietà e di carità (soccorso, elemosina, beneficienza, assistenza), all’incremento di una religione popolare come pure al culto dei morti, fino alla concessione di piccoli prestiti-crediti.

Le confraternite, in realtà, rappresentano un fenomeno molto più articolato e composito, in quanto esse rappresentano uno degli strumenti di cui la Chiesa si è servita soprattutto dal Concilio di Trento (1545-1563) in poi.

Spesso gli storici hanno preferito usare delle circonlocuzioni atte a cogliere l’essenza di tali congregazioni piuttosto che termini puntuali.

Si ricordano, a riguardo: l’espressione utilizzata, nella prima metà del Novecento, da Gioacchino Volpe che, collocando le confraternite all’interno del vasto ventaglio di movimenti religiosi medievali, circoscrisse le stesse in: «Raggruppamenti su base religiosa o, almeno, religiosamente motivati», come pure l’esplicazione di Edoardo Grendi che le inquadra in «Fenomeni associativi e religiosi» o l’asserzione fornita da Gabriel Le Bras, uno dei padri della sociologia religiosa, di «Famiglie artificiali», tesa a sottolineare l’inscindibilità dei due aspetti - quello collegato alle dinamiche associative laicali e quello attinente alla sfera della religiosità - costitutivi della morfologia confraternale soprattutto medievale.

Di poi agli studi di G. Le Bras, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, allorquando si definirono i criteri ed i metodi della sociologia religiosa retrospettiva e si irrobustì l’approccio, più innovatore, socio-antropologico, le confraternite iniziarono a costituire nell’ambito della storiografia francese un perseverante oggetto di studio; ciò anche grazie alle ricerche principiate dallo storico Louis Pérouas nella diocesi della Rochelle tra i secc. XVII e XVIII e, altresì, agli studî di Maurice Agulhon sulla Provenza durante il Settecento.

In Italia, l’inversione di tendenza rispetto ai tradizionali studi muratoriani – incentrati principalmente sulla storia ecclesiastica e su erudite ricerche di settore inerenti singole confraternite – è solitamente collocata agli inizi degli anni 1960 contestualmente al settimo centenario del movimento dei disciplinati ed ai dibattimenti interni del concernente Convegno internazionale di studî. Ivi l’approccio nei confronti della tematica si presentava rinnovato soprattutto grazie ai lavori sul movimento dei disciplinati agli inizi dell’età moderna di Giuseppe Alberigo.

Di qui si aprì una dinamica stagione storiografica che considerava sì la natura propriamente religiosa delle confraternite ma in relazione al tessuto sociale e alle relative influenze, specie di natura politico-economica, che esso vi esercitava.

A riguardo, in ambito italiano, ragguardevoli risultano gli studi dell’anzidetto Edoardo Grendi mentre, nell’ambito della scuola storiografica inglese, a partire dagli anni ’70 del Novecento, si distinsero i lavori - ancor più decisamente in direzione di un’analisi segnata dai metodi e dagli interrogativi della social history - di Brian Pullan che, studiando le criticità durante l’Ancien Régime, specie quelle legate al rapporto povertà/educazione, elaborò una corposa opera sulle “Grandi Scuole” a Venezia.

Tra i successivi lavori, che si mossero in affine direzione, vanno ricordati quelli di Richard Trexler, Ronald Weissman e John Henderson. Questi studiosi andarono finalmente a considerare il rapporto tra le dinamiche sociali dell’associazionismo ed il ruolo svolto dalla pubblica carità in relazione agli equilibri politici degli Stati italiani specie durante il tardo Medioevo e l’inizio dell’età moderna.

Su questa traccia segue il saggio di Chistopher Black incentrato sullo studio del mondo confraternale dell’Italia centro-settentrionale, soprattutto durante il Cinquecento.

A partire dai primi anni Novanta tuttavia, al di là dell’originale e consistente contributo fornito dalla storiografia in lingua inglese sulle confraternite - con particolare riferimento a quelle sorte durante il basso Medioevo e il Rinascimento – l’interesse di tali studiosi ha avuto come conseguenza positiva soprattutto l’intensificarsi della collaborazione tra scuole storiografiche differenti, superando la precedente incomunicabilità tra ricercatori di lingua inglese ed europei.

Passiamo ora a considerare un’altra discussione orbitante intorno al mondo confraternale, ovvero quella relativa gli esordi delle stesse, su cui si sono incentrati diversi dibattiti, in primis quello relativo al rapporto tra corporazioni artigiane e confraternite e, in secondo luogo, quello che vede una continuità tra associazionismo antico e associazionismo medievale (scholae).

