[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

183 / MARZO 2023 (CCXIV)


attualità

FUOCHI DI GUERRA E PROIETTILI AVVELENATI

SUL CONFLITTO IN UCRAINA

di Riccardo De Cristofano

 

L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato l’attenzione, con una forza che probabilmente gli spettatori occidentali non sentivano tanto dirompente dagli attentati alle Torri Gemelle e le successive guerre in Iraq e Afghanistan, sulle devastazioni e lo sconsiderato spreco di vite dei moderni conflitti armati.

 

Dopo un anno di guerra russo-ucraina, ci si è già purtroppo abituati a continue immagini di immensi crateri causati da colpi di artiglieria, intere città bruciate e rase al suolo, carri armati incendiati, convogli sterminati, civili in fuga e fosse comuni. Ogni fotogramma come una lapide a testimoniare una vita perduta.

 

Ma la capacità distruttrice della guerra è molto più insidiosa e durevole di quanto possa apparire nell’immediatezza delle immagini di repertorio: anzi, proprio il caso ucraino ci minaccia costantemente con lo spettro di una catastrofe alimentare, per una proporzione sempre crescente delle fertilissime «terre nere» ucraine trasformate in trincee, terreni di scontro bruciati dal fuoco chimico degli esplosivi, cosparse di detriti, proiettili inesplosi e mine, senza considerare il costante ricatto dell’embargosulle esportazioni cerealicole operato dalla Russia, con i rifornimenti destinati ad un gran numero di paesi, soprattutto nordafricani e mediorientali bloccati nei porti.

 

I campi non vengono resi improduttivi soltanto dalla devastazione diretta risultante dai combattimenti: questi si lasciano indietro scorie altamente nocive, con un potenziale venefico non indifferente. La chimica ha sempre fatto parte del moderno modo di guerreggiare, dalla scienza metallurgica, all’invenzione della polvere da sparo e degli esplosivi, ai vari tipi di gas nervini e tossici introdotti nella Prima Guerra Mondiale, fino ad arrivare all’atomica e all’Agente Arancio. E i risultati dalla natura più indiretta o involontaria possono essere più infidi: dall’impegno soprattutto americano in Iraq e Afghanistan, numerosi studi si sono concentrati sull’inquinamento e la pericolosità per combattenti e civili di armi sì sempre più sofisticate, ma che portano con sé esternalità negative crescenti.

 

In prima battuta, come anche per l’Ucraina, si registrò nella Seconda Guerra del Golfo un aumento significativo dell’inquinamento atmosferico per gas serra e sostanze nocive per l’apparato respiratorio, sia per l’enorme dispendio di combustibili fossili ad opera dei mezzi da combattimento, sia per l’incenerimento dei prodotti di scarto dei grandi accampamenti della coalizione, certamente non sempre in maniera ecologicamente accorta. Infatti, soltanto per i più grandi di questi accampamenti fu possibile, anche con riguardo ad una certa economicità della questione, implementare degli inceneritori, mentre negli altri casi gli scarti, rifiuti dalla tossicità e pericolosità variabile, venivano trattati alla buona, spesso bruciandoli in fosse aperte.

 

Aggiungendo a queste considerazioni l’inquinamento più strettamente derivante dai combattimenti, dall’esplosione e l’incenerimento di mezzi, strutture e edifici, si può tracciare un quadro che alla tragedia della morte di massa delle guerre aggiunge un peso ulteriore che grava a tutti coloro sopravvivano a queste tragedie.

 

Nel corso di questo particolare conflitto, grande attenzione è stata posta sui mezzi pesanti, come carrarmati, IFV (Infantry Fighting Vehicles cioè mezzi da combattimento da fanteria) e APC (Armoured Personnel Carriers cioè mezzi corazzati da trasporto truppe), la cui corazzatura è spesso formata da particolari leghe metalliche o materiali compositi che mescolano minerali e sostanze ceramiche o plastiche, e alle volte uranio esaurito (DU da depleted uranium), per la sua particolare durezza. E questo è il caso di alcuni dei carri armati più avanzati e moderni visti in azione, come ad esempio il russo T-90M. Non solo, corazzature tanto pesanti e composite richiedono, per essere neutralizzate, l’impiego di proiettili anticarro APFSDS (Armour-Percing Fin-Stabilized Discarding Sabot o anche Penetratori Cinetici), il cui nucleo consiste nella stragrande maggioranza dei casi in lunghi dardi metallici con una punta in tungsteno o, appunto, DU.

