FUOCHI DI GUERRA E PROIETTILI
AVVELENATI
SUL CONFLITTO IN UCRAINA
di Riccardo De Cristofano
L’invasione russa dell’Ucraina ha
riportato l’attenzione, con una
forza che probabilmente gli
spettatori occidentali non sentivano
tanto dirompente dagli attentati
alle Torri Gemelle e le successive
guerre in Iraq e Afghanistan, sulle
devastazioni e lo sconsiderato
spreco di vite dei moderni conflitti
armati.
Dopo un anno di guerra
russo-ucraina, ci si è già purtroppo
abituati a continue immagini di
immensi crateri causati da colpi di
artiglieria, intere città bruciate e
rase al suolo, carri armati
incendiati, convogli sterminati,
civili in fuga e fosse comuni. Ogni
fotogramma come una lapide a
testimoniare una vita perduta.
Ma la capacità distruttrice della
guerra è molto più insidiosa e
durevole di quanto possa apparire
nell’immediatezza delle immagini di
repertorio: anzi, proprio il caso
ucraino ci minaccia costantemente
con lo spettro di una catastrofe
alimentare, per una proporzione
sempre crescente delle fertilissime
«terre nere» ucraine trasformate in
trincee, terreni di scontro bruciati
dal fuoco chimico degli esplosivi,
cosparse di detriti, proiettili
inesplosi e mine, senza considerare
il costante ricatto
dell’embargosulle esportazioni
cerealicole operato dalla Russia,
con i rifornimenti destinati ad un
gran numero di paesi, soprattutto
nordafricani e mediorientali
bloccati nei porti.
I
campi non vengono resi improduttivi
soltanto dalla devastazione diretta
risultante dai combattimenti: questi
si lasciano indietro scorie
altamente nocive, con un potenziale
venefico non indifferente. La
chimica ha sempre fatto parte del
moderno modo di guerreggiare, dalla
scienza metallurgica, all’invenzione
della polvere da sparo e degli
esplosivi, ai vari tipi di gas
nervini e tossici introdotti nella
Prima Guerra Mondiale, fino ad
arrivare all’atomica e all’Agente
Arancio.
E
i risultati dalla natura più
indiretta o involontaria possono
essere più infidi: dall’impegno
soprattutto americano in Iraq e
Afghanistan, numerosi studi si sono
concentrati sull’inquinamento e la
pericolosità per combattenti e
civili di armi sì sempre più
sofisticate, ma che portano con sé
esternalità negative crescenti.
In prima battuta, come anche per
l’Ucraina, si registrò nella Seconda
Guerra del Golfo un aumento
significativo dell’inquinamento
atmosferico per gas serra e sostanze
nocive per l’apparato respiratorio,
sia per l’enorme dispendio di
combustibili fossili ad opera dei
mezzi da combattimento, sia per
l’incenerimento dei prodotti di
scarto dei grandi accampamenti della
coalizione, certamente non sempre in
maniera ecologicamente accorta.
Infatti, soltanto per i più grandi
di questi accampamenti fu possibile,
anche con riguardo ad una certa
economicità della questione,
implementare degli inceneritori,
mentre negli altri casi gli scarti,
rifiuti dalla tossicità e
pericolosità variabile, venivano
trattati alla buona, spesso
bruciandoli in fosse aperte.
Aggiungendo a queste considerazioni
l’inquinamento più strettamente
derivante dai combattimenti,
dall’esplosione e l’incenerimento di
mezzi, strutture e edifici, si può
tracciare un quadro che alla
tragedia della morte di massa delle
guerre aggiunge un peso ulteriore
che grava a tutti coloro
sopravvivano a queste tragedie.
Nel corso di questo particolare
conflitto, grande attenzione è stata
posta sui mezzi pesanti, come
carrarmati, IFV (Infantry
Fighting Vehicles cioè mezzi da
combattimento da fanteria) e APC (Armoured
Personnel Carriers cioè mezzi
corazzati da trasporto truppe), la
cui corazzatura è spesso formata da
particolari leghe metalliche o
materiali compositi che mescolano
minerali e sostanze ceramiche o
plastiche, e alle volte uranio
esaurito (DU da depleted uranium),
per la sua particolare durezza. E
questo è il caso di alcuni dei carri
armati più avanzati e moderni visti
in azione, come ad esempio il russo
T-90M. Non solo, corazzature tanto
pesanti e composite richiedono, per
essere neutralizzate, l’impiego di
proiettili anticarro APFSDS (Armour-Percing
Fin-Stabilized Discarding Sabot
o anche Penetratori Cinetici), il
cui nucleo consiste nella stragrande
maggioranza dei casi in lunghi dardi
metallici con una punta in tungsteno
o, appunto, DU.
L’impatto di questi proiettili
cinetici produce non solo
un’esplosione di schegge
incandescenti all’interno
dell’eventuale bersaglio corazzato,
e tutto attorno ad esso, ma anche un
pericoloso aerosol contenente oltre
ai metalli pesanti più “comuni”
della corazzatura, anche DU: la
pericolosità di questo aerosol, nel
caso in cui già l’impatto del
proiettile non sia stato fatale, è
stata misurata sui carristi e in
test controllati, e si può stimare
con una certa confidenza come esso
sia un ulteriore fattore di
inquinamento per il terreno di
scontro.
Quindi, oltre all’inquinamento da
metalli pesanti che si registra
normalmente nei terreni e nelle
acque delle zone di conflitto, vi è
da considerare, nel caso di impiego
in larga scala di mezzi corazzati,
l’inquinamento da uranio che ne può
derivare. E ciò vale ancor di più
per un conflitto in cui numerose
sono le testimonianze visive di
civili che si sono trovati a
interagire con mezzi più o meno
funzionanti lasciati dietro dai
combattenti, fonte di potenziale
avvelenamento.
Quando si tratta di guerra,
preoccupazioni umanitarie,
ambientali e sanitarie passano in
secondo piano: la grande macchina
bellica non si preoccupa di rovinare
l’esistenza di centinaia di migliaia
di persone, di mietere vittime
civili in numeri incommensurabili,
di annientare il patrimonio
faunistico di un territorio o di
comprometterne la vegetazione e la
capacità agricola.
Spesso si è paventato il rischio di
un disastro nucleare, fosse a
Zaporižžja o a Černobyl’: ma
pericoli indiretti per la salute dei
cittadini ucraini, o di qualsiasi
conflitto, che possano produrre i
loro effetti in periodi lunghi
decenni, sono spesso più
evanescenti, e possono derivare
dalla polvere che si posa quando i
cannoni smettono di intonare il loro
lugubre canto.
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