Secondo Ernesto Sestan, medievalista e storico dell’età moderna, nonostante si possano ravvisare tracce di sodalizi confraternali in Francia già nel sec. VIII - dacché legate al Concilio indetto nella diocesi di Nantes nell’ 895 e, altresì, derivanti dal movimento mistico dei flagellanti e degli ordini mendicanti - la loro diffusione è databile non prima dei secc. XII-XIII, in concomitanza con la nascita delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, di cui condividevano anzitutto lo spirito associativo.

Dette corporazioni, infatti, svolgevano diverse funzioni assistenziali che si manifestavano nel soccorrere gli associati versanti in momentanee condizioni di difficoltà, nel sostenere le vedove e gli orfani di associati - cui era, tra l’altro, garantita la necessaria istruzione al fine di inserirli nell’attività professionale non appena raggiunta l’età prescritta - nel manifestare pubblicamente la fede, mediante la partecipazione collettiva a ricorrenze celebrate da tutta la comunità cristiana e a quelle particolari di ogni Arte.

L’anzidetta ipotesi, però, che annette l’esordio delle Confraternite alla nascita delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri, è soggetta a molte controversie: parecchi, infatti, sono coloro che vedono elementi di continuità con altri tipi di comunità organizzate quali, ad esempio, gli ospedali medievali.

Quanto alla prima questione, il rapporto tra confraternite e corporazioni è un tema che, seppur spesso sottolineato nella storiografia italiana, ha prodotto poche puntualizzazioni sui nessi creatisi fra le associazioni professionali e di devozione nelle fasi del loro sviluppo.

La questione è ancora aperta e si può riesaminare partendo dalla terminologia usata dal Concilio di Trento che, nella XXII Sessione, tenutasi nell’autunno del 1562, ribadì per i Vescovi l’antico ius visitanda hospitalia, estendendo tale diritto dell’autorità ordinaria anche ai collegi, alle confraternite laicali e alle scholae.

Il Concilio ha individuato nel vocabolo latino schola un termine sufficientemente ampio e indefinito per riunire sotto di sé numerose forme associative, per lo meno in alcune aree.

Detto termine in età romana fu utilizzato per indicare l’edificio in cui conveniunt plurimi eiusdem negotii causa, cioè luogo di riunione di individui aventi interessi comuni, per passare poi a significare “luogo di riunione”.

Data la sua eterogeneità il termine si adattava molto bene a fungere da equivalente a “corporazione” e “confraternita”, perciò ebbe un largo uso nel settore dell’associazionismo devoto e, dal sec. XII, anche di quello artigianale.

La tipologia delle scholae nella sua varia articolazione è senz’altro esemplificativa dei rapporti intercorrenti tra associazionismo di mestiere e confraternite.

Anche tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento alcuni storici hanno avvalorato l’ipotesi terminologica nel rapporto corporazioni/confraternite e, richiamando l’importanza del fattore religioso nell’esperienza corporativa (ravvisabile nell’esistenza di confraternite che perseguivano scopi professionali e nello spirito assistenziale e caritativo presente negli statuti di molte corporazioni d’arte) arrivarono ad enunciare la teoria che faceva risalire alle confraternite l’origine delle arti.

Alcuni di essi usarono il termine fraternitas per definire la forma generale che assume fin dai primi tempi cristiani l’associazione laica, indipendentemente dal contenuto e dagli scopi concreti delle singole associazioni. Essa poté quindi dar luogo, nel tempo, sia a tipi associativi in cui i fini economici, dapprima coperti dall’aspetto religioso, finirono per rimanere prevalenti o esclusivi, sia a quelli in cui rimasero prioritari gli scopi religiosi; di qui la differente fioritura di corporazioni da un lato e di confraternite dall’altro in cui le prime si distaccarono via via dalla istituzione ecclesiastica e si resero autonome.

Altri studiosi, invece, dissentono dal far derivare le arti medievali dalle confraternite mantenendo distinte le due tematiche.

Il problema rimane, quindi, aperto e controverso.

Passando a trattare la seconda supposizione, ovvero se sussista un nesso di continuità tra confraternite e ospedali medievali, bisogna subito sottolineare la straordinaria fioritura di istituzioni ospedaliere e caritatevoli che, a partire dal sec. XII, interessò la cristianità medioevale.

Da una parte l’aspirazione, condivisa da tanti, a una pratica cristiana più rigorosa e, dall’altra, la consapevolezza che la pietà religiosa dovesse esprimersi in forme concrete, portarono gli uomini a individuare nelle confraternite la via meglio strutturata e lo strumento più consono per realizzarsi. Al crescente bisogno sociale non era più sufficiente rispondere solo con l’elemosina bensì con forme di assistenza organizzata; nacquero, così, nell’Europa medioevale, nelle città ma anche nei centri minori e negli snodi delle maggiori vie di comunicazione, gli ospedali per malati e pellegrini (caratterizzati da un modello organizzativo basato sul volontarismo e sul pan-assistenzialismo) al fine di offrire caritatevole ospitalità, conforto, solidarietà, cura delle malattie infettive e derivanti dalla povertà. Dagli ospedali, infatti, si irradiava una solidarietà esterna, esplicata nella distribuzione di viveri ed elemosine, nella ricerca dei moribondi e dei cosiddetti “poveri vergognosi”, di coloro cioè che si vergognavano a mostrare la loro povertà.