 

L’impatto di questi proiettili cinetici produce non solo un’esplosione di schegge incandescenti all’interno dell’eventuale bersaglio corazzato, e tutto attorno ad esso, ma anche un pericoloso aerosol contenente oltre ai metalli pesanti più “comuni” della corazzatura, anche DU: la pericolosità di questo aerosol, nel caso in cui già l’impatto del proiettile non sia stato fatale, è stata misurata sui carristi e in test controllati, e si può stimare con una certa confidenza come esso sia un ulteriore fattore di inquinamento per il terreno di scontro.

 

Quindi, oltre all’inquinamento da metalli pesanti che si registra normalmente nei terreni e nelle acque delle zone di conflitto, vi è da considerare, nel caso di impiego in larga scala di mezzi corazzati, l’inquinamento da uranio che ne può derivare. E ciò vale ancor di più per un conflitto in cui numerose sono le testimonianze visive di civili che si sono trovati a interagire con mezzi più o meno funzionanti lasciati dietro dai combattenti, fonte di potenziale avvelenamento.

 

Quando si tratta di guerra, preoccupazioni umanitarie, ambientali e sanitarie passano in secondo piano: la grande macchina bellica non si preoccupa di rovinare l’esistenza di centinaia di migliaia di persone, di mietere vittime civili in numeri incommensurabili, di annientare il patrimonio faunistico di un territorio o di comprometterne la vegetazione e la capacità agricola.

 

Spesso si è paventato il rischio di un disastro nucleare, fosse a Zaporižžja o a Černobyl’: ma pericoli indiretti per la salute dei cittadini ucraini, o di qualsiasi conflitto, che possano produrre i loro effetti in periodi lunghi decenni, sono spesso più evanescenti, e possono derivare dalla polvere che si posa quando i cannoni smettono di intonare il loro lugubre canto.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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ROBERT A. FRANCIS, The Impacts of Modern Warfare on Freshwater Ecosystems, in “Environmental Management”, Springer, Vol. 48, 2011, pp. 985-999.

Anatoly V. Skalny et al., Environmental and health hazards of military metal pollution, in “Environmental Research”, Elsevier, vol. 201, 2021.

MAURO CRISTALDI et al., Toxic Emissions from a Military Test Site in the territory of Sardinia, Italy, in “International Journal of Environmental Research and Public Health”, MDPI, vol. 10, 2013, pp. 1631-1646.

PAULO PEREIRA et al., Russian-Ukrainian war impacts the total environment, in “Science of the Total Environment”, Elsevier, vol. 837, 2022.

CHENGXIN ZHANG et al., Satellite spectroscopy reveals the atmospheric consequences of the 2022 Russia-Ukraine war, in “Science of the Total Environment”, Elsevier, vol. 869, 2023.

DEJAN GUREŠIĆ et al., Impact of Depleted Uranium Weapons Use on the Quality of the Environment in Kosovo, in “Quality of Life”, Apeiron, Vol. 5, no. 1, 2013, pp. 27-31.

DAN FAHEY, The Use od Depleted Uranium in the 2003 Iraq War: An Initial Assessment of Information and Policies, 2003.

NIKOLA MANEV et ELENIOR NIKOLOV, Lethality of contemporary Russian APFSDS rounds against NATO’s Main Battle Tanks, in “Contemporary Macedonian Defense”, 2022.

S. HARARI et I. ANNESI-MAESANO, The war in Ukraine is an environmental catastrophe, submitted for publication on 9th November 2022.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]