N. 80 - Agosto 2014
(CXI)
HAMAS
note
a
margine
sul
conflitto
a
gaza
di
Filippo
Petrocelli
Sulla
stampa
mondiale
l’operazione
Protective
Edge
è
presentata
come
una
guerra
contro
Hamas.
Gli
attacchi
a
Gaza
sono
giustificati
da
Israele
come
una
grande
operazione
contro
il
terrorismo,
a
difesa
degli
interessi
vitali
dello
stato
ebraico.
Al
di
là
della
retorica
insomma,
Hamas
viene
dipinto
dal
governo
di
Tel
Aviv
come
il
nemico
pubblico
numero
uno,
il
pericolo
incombente,
nient’altro
che
un
gruppo
di
sadici
terroristi
sanguinari.
Tuttavia
poco
conosciuta
è la
storia
di
Hamas,
la
sua
genesi,
nonché
modi
e
metodi
della
sua
affermazione.
Molto
spesso
sono
nascosti
passaggi
importanti
della
storia
recente
che
hanno
favorito
e
determinato
l’affermazione
di
questo
movimento
in
Palestina.
Su
tutti
viene
spesso
dimenticato
che
allo
scopo
di
indebolire
la
resistenza
palestinese
degli
anni
Settanta
–
largamente
egemonizzata
da
forze
di
sinistra,
nazionaliste
e
laiche
–
Israele
ha
favorito
direttamente
il
diffondersi
di
un
attivismo
islamico,
fino
a
quel
momento
molto
minoritario
in
ambito
palestinese.
Per
indebolire
i
suoi
nemici
giurati
dell’epoca,
ovvero
i
fedayn
di
Fatah,
del
FPLP
e
delle
fazioni
“laiche”
e di
sinistra,
Israele
ha
concesso
più
facilmente
l’apertura
di
sedi,
associazioni
e
luoghi
di
culto
a
carattere
islamico.
Queste
associazioni
– ma
anche
ospedali,
scuole,
centri
culturali
e di
svago
–
sono
state
il
grimaldello
con
il
quale
Hamas
è
riuscito
a
radicarsi
in
un
paese
dove
non
esistendo
uno
stato
bensì
solo
una
fragile
“autorità
nazionale”,
i
servizi
sociali
sono
“offerti”
dai
privati
oppure
dalle
associazioni
internazionali.
In
secondo
luogo
ci
si
dimentica
che
Hamas
gode
di
un
discreto
seguito
popolare.
Nel
2006,
le
prime
e
uniche
elezioni
politiche
palestinesi,
si
sono
concluse
proprio
con
la
vittoria
di
questo
partito
islamico,
che
ha
avuto
anche
il
merito
di
gestire
in
maniera
trasparente
le
attività
sociali
a
esso
collegate
e
gli
enti
caritevoli
vicini
al
movimento,
al
punto
da
guadagnarsi
fama
di
“buon
amministratore”.
Un
movimento
insomma
sospeso
fra
welfare
e
resistenza,
che
ha
costruito
il
suo
successo
sia
attraverso
lo
scontro
con
l’occupante
israeliano,
sia
con
la
costruzione
di
un
forte
contropotere
di
natura
sociale,
al
punto
da
diventare
un
partito
di
massa
già
prima
del
2006.
Non
solo,
la
leadership
di
Hamas
ha
sempre
mostrato
una
certa
sobrietà,
lontana
dagli
eccessi
di
alcuni
esponenti
del
movimento
palestinese,
soprattutto
negli
anni
di
Beirut.
In
larga
parte
–
esclusa
la
leadership
dell’esilio
che
ora
è in
Qatar
– la
dirigenza
di
Hamas
vive
ancora
nei
campi
profughi,
spesso
in
modeste
abitazioni
e
patisce
le
stesse
difficoltà
degli
abitanti
della
Striscia
di
Gaza
e
della
Cisgiodania.
LA
NASCITA
DI
HAMAS
Sull’onda
dello
scoppio
della
prima
Intifada,
Hamas
nasce
il 9
dicembre
1987
dalla
sessione
palestinese
della
Fratellanza
Musulmana,
con
lo
scopo
specifico
di
combattere
l’occupante
israeliano.
Si
muove
in
autonomia
e
spesso
in
contrasto
con
la
linea
ufficiale
del
movimento
“madre”,
anzi
Hamas
è
ispirata
dall’azione
dei
Fratelli
– ma
suo
modo
se
ne
distacca
–
forte
della
specificità
palestinese.
Viene
fondata
in
una
riunione
a
casa
di
shaykh
Yassin,
alla
presenza
della
vecchia
guardia
della
Fratellanza
come
Mohammed
Shama’a
e
Ibrahim
al-Yazouri
e di
un
gruppo
di
giovani
attivisti
come
Salah
Shehadeh,
Abdel
Aziz
al-Rantisi
e
Isa
al-Nashar,
che
si
sono
formati
nelle
università
degli
anni
Ottanta,
palestra
di
militanza
per
questi
giovani
dirigenti.
Infatti
proprio
in
quegli
anni
negli
atenei
di
Gaza
e
della
Cisgiordania,
i
militanti
di
Hamas
hanno
per
la
prima
volta
sconfitto
il
“fronte
laico”,
vincendo
le
elezioni
studentesche
e
anticipando
metaforicamente
il
grande
consenso
popolare
del
quale
il
movimento
ha
goduto
all’inizio
del
Duemila.