Nel Medioevo il termine hospitale era inteso, infatti, come esercizio e luogo di una più ampia accoglienza, con finalità anche diverse da quelle strettamente sanitarie, anzi la polifunzionalità ne fu una delle principali caratteristiche.

Intorno alle comunità ospedaliere si sono attuate esperienze molto innovative nel contesto di una più larga partecipazione dei laici allo status di religioso: il binomio Laicus-religiosus designava bene la situazione di molti conversi ospedalieri.

Nella seconda metà del sec. XII si era, infatti, allargato il concetto di “religioso”, sino allora riservato ai membri delle comunità monastiche e canonicali. Il papa Alessandro III aveva approvato le regole di comunità ospedaliere e Innocenzo III aveva poi continuato su questa linea.

Queste figure hanno rappresentato anche un elemento di continuità fra le comunità ospedaliere e le confraternite laicali del tardo Medioevo.

Detta connotazione iniziale basata sul volontarismo pan-assistenziale, sull’ospitalità e conforto spirituale per feriti ed ammalati (ma, come anzidetto, anche per vagabondi, pellegrini, orfani e vedove, mendicanti ed indigenti) virò, più tardi, in un forte tono di solidarietà laica, influenzato dall’utopismo sociale ottocentesco.

Nemmeno gli studi di carattere storico-giuridico aiutano a fare puntuale chiarezza su questa controversa questione terminologica: pur ammettendo, in generale, il principio per cui le scholae, insieme agli ospedali e agli enti fabbriceriali, rientrassero fra i pia loca, essi lasciavano incerta l’appartenenza delle confraternite alla sfera ecclesiastica o civile e non dava altresì certezze circa le basi su cui queste poggiassero.

Il diritto canonico a lungo non contemplò precise istanze in materia: solo nel 1604, il 7 dicembre, con la bolla sottoscritta da Clemente VIII, Quaecumque a Sede Apostolica, la curia romana si espresse sul modo di erigere una confraternita e sui rapporti di questa con l’ordinario diocesano.

Attraverso la bolla Quaecumque a Sede Apostolica, oltre a stabilire le norme per l’erezione delle confraternite al fine di garantire ordine e normalità alla multiforme esuberanza confraternale attraverso regole comuni e vigilanza ordinaria, si sottomisero, altresì, tutte le confraternite alla giurisdizione dei Vescovi e si prescrisse ai laici di limitare la propria adesione a un solo sodalizio.

Da parte loro i Vescovi esercitarono questa autorità sui luoghi pii in modo molto restrittivo; le confraternite si trovarono così, soprattutto durante l’età moderna, subordinate alla gerarchia ecclesiastica, perdendo in autonomia economica e d’iniziativa.

Riassumendo, si può affermare che l’origine delle confraternite va ricercata in un complesso di fattori, di esperienze, di ogni quadro territoriale tenendo contemporaneamente presente l’evoluzione generale del fenomeno congiuntamente alle specificità locali.

Chiudendo questo preambolo circa la definizione e determinazione delle confraternite, si passa ora all’analisi del secondo punto caratterizzante il presente contributo, rappresentato dalla peculiarità delle Confraternite abruzzesi del Monte dei Morti durante l’età moderna, con particolare riferimento a quelle presenti nell’Arcidiocesi di Chieti.

Questo specifico riferimento, non accidentale, è determinato dalla forte paradigmaticità che le confraternite teatine ebbero sul territorio abruzzese, embelmaticità non determinata solo dalla loro consistenza numerica, bensì dall’influenza che le stesse ebbero sull’andamento sociale ed economico dell’intera regione.

È doveroso subito premettere che uno degli scopi principali delle confraternite del Monte dei Morti consisteva nell’assicurare ai propri associati il servizio funebre e la celebrazione di messe di suffragio; esse rispecchiavano, perlopiù, una delle finalità principali perseguite da qualsivoglia confraternita istituita durante la metà del Seicento, ovvero assicurare ai confratelli defunti un’adeguata sepoltura, preghiere, cerimonie liturgiche, ecc.

Anzidette confraternite, attingendo da una cassa comune, finanziata da contributi periodici degli iscritti, avevano il compito di offrire ai confratelli esequie e suffragi in proporzione alla quantità di denaro versato.

