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N. 9 - Settembre 2008 (XL)

IL CONFLITTO SEGRETO IN LAOS
LA GUERRA CHE NON C'è STATA

di Paolo  Piazzardi

 

Della guerra in Vietnam, il più grande conflitto 'mediatico’del XX secolo, si può dire che si sa tutto. Comunque venga consegnato alla storia, certe sue immagini - la bimba in fuga dalle fiamme del napalm, lo sciame di  elicotteri in 'Apocalypse now ‘al suono della Cavalcata delle Valchirie di Wagner - resteranno in noi, per sempre. Ma della guerra segreta in Laos, il piccolo, arcaico paese 'della porta accanto’che col Vietnam divideva  un passaggio vitale  per i rifornimenti ai Vietcong ( il famoso 'sentiero di Ho Chi Minh’) non si sa quasi nulla.

 

Assordante il silenzio della stampa su quella pagina di storia, stizzite le reazioni dei vertici militari statunitensi”guerra segreta in Laos? L'unica battaglia che si e’combattuta e’stata contro la fame, con gli aiuti umanitari!”Questo sipario, calato subito dopo il ritiro americano dal Laos nel 1975, si è rialzato col  film-inchiesta del regista tedesco Marc Eberle”The most secret place on earth, the CIA's Covert War in Laos", storia delle operazioni clandestine della Cia in Laos dal 1964 al 1973  presentato in anteprima al Circolo della Stampa Estera di Bangkok.

 

Un film che non fa sconti, dalle immagini subito forti: una panoramica della 'piana delle giare', dove si trovano i grandi sarcofagi di pietra di duemila anni fa: un patrimonio dell'umanita', trasformato dalle bombe dei  B52 in crateri di un desolato paesaggio lunare.

 

Fanno da contrappunto i bambini di un villaggio, che si arrampicano sui  gusci di proiettili, grandi il

doppio di loro, allineati come in una palizzata. L’operatore inquadra poi una donna, vestita dei colori della sua  tribu', che  chiede tra le lacrime: “perche’sono venuti ? cosa avevamo fatto ?”La risposta e’nel vento, come nella canzone di Bob Dylan 'blowin’with the wind'.

 

Ora parla Fred Branfman, l’autore di Voci dalla piana delle giare ( Marsilio editore), al tempo  giornalista fuori dal coro di una stampa afona: “avevo il compito di raccontare i fatti del Laos, ma il contesto non era chiaro neppure a me: se di guerra, di pace, di riso, o di oppio”in pratica le 'operazioni collaterali’in margine alla guerra del Vietnam.

 

Il paradosso è che neppure l’America sapeva: le decisioni 'top secret’ erano prese fuori dal Congresso, per non turbare gli equilibri con l'Unione Sovietica. Si inaugura in Laos Air America, linea aerea creata per 'trasporti di varia natura '. Il depliant “Air America:anything, anytime, anywhere”e’pieno di promesse: ancor di piu’lo sono le graziose hostess laotiane, in uniforme da Barbarella, il film di Jane Fonda. Il successo è immediato, i voli sempre pieni: di profughi, di viveri, 'di signori della guerra', di trafficanti d’armi ed oppio.

 

Anni dopo, nel 1990, l’omonimo film Air America, con Mel Gibson nel ruolo di pilota mercenario, avrebbe aperto uno spiraglio su quel che accadde. Ma la pellicola era lontana dal 'cinema-verita’: voli acrobatici, errori cronologici (storia da anni '60 con musiche da meta’'70) e il tono generale semiserio non consentiva una  presa di coscienza. Solo in un dialogo”Come diavolo vuoi che ricordi quel che avevi detto ? Non c'e’stata nessuna conversazione. Noi non siamo in questo posto, non figuriamo !”la realta’viene fotografata.

 

Nella giungla di una valle disabitata, che le mappe si guardavano bene dal segnalare, vi era Long Chen, l’aeroporto segreto. La pista d'atterraggio, un'autentica sfida alla natura, oggi e’un intrico di sterpi. Gli scheletri degli edifici mostrati dal film erano il quartier generale. Da qui gli aerei decollavano per le loro missioni alterne: lanci di viveri per i villaggi della tribu’amica dei Hmong o  bombe per i guerriglieri filocomunisti del Patet Lao. Sui loro villaggi  caddero oltre due milioni di tonnellate di esplosivo, piu’dei bombardamenti d’Europa e Pacifico nella seconda guerra mondiale.

 

Con quelle bombe una parte del paese regredi’all'età della pietra – è il  commento della voce fuori campo - a migliaia si contarono le vittime dell'agente chimico 'orange'. È il momento delle interviste a coloro che pianificarono le operazioni, reclutati  tra i migliori 'cervelli’: esperti di studi strategici, docenti universitari, ufficiali dell'esercito, mercenari.”Eravamo una squadra di professionisti che veniva dai centri d'eccellenza degli Stati Uniti, uomini 'ad hoc', per azioni speciali”sottolinea James Lilley, operativo in Laos dal '65 al '67. Curricula  eclatanti che danno  risposte  surreali, verrebbe da dire dopo aver ascoltato  Eli Chavez, capo missione “Quelle in Laos furono, in ultima analisi, operazioni di successo. Se l’obiettivo militare era di contrastare i rifornimenti al Vietnam del Nord, è l caso di dire ‘missione compiuta'.” E di Tony Poe - incalza l'intervistatore  -  il sadico 'ras di Long Chen’che ispirò il Marlon Brando di 'Apocalypse now', che ricordo avete ? - Beh, Tony era Tony - abbozza un sorriso Vint Lawrence,ufficiale di stanza a Long Cheng - era fatto a modo suo, aveva la mania di collezionare le orecchie dei vinti. Pero’che fegato, che combattente !”

 

Tenta l‘analisi politica Alfred McCoy, ordinario di storia  dell'Universita’di Madison, nel Winsconsin, in Laos con compiti istituzionali: “volevamo esportare la democrazia, con libere elezioni. Ma in quel paese la democrazia  aveva un significato diverso". Sono parole che valgono per i teatri di guerra d'oggi. Una dichiarazione  di impotenza che ripropone l'eterno dilemma degli uomini di cultura  di fronte  alla guerra: o l'isolamento nella torre d'avorio, o un’adesione funesta, che rifiuta di chiamare le cose col loro vero nome.

 

Il film si conclude qui. Del resto andare oltre sarebbe come mettere in scena uno spettacolo dal finale scontato. E poi le devastazioni, l'orrore, i morti  non si concilierebbero con un conflitto mai avvenuto, come sostengono con forza coloro che vi hanno preso parte.

 

L'unica testimonianza è nei colori del disegno di un piccolo laotiano: il nero dell'aereo, il giallo delle esplosioni, il rosso del sangue, il verde della giungla. Lo conserva Branfman, insieme ad altri. ”Sono tutto quello che resta di una guerra 'che non c'e stata’”.

Ci ha provato Eberle a raccontarla.

 

 

 

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