Sono
tutti
profughi
i
fondatori
di
questo
partito
e
ciò
spiega
la
particolare
“durezza”
delle
loro
idee:
in
larga
parte
coltivano
ancora
il
sogno
di
tornare
nei
loro
villaggi
del
1948,
diventati
oggi
Israele.
Hamas,
acronimo
di
Harakat
al-Muqawwama
al-Islamiyya,
ovvero
“Movimento
di
resistenza
islamico”
è
strutturato
in
un
modo
particolare.
Sebbene
il
movimento
dia
al
suo
esterno
un’immagine
granitica,
in
realtà,
il
processo
decisionale
è
orizzontale
e il
partito
è
diviso
in
quattro
entità
in
costante
rapporto
dialettico
fra
loro:
Gaza,
la
Cisgiordania,
l’esilio
e le
carceri.
Inoltre
è
presente
una
sorta
di
consiglio
chiamato
Majlis
as-shura,
che
elegge
un
Ufficio
Politico
ristretto.
L’ala
militare
del
movimento
invece,
le
Brigate
Izz
al-Din
al-Qassam,
fondate
nel
1992,
agiscono
in
piena
autonomia
e
non
rispondono
direttamente
del
loro
operato
all’ala
politica.
Fanno
parte
dell’organizzazione
anche
cristiani
e un
discreto
numero
di
donne
tanto
che
nel
governo
post-elettorale
del
2006
c’era
il
più
alto
numero
di
esponenti
femminili
di
qualsiasi
esecutivo
palestinese
e
del
mondo
arabo.
Altra
questione
troppo
spesso
dimenticato
è
che
la
leadership
di
Hamas
ha
subito
pesanti
attacchi
da
parte
israeliana.
Shaykh
Yassin,
leader
spirituale
del
movimento,
paraplegico
e
cieco,
è
stato
ucciso
da
un
razzo
dell’esercito
israeliano,
assieme
a
suo
figlio
e a
cinque
membri
della
famiglia
nel
2004.
Al
suo
successore
Abd
al-Aziz
al-Rantisi,
nello
stesso
anno,
è
toccata
la
medesima
sorte.
Così
come
anni
prima,
vittime
di
omicidio
mirato
sono
stati:
Salah
Shahada,
leader
dell’ala
militare
del
movimento,
ucciso
insieme
alla
moglie
e
tre
figli,
e
Yahya
Ayyash,
conosciuto
con
il
nome
di
“ingegnere
bomba”,
per
la
maestria
nel
costruire
esplosivi.
Tuttavia
l’accusa
che
più
spesso
Israele
indirizza
a
Hamas
è
proprio
quella
di
essere
un’organizzazione
terroristica.
Ma
il
primo
attentato
di
Hamas
avviene
nella
primavera
del
1994
–
ben
sette
anni
dopo
la
sua
nascita
– ed
è
una
risposta
dell’attentato
effettuato
il
25
febbraio
a
Hebron
da
Baruch
Goldstein,
un
colono
estremista
di
religione
ebraica
che
uccide
in
un
venerdì
di
Ramadan,
ventinove
persone
in
una
moschea
affollata.
Sebbene
nel
Mithaq,
ovvero
nella
Carta
fondativa
del
movimento
scritta
nel
1988,
si
parli
in
tono
zelante
della
distruzione
di
Israele,
appare
evidente
che
questo
documento
abbia
perso
di
importanza
in
termini
di
“orizzonte
politico”.
Molto
più
interessanti
si
sono
dimostrati
altri
scritti
più
recenti
di
Hamas,
come
il
programma
elettorale
per
le
elezioni
del
2006
della
lista
Riforma
e
Cambiamento
di
cui
il
movimento
era
il
promotore.
In
questo
testo
si
parla
in
tono
meno
“mistico”
del
conflitto
israelo-palestinese
e si
affrontano
i
problemi
in
modo
più
diretto
e
meno
demagogico.
Si
parla
di
progetti
di
governo,
di
promozione
dei
servizi
sociali,
di
tripartizione
dei
poteri
e di
uguaglianza
di
fronte
alla
legge.
Tutt’altro
quindi
che
semplice
“fanatismo”
religioso.
Lo
stesso
Yassin,
presentato
più
volte
come
un
fanatico
idealista,
già
negli
anni
Novanta
aveva
offerto
tregue
allo
stato
ebraico,
addirittura
trentennali.
Tregue
che
sono
state
sempre
rispedite
al
mittente,
sebbene
Meeshal,
l’attuale
leader
dell’Ufficio
Politico
del
partito
ha
più
volte
proposto
una
hudna,
ossia
una
tregua
decennale
del
conflitto.
In
più
occasioni
inoltre
il
movimento
di
resistenza
islamica
si è
mostrato
favorevole
a
uno
stato
palestinese
sui
confini
del
1967,
nonostante
parte
del
successo
di
questo
partito
sia
risieduto
proprio
sull’opposizione
ai
fallimentari
accordi
di
Oslo.
Senza
passare
per
una
trattativa
con
Hamas,
che
nei
fatti
è un
movimento
molto
più
pragmatico
di
quanto
si
voglia
dipingerlo,
la
risoluzione
del
conflitto
israelo-palestinese
è
ancora
lontana.