Conseguentemente, per quanto attiene l’identità dei membri di dette congreghe, ovvero la loro estrazione sociale, è perspicuo che l’obbligo di un contributo mensile, anche se non oneroso, escludesse le persone più indigenti dal novero degli affiliati al Monte dei Morti pertanto, per deduzione, devono ritenersi estromesse le classi sociali più basse; di contro, non si enfatizzerebbe qualora si affermasse che, specie il Monte dei Morti di Chieti, avesse una componente sostanzialmente nobiliare, soprattutto se ci si allontana dall’anno di fondazione della congrega.

L’impossessamento del pio sodalizio da parte della nobiltà teatina è abbondantemente documentato, in particolare durante il Settecento (si veda, a riguardo, il Regio Assenzio 1776) dove gli aristocratici, oltre a detenere il diritto assoluto di voto nell’elezione dei governatori, ne ricoprono, spesse volte, anche la carica.

Non è immaginabile, invece, un fenomeno simile per le altre confraternite, quelle che oltre ad avere finalità diverse dal Monte dei Morti sorgevano in località piccole e rurali, nelle quali consentire un accesso preclusivo, riservato alla sola nobiltà, avrebbe significato ridurre gli iscritti a pochissime famiglie.

Le fonti reperite circa le Confraternite del Monte dei Morti nell’Arcidiocesi di Chieti, attestano la fondazione di 29 confraternite costituite in prevalenza durante la seconda metà del Seicento, esattamente dal 1648 al 1698, con un’unica singolarità rappresentata dalla congrega di Miglianico: alcune fonti attestano la di essa fondazione nel 1736 ma, in realtà, si tratta di un caso di ri-fondazione.

In breve, si può affermare che le confraternite fiorirono e si svilupparono nell’Arcidiocesi teatina durante la seconda metà del secolo XVII, periodo che coincide, in larga misura, con il governo episcopale di Nicolò Radulovich che resse tale Arcidiocesi dal 1659 al 1702.

Soffermarci brevemente sull’operato di Nicolò Radulovich.

Le fonti più autorevoli per ricostruire il suo governo pastorale sono le undici Visite et relationes ad limina (cioè le relazioni sullo stato delle diocesi che tutti i Vescovi, ad intervalli di tempo prestabiliti, dovevano mandare in Vaticano per il controllo pontificio) che egli inviò alla S. Congregazione del Concilio dove vengono esposti, seppur sinteticamente, i problemi dell’arcidiocesi; ivi, però, si sottace circa le confraternite del Monte dei Morti nei cui riguardi, si ipotizza, il Radulovich non avesse un atteggiamento tanto favorevole bensì di sola ammissione. L’atteggiamento non proprio favorevole del Radulovich nei riguardi delle confraternite e del loro operato non deve apparire inconsueto o atipico; numerosi sono, infatti, i decreti vescovili sulla vita delle confraternite nel Mezzogiorno, durante i secc. XVII-XIX, che tendevano a porre un argine alla vita “rilassata” delle stesse, ovvero che richiamavano ad una maggiore vitalità spirituale e pietà cristologica, nonché un monito verso quelle forme di “gestione” del sacro marginali, oscure e sospette rispetto ai culti ufficiali; qui è evidente il riferimento alle possibili influenze del mondo della magia, della stregoneria e dello scongiuro - frequenti nell’ambiente della cristianità nel Mezzogiorno - nelle pratiche delle congreghe.

In realtà, molti sostengono che anzidetti atti episcopali sulla vita delle confraternite, venivano emanati per condannare abusi o deviazioni dottrinali e per riaffermare e tutelare i rapporti di sudditanza con la gerarchia e, raramente, per un’azione di coordinamento con programmi pastorali.

La promulgazione di questi provvedimenti episcopali può essere altresì giustificata dalla diffusa tendenza, soprattutto nel Mezzogiorno, da parte di notabili (tendenza rafforzatasi in età contemporanea nel periodo post-unitario) ad appropriarsi delle confraternite per trarne prestigio e benefici, per strumentalizzare le donazioni per finalità egemoniche, ecc., tant’è che la consistenza economica di queste congregazioni, infatti, non passò inosservata a tali “personalità” per trarne dei profitti.

Chiudendo la suddetta parentetica sul governo episcopale di N. Radulovich e tornando alla istituzione delle confraternite teatine intitolate al Sacro Monte dei Morti, si può asserire che la prima Confraternita venne istituzionalmente fondata a Chieti nel 1648 e l’ultima nel borgo di Salle nel 1698.

In merito alla istituzione della prima Confraternita del Monte dei Morti nell’arcidiocesi di Chieti è doveroso ricordare che, secondo una lunga tradizione storiografica, la fondazione di anzidetta confraternita è datata 1603, in anticipo di 45 anni rispetto alla data ritenuta ufficiale, ovvero il 1648.

