N. 113 - Maggio 2017
(CXLIV)
Il
conformismo
nella
storia
Il
caso
nazista
e
Adolf
Eichmann
di
Simone
Pisano
Nella
nostra
vita
attraversiamo
varie
fasi,
e in
alcune
di
esse
il
conformismo
è
una
componente
fondamentale.
Durante
l’adolescenza
il
far
parte
del
gruppo
è
l’unica
cosa
che
conta
e
per
farvi
parte
siamo
disposti
a
fare
di
tutto.
Crescendo
quest’esigenza
può
sparire
ma
mai
del
tutto,
nessuno
di
noi
vuole
sentirsi
escluso,
emarginato,
tutti
vogliamo
far
parte
di
qualcosa.
Tutto
questo
può
essere
riassunto
in
una
sola
parola,
conformismo.
Per
conformismo
s’intende
ogni
modalità
di
condotta
che,
per
effetto
di
una
pressione
sociale
esercitata
dalla
collettività,
produce
una
condizione
di
uniformità.
Per
meglio
chiarire
questo
punto
prendiamo
in
considerazione
l’esperimento
del
1956
di
Solomon
Asch,
studioso
del
conformismo
sociale.
Ad
un
gruppo
di
persone
si
chiedeva
di
individuare
tra
tre
linee
di
lunghezza
diversa
quale
corrispondesse
alla
linea
campione.
Il
gruppo
composto
da 4
attori
e
una
vittima,
vedeva
i
primi
rispondere
a
tutte
le
domande
in
modo
palesemente
errato,
per
vedere
le
reazioni
della
vittima.
Il
risultato
è un
veloce
allineamento
della
vittima
al
pensiero
della
maggioranza.
Questo
fenomeno
è
presente
continuamente
nella
nostra
vita
e vi
sono
state
società,
durante
la
nostra
storia,
più
o
meno
conformiste.
Il
caso
sicuramente
più
importante
è
stato
quello
della
Germania
nazista.
La
Germania
che
vede
la
salita
al
potere
di
Adolf
Hitler
è un
paese
messo
in
ginocchio
dalla
disoccupazione
e
dai
debiti
riportati
nella
prima
guerra
mondiale,
il
malcontento
serpeggia
in
tutte
le
classi
sociali
e il
pensiero
politico
di
Hitler
sicuramente
è
molto
condiviso.
Infatti
nel
1932
il
partito
nazionalsocialista
vince
le
elezioni
con
ben
il
37,4%
dei
voti,
una
percentuale
sicuramente
importante
ma
che
non
rappresenta
la
totalità
del
popolo
tedesco.
Eppure
dopo
la
salita
al
potere
del
partito
nazista,
Adolf
Hitler
governerà
senza
particolari
opposizioni,
la
Germania
non
conoscerà
il
fenomeno
della
resistenza,
così
come
invece
è
avvenuto
in
Italia.
Perché
la
nazione
tedesca
non
si
oppone
alle
leggi
di
Norimberga
del
1935?
Perché
i
tedeschi
tacciono
e
anzi
collaborano
con
il
partito
che
diventa
l’artefice
di
uno
dei
più
grandi
genocidi
della
storia
dell’umanità.
Ecco
sono
queste
le
domande
alle
quali
cercheremo
di
dare
una
risposta
e
magari
di
trovare
un
antidoto
a
tale
fenomeno,
basandoci
su
esperimenti
condotti
da
vari
psicologi
nel
corso
del
Novecento
e
prendendo
come
punto
di
riferimento
il
caso
Eichmann.
Adolf
Eichmann
è
senza
dubbio
il
caso
più
eclatante
del
conformismo
durante
il
nazismo.
Eichmann
nasce
nel
1906
in
un
piccola
cittadina
della
Renania,
primo
di 6
fratelli,
in
tenera
età
perde
la
madre,
il
padre
è un
impiegato
di
una
compagnia
elettrica.
Adolf
viene
indirizzato
agli
studi
dal
padre,
ma
il
giovane non
eccelle
a
scuola,
anzi
non
riesce
nemmeno
a
diplomarsi,
sarà
sempre
il
padre
a
trovargli
un
lavoro
in
una
compagnia
petrolifera.
Eichmann
non
si
interessa
di
politica,
eppure
nel
1932
su
pressione
di
un
suo
amico avvocato
si
iscrive
al
partito
nazista.
Eichmann
non
ha
letto
il
Mein
Kampf,
non
è un
nazista
fanatico,
è un
uomo
“normale”.
A
quest’uomo
normale
nel
1938
viene
affidato
il
compito
di
organizzare
l’espulsione
forzata
degli
ebrei
dall’Austria,
è la
sua
prima
occasione
per
farsi
notare
nel
partito
e
infatti
il
suo
lavoro
è
eccellente,
è un
burocrate
eccezionale,
riesce
a
creare
una
vera
e
propria
catena
di
montaggio,
racchiude
in
un
solo
edificio
il
fisco,
la
polizia,
la
comunità
ebraica
e il
ministero
delle
finanze. A
un
capo
s’infila
un
ebreo
che
possiede
ancora qualcosa,
una
fabbrica,
un
negozio,
un
conto
in
banca,
e
questo
percorre
l’edificio
da
uno
sportello
all’altro,
da
un ufficio
all’altro,
e
sbuca
all’altro
capo
senza
un
soldo,
senza
più
nessun
diritto,
solamente
con
un
passaporto
in
cui
si
dice: «Devi
lasciare
il
paese
entro
quindici
giorni,
altrimenti
finirai
in
un
campo
di
concentramento».