Questa divergenza cronologica ha prodotto un’autentica querelle tra gli studiosi autoctoni di cui si segnalano - partendo dai più “anziani” - le voci più significative: G. Ravizza, L. Vicoli, G. Nicolino, G. F. De Tiberiis, A. Tanturri.

Per quanto attiene al meccanismo di funzionamento regolante un Monte dei Morti nell’Arcidiocesi teatina, esso può essere così sintetizzato: ogni iscritto doveva corrispondere una volta al mese un importo, proporzionalmente alle proprie possibilità economiche: 2,5 grana, 5 grana, 1 carlino.

In caso di morte di un confratello, pertanto, il Monte dei Morti era obbligato a far celebrare un numero di messe proporzionale all’entità del contributo.

Nelle “Istruttioni delli obblighi de’fratelli e sorelle della Compagnia del Monte dei Morti, eretto nella chiesa metropolitana di Chieti nella cappella di S. Giustino li 2 novembre MDCXLVIII” si stabiliva che: per coloro che avessero pagato 2,5 grana andavano celebrate 25 messe; per coloro che avessero pagato 5 grana andavano celebrate 50 messe; per coloro che avessero pagato 1 carlino spettavano 100 messe.

L’integrità patrimoniale del sodalizio era tutelato da un insieme di clausole, riportate nello statuto, ad esempio: se per tre volte consecutive non si saldava la quota associativa si veniva espulsi; gli ultrasessantenni dovevano pagare il doppio della tariffa stabilita; gli infermi e i malridotti in salute erano estromessi dall’iscrizione, ecc.

Precise norme regolavano, inoltre, le scritture contabili: oltre al libro di introito ed esito vi era anche il libro maestro dove venivano registrati tutti i beni mobili ed immobili di proprietà del Monte.

Gli amministratori, al termine del loro mandato, dovevano presentare all’Arcivescovo, i risultati della loro gestione; si ricorda che il controllo da parte del prelato era molto puntuale e tutt’altro che formale.

Parliamo, ora, degli obblighi dei confratelli associati ad un qualsivoglia Monte dei Morti abruzzese.

Primariamente vi era la recitazione delle preghiere che venivano declamate, durante le riunioni mensili, per l’ufficio dei morti e le anime del Purgatorio (coloro che, per vari motivi, erano impossibilitati a partecipare alla recitazione comune delle preghiere dovevano farlo da casa).

I confratelli dovevano, altresì, visitare gli infermi, partecipare alle questue del grano, olio, vino ed altri prodotti, rappacificare i confratelli divisi da rancori e inimicizie.

L’obbligo imprescindibile e sistematico per i confratelli, però, era quello di partecipare alle esequie dei confratelli defunti e ad offrire a questi ultimi un vero e proprio servizio funebre, portando la bara, spesso coperta da un panno nero ed accompagnata, in corteo, dagli stessi confratelli indossanti una divisa, con torce accese.

Circa le divise, le fonti ci consentono di osservare una certa loro uniformità: sacchi o camiciotti, corredati da cappuccio, generalmente di colore bianco o nero, colori associati prevalentemente al lutto.

L’inumazione dei morti e l’incarico di portare la bara non rappresentava una prerogativa esclusivamente maschile, ma un compito svolto anche dalle donne, le donne necrofore, che “portano via” i morti.

Detta peculiarità non è sottostimabile considerato il ruolo pressoché subalterno e di scarso apprezzamento delle donne nella vita di detti sodalizi, almeno fino all’epoca tardo medievale, quando la loro ammissione era essenzialmente determinata dal decremento del numero degli associati uomini e, quindi, dal desiderio di rivitalizzare (sia numericamente sia finanziariamente) un’istituzione in declino, il cui coinvolgimento era in relazione agli spazi lasciati loro dagli uomini, sempre escluse da cariche direttive e da momenti decisionali, con obblighi associativi limitati ad un’attività puramente devozionale.

Solo nel Quattrocento si assiste ad un più ampio coinvolgimento delle donne nella vita confraternale, sia con la partecipazione alle processioni nelle vie cittadine e alle feste per i santi patroni (attività devozionali rivolte all’esterno), sia con attività caritative verso i poveri, malati, moribondi: una carità “attiva” delle donne la cui attività devozionale consisteva, solitamente, nella preghiera personale giornaliera, nella più accentuata frequenza ai sacramenti della confessione e della comunione, nell’assistere alle messe e alle cerimonie liturgiche stabilite dal sodalizio, e soprattutto ai funerali e anniversari dei fratres et sorores che – insieme all’assistenza dei fratelli ammalati – è uno degli aspetti che maggiormente caratterizzano la solidarietà confraternale in tutto l’arco delle sue manifestazioni.

L’attività delle consorelle all’interno del Monte dei Morti, consisteva nella assistenza a domicilio, come pure negli ospedali, dei soci ammalati, specie delle consorelle e nei confronti dei più indigenti - che venivano provvisti di medicine, cibo, biancheria - nella cura del loro funerale e delle messe in loro memoria, compiti per i quali le donne dovevano garantire la loro piena disponibilità di tempo.

Per quanto riguarda l’assistenza presso le strutture assistenziali è proprio qui che le donne, fin dal sec. XV, poterono esercitare autentiche forme di carità “attiva” assumendo l’incarico di hospitaliere nei nosocomi/ospizi (non solo confraternali) e ricoprendo anche incarichi direttivi (un es. può essere il sodalizio di Santa Maria dell’Anima dei Tedeschi a Roma, dove, già nel Quattrocento, si susseguono diverse donne come “madri” alla guida dei due ospizi cittadini, di cui uno esclusivamente riservato all’utenza femminile).

Costantemente ribaditi tra gli obblighi confratrenali erano, altresì, la cura del corpo delle socie defunte e la presenza alle loro esequie e agli anniversari, attività in perfetta sintonia con il comune sentire del tempo in cui il pensiero della morte rappresenta sempre più il centro focale della religiosità.

I membri delle confraternite cercavano, così, di aiutarsi non solo durante la vita, con l’assistenza reciproca nella malattia o nel bisogno e nella vecchiaia, ma soprattutto al momento della morte e dopo la morte.

Questa solidarietà si faceva più sollecita in momenti cruciali come le grandi epidemie, quando erano maggiormente frequenti i casi di abbandono degli infermi da parte dei parenti o di isolamento per la morte di tutti i congiunti.

Proprio alla epidemia di peste del 1656 è, infatti, attribuibile il frenetico originarsi delle confraternite abruzzesi del Monte dei Morti, originatesi per la medesima causa anche in tutto il Mezzogiorno durante la seconda metà del Seicento.

I rimedi inadeguati che la scienza medica suggeriva e la superficialità ed inefficacia delle misure profilattiche, spesso poco scientifiche, rituali, folkloristici e pervasi di demoiatrica, inducevano gli uomini di quell’epoca ad affidarsi alla misericordia divina, alla devozione verso alcuni santi taumaturghi (tra cui San Rocco, San Sebastiano e l’Immacolata Concezione) e all’affiliazione ad un Monte dei Morti.

La succitata demoiatrica simboleggia quel singolare connubio di medicina, magia e religiosità popolare che Adalberto Pazzini definisce “medicina eroica”, nel senso che in essa il soprannaturale e le leggi naturali si connettono. Componenti fondamentali della demoiatrica eroica abruzzese sono la medicina popolare (che non fa dipendere le malattie da deperimento dell’organismo o dall’effetto di germi patogeni ma da motivazioni magiche, che sfuggono alla comune percezione sensoriale) e la religiosità popolare (particolare forma di cattolicesimo, tipica dell’Italia centro-meridionale, che si contraddistingue per gli accentuati caratteri di esteriorità, paganesimo e magia. Il sincretismo magico-cattolico, caratterizzante anzidetta religiosità, è documentato nelle historiolae cristianizzate, cioè dalle formule di scongiuro che hanno come protagonisti personaggi e vicende della tradizione cattolica nonché il culto per i santi taumaturgici.

Si sottolinea che fino a tutto l’Ottocento l’Abruzzo viveva una realtà di grave arretratezza economico-sociale caratterizzata da desolanti condizioni abitative, igienico-sanitarie, miseria e sottoalimentazione, analfabetismo ed ignoranza, cosicché i ceti popolari ricorrevano al sacro e al magico - in quanto l’unica dimensione possibile di sopravvivenza - facendo sì che ciarlatani, guaritori, concia-ossa, empirici, fattucchiere e mammane rappresentassero la terapeutica popolare a danno della medicina ufficiale, unica scienza in grado di guarire, e del medico l’esclusivo depositario di questa capacità.

Contro questa “mala genìa di parassiti” si ricorda quanto affermato dal dr. Carlo Ferranti, nel 1899, in cui sostenne che se l’Ordine dei Medici della provincia di Chieti fosse riuscito a far sparire tale “mala genìa”, avrebbe assai bene meritato tutti gli onori della Società.

Una seconda spiegazione circa l’abbondante fioritura delle confraternite del Monte dei Morti durante la metà del Seicento, più concettuale e meno fattuale, è attribuibile al mito, particolarmente vivo in area abruzzese, del ritorno dei morti nel mondo dei vivi. Tutto ciò era in netto contrasto con la dottrina della Chiesa che, pur non negando un rapporto con il mondo dei morti, vuole che esso sia circoscritto ai suffragi e alle preghiere in genere.