Dopo
questo
incarico,
svolto
in
maniera
così
efficace,
Eichmann
diventa
l’organizzatore
delle
deportazione
degli
ebrei
nei
campi
di
concentramento.
Possiamo
quindi
affermare
che
diventa
l’artefice
della
morte
di
milioni
di
ebrei,
ma
questo
non
è il
suo
punto
di
vista.
Nel
1960
il
gerarca
viene
catturato
in
Argentina
e
l’anno
successivo
inizia
il
processo
di
Gerusalemme
ed è
qui
che
Eichmann
mette
in
gioco
una
difesa
che
possiamo
definire
disarmante.
Afferma
di
non
aver
fatto
assolutamente
nulla:
«in
vita
mia
non
ho
mai
ucciso
un
ebreo
[...]
io
ho
soltanto
obbedito
agli
ordini».
Ed è
effettivamente
vero,
Eichmann
non
ha
mai
usato
la
sua
coscienza,
come
afferma
Hannah
Arendt,
ha
fatto
soltanto
quello
che
gli
era
stato
ordinato.
Ora,
senza
addentrarci
nella
riflessione
della
filosofa
tedesca,
che
sottolinea
la
banalità
del
male
del
burocrate,
riflettiamo
sul
conformismo
del
gerarca
nazista.
Egli
ha
“ucciso”
solo
perché
gli
era
stato
ordinato,
possiamo
quindi
uccidere
solo
perché
siamo
soggetti
ad
un
imposizione
dall’alto?
Ecco,
è di
questo
che
Stanley
Milgram,
psicologo
statunitense,
si
occupa:
l’obbedienza
ad
un’autorità.
Il
suo
esperimento
è
semplice:
vi
sono
un
allievo,
complice
dello
sperimentatore,
e
una
vittima.
La
vittima
deve
porre
delle
semplici
domande
all’allievo
e,
in
caso
di
risposta
sbagliata,
il
suo
compito
era
quello
di
impartirgli
una
scossa
elettrica
di
entità
crescente,
partendo
da
intensità
molto
basse
fino
ad
arrivare
a
dosi
chiaramente
mortali
(da
30
Volt
fino
ad
un
massimo
di
400
Volt).
Le
vittime
con
il
procedere
dell’esperimento
comprendevano
che
le
scosse
da
loro
impartite
avrebbero
potuto
essere
letali
per
chi
li
avrebbe
ricevute
e
nella
maggior
parte
dei
casi
cercarono
di
tirarsi
indietro
dal
ruolo
che
gli
era
stato
assegnato.
Ed è
in
questo
momento
che
entrava
in
scena
lo
sperimentatore,
che
vestito
con
un
camice
da
laboratorio
bianco,
per
incutere
riverenza
e
timore
nella
vittima,
invitava
questa a
continuare
l’esperimento,
con
delle
frasi
ben
precise:
«è
assolutamente
essenziale
che
tu
continui
è
[...]
l’esperimento
richiede
che
tu
continui»
e
«non
hai
altra
scelta
devi
andare
avanti».
I
risultati
ottenuti
da
Milgram
sono
inquietanti,
ben
il
65%
dei
soggetti
analizzati
uccise.
Uccisero
solo
perché
davanti
a
loro
vi
era
un’autorità
che
li
spronava
a
farlo,
eseguivano
quindi degli
ordini.
Vediamo
quindi
che
purtroppo
Eichmann
non
era
un
eccezione
alla
regola.
Siamo
quindi
condannati
a
diventare
dei
carnefici?
Non
abbiamo
nessuna
possibilità
di
opporci
ad
una
maggioranza?
Sì,
invece
possiamo
farlo,
possiamo
anche
se
siamo
in
una
ristretta
minoranza,
l’unico
accorgimento
è
quello
di
essere
compatti,
uniti.
Ed è
questo
che
ha
dimostrato
nel
1969
l’ultimo
psicologo
di
cui
ci
serviremo,
Serge
Moscovici,
con
l’esperimento
sull’influenza
minoritaria.
Moscovici
fa
un
esperimento
simile
a
quello
di
Asch,
ma
invertito,
dove
i
collaboratori
sono
in
inferiorità
numerica
rispetto
alle
vittime
(2
collaboratori
e 4
vittime).
Il
test
è
basato
sulla
percezione
dei
colori,
il
verde
e il
blu.
Vengono
sottoposte
al
gruppo
ben
36
diapositive
ma
tutte
di
varie
tonalità
di
blu,
i
due
collaboratori
però
rispondo
sempre
di
percepire
il
colore
verde.
Il
comportamento
di
questa
minoranza
riesce
ad
influenzare
una
piccola
parte
della
maggioranza,
quindi
anche
la
minoranza
può
influenzare
la
maggioranza,
ma
per
farlo
non
deve
tentennare
sulle
sue
posizioni.
L’antidoto
al
conformismo
sicuramente
non
esiste,
ma
l’influenza
minoritaria
è
sicuramente
ciò
che
più
gli
si
avvicina,
dobbiamo
quindi
sempre
usare
la
nostra
coscienza
e
ricordare
come
diceva
Bertrand
Russel
che
«Il
fatto
che
un’opinione sia
ampiamente
condivisa,
non
è
affatto
una
prova
che
non
sia
completamente
assurda».