 

Alla luce di questi elementi si può pensare che il Monte dei Morti – in Abruzzo in generale e nell’Arcidiocesi di Chieti in particolare - sia servito alla Chiesa postridentina per diffondere sì la propria concezione sull’Aldilà, normalizzante il culto dei morti, ma, al contempo, per esercitare indirettamente la sua influenza nel governo e amministrazione della regione.

 

 

Riferimenti Bibliografici:

 

Agulhon A., Pénitents et Francs-Maçons de l’ancienne Provence, Fayard, Paris, 1968.

Alberigo G., Breve storia del Concilio Vaticano II. Premessa, Il Mulino, Bologna, 2005 (Universale Paperback, 488), pp. 7-14.

Atti del Convegno internazionale Il movimento dei disciplinati nel settimo centenario dal suo inizio (Perugia 1260), Perugia 25-28 sett. 1960, Deputazione di Storia Patria, (Fonti per la storia dell’Umbria. Appendici al Bollettino, 9), Perugia 1962.

Bertoldi Lenoci L., La sociabilità religiosa pugliese: le confraternite (1500-1900), in «Ricerche di storia sociale e religiosa», XIX, 1990, pp. 213-237.

Black C.F., Italian Confraternities in the Sixteenth Century, Cambridge University Press, Cambridge, 1989, [Trad. it.]: Le confraternite italiane del Cinquecento, Rizzoli, Milano, 1992.

Borzomati P., Le confraternite nel Meridione e la loro incidenza nella Chiesa e nella Società, in M. Mariotti, V. Teti, A. Tripodi (a cura di), Le confraternite religiose in Calabria e nel Mezzogiorno, Deputazione di Storia Patria della Calabria, Centro interdipartimentale di documentazione demo-antropologica dell’Università della Calabria, Mapograf, Vol. 1, 1992.

Brolis M.T., Comunità ospedaliere dell’Italia centro-settentrionale (Sec.XII-XV). Modelli, episodi e protagonisti, in D. Zardin (a cura di) Corpi, fraternità, mestieri nella storia della società europea, Bulzoni, Roma, Quaderni di Cheiron 7, 1998, pp.74-75.

Bucci R., Calamo-Specchia F.P., Grosso L., Spazio, storia, ospedale, in Melino C., Rubino S., Allocca A., Messineo A. (a cura di), L’Ospedale, Società Editrice Universo, Roma, 1994.

Capelli A., Le epidemie di peste in Abruzzo dal 1348 al 1702, Polla Edizioni, Cerchio (AQ), 1993.

Chiffoleau J., Perché cambia la morte nella regione di Avignone alla fine del Medioevo, in «Quaderni Storici», XVII, 1982, p. 454.

Corbin A., Dietro le quinte, in P. Ariès, G. Duby (a cura di), La vita privata. L’Ottocento, Vol. IV, Edizione CDE, Milano, 1989, p. 476.

De Nino A., Usi e costumi abruzzesi, Olschki, Firenze, vol. V, 1963, p. 8.

De Tiberiis G.F., Una ipotesi sulle origini del Sacro Monte, in AA.VV., Saverio Selecchy e il suo celebre Miserere, Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti, Chieti, 2001, pp. 27-29.

Del Vecchio L., La peste del 1656-1657 in Abruzzo. Quadro storico-geografico-statistico, in «Bullettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria», LXVI-LXVIII (1976-1878), pp. 83-138.

Di Nola A.M., Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Boringhieri, Torino, 1976, pp. 4-20.

Felice C., Il disagio di vivere. Il cibo, la casa, le malattie in Abruzzo e Molise dall’Unità al secondo dopoguerra, Franco Angeli, Milano, 1989, p. 120.

Ferranti C., L’Ordine dei medici nella provincia di Chieti, in Istonio, Vasto, 19-20/11/1899.

Ferri T., Introduzione a D. Ciàmpoli, Fra le selve. Novelle abruzzesi, Forni, Bologna, 1981, p. 9.

Gazzini M., Confraternite/Corporazioni: i volti molteplici della schola medievale, in D. Zardin (a cura di) Corpi, Fraternità, mestieri nella storia della società europea, Bulzoni, Roma, 1998,

Grendi E., Le confraternite come fenomeno associativo e religioso, in C. Russo (a cura di), Società, Chiesa e Vita religiosa nell’Ancien Régime, Guida, Napoli, 1976, pp. 115-186.

Henderson J., Piety and charity in late medieval Florence, Oxford, Clarendon Press, 1994, [trad. it.]: Pietà e carità nella Firenze del basso Medioevo, Le Lettere, Firenze, 1998.

Le Bras G., Le Confréries chrétiennes. Problèmes et propositions, in «Revue historique de droit français et étranger», n. 19-20, 1940-41, pp. 311-363 ; [trad. It.] Contributo ad una storia delle Confraternite, in «ID. Studi di sociologia religiosa», Milano, 1969, pp. 179-215.

Meaolo G., I vescovi di Chieti e i loro tempi, Il Nuovo, Vasto, 1996, pp. 195-202.

Monterisi N., Trent’anni di episcopato nel Mezzogiorno (1913-1944): memorie, scritti editi ed inediti, a cura di G. De Rosa, A.V.E. Editrice, Roma, 1981, p. 358.

Muratori L.A., Antiquitates Italicae Medii Aevii, VI, Mediolani, ex Tipografia Societatis Palatinae in Regia Curia, Milano, 1742, diss. LXXV, De piis laicorum confraternitatibus earumque origine, flagellanti bus et sacris missionibus, coll. 449-482 (coll. 449).

Nicolino G., Historia della città di Chieti, Forni Editore, Bologna, ristampa fotomeccanica, 1967.

Paglia V., La morte confortata. Riti della paura e mentalità religiosa a Roma nell’età moderna, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1982, p. 46.

Pasquini P., Visite e relazioni “ad limina” dell’arcivescovo Nicolò Radulovic sullo stato della chiesa teatina, in «Vita diocesana di Chieti e Vasto», XLIX (1976), n. 1, pp. 578-620.

Pazzini A., Storia, tradizioni e leggende nella medicina popolare, Arti Grafiche, Bergamo, 1940, p. 11.

Pullan B., Rich and Poor in Renaissance Venice. The Social Institutions of a Catholic State to 1620, Oxford, Blackwell, 1971, [trad. it] La politica sociale della Repubblica di Venezia, 1500-1620, Il Veltro, Roma, 2 voll., 1982.

Ravizza G., Epigrammi antichi, de’ mezzi tempi moderni pertinenti alla città di Chieti, Grandoniana, Chieti, 1826, p. 50.

Rusconi R., Confraternite, compagnie, devozioni, in G. Chittolini, G. Miccoli (a cura di) Storia d’Italia, Annali IX, La Chiesa ed il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, Einaudi, Torino, 1986, pp. 467-506.

Rusconi R., Tra movimenti religiosi e confraternite in Italia (Dalla fine del XII agli inizi del XV Secolo), in Storia vissuta del popolo cristiano, dir. J. Delumeau [ed. it. a cura di] F. Bolgiani, S.E.I., Torino, 1985, pp. 331-347.

Sani R., Strategie educative e istituzioni scolastiche delle congregazioni e degli ordini religiosi (secoli XVI-XVIII), in G. Gili, M. Lupo, I. Zilli (a cura di), Scuola e società. Le istituzioni scolastiche in Italia dall’età moderna al futuro, ESI, Napoli, 2002.

Shorter E., La tormentata storia del rapporto medico-paziente, Feltrinelli, Milano, 1986, p. 17.

Tanturri A., Episcopato, clero e società a Chieti in età moderna, Tinari Editore, Villamagna (CH), 2004, pp. 161-162.

Trexler R.C., Public life in Renaissance Florence, Academic Press, New York, 1980.

Vicoli L., Cenno storico su l’origine e fondazione del Sacro Monte de’Morti, in ID, Per la passione del Redentore, Del Vecchio, Chieti, 1859, p.9.

Volpe G., Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana. Secoli XI-XIV, G. C. Sansoni Editori, Firenze, 1992, p. 170.

Weissman R.F.E., Ritual Brotherhood in Renaissance Florence, Academic Press, New York, 1982.

Zuccarini M., L’Arciconfraternita del sacro Monte dei Morti di Chieti e la processione del Venerdì Santo nella storia religiosa d’Abruzzo, C. Marchionne, Chieti, 1977, p. 111.

 

Fonti archivistiche:

 

ACAC = Archivio della Curia Arcivescovile di Chieti

ACAC, Busta 414, Fascicolo 7559, Registrum Diversorum 1645-1654, cc. 76 v.

ACAC, Busta 414, Fascicolo 7559, Registrum Diversorum 1645-1654, cc. 77 r.

ACAC, Busta 415, Fascicolo 7558, Registrum Diversorum 1655-1667, c. 223 r.

ACAC, Busta 415, Fascicolo 7558, Registrum Diversorum 1655-1667, cc. 261r., 274r., 280r.

ACAC, Busta 415, Fascicolo 7558, Registrum Diversorum 1655-1667, c. 142 v.

ACAC, Busta 415, Fascicolo 7559, Registrum Diversorum 1667-1698, c. 209 r.

ACAC, Busta 415, Fascicolo 7559, Registrum Diversorum 1667-1698, c. 80 v.

ACAC, Busta 415, Fascicolo 7559, Registrum Diversorum 1667-1698, c. 84 r.v.

ACAC, Busta 416, Fascicolo 7560, Registrum Diversorum 1728-1745, c. 139 v.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.