[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 201 / SETTEMBRE 2024 (CCXXXII)


attualità

CONFIDENZA
FRA TESTO LETTERARIO E SCRITTURA SCENICA...
di Francesco Graziano


Zaino Lo scrittore Domenico Starnone e il regista Daniele Luchetti ritornano dentro le aule scolastiche, questa volta per narrare una storia d’amore vero, tormentato e violento. Il film sapientemente sceneggiato e ‘allargato’ da Francesco Piccolo e dallo stesso regista racconta di un uomo che, fin dalle prime pagine del romanzo riadattato per lo schermo, confessa lui stesso di essersi percepito come un soggetto che – pur avendo amato – non si è mai servito della parola amore (“è per estraneità che l’ho usata così poco nel corso della mia lunga vita”) e che ha conosciuto quel tipo di amore che “cancella la comprensione e la pietà” facendo rimanere solo la gelosia che porta a chiedere al compagno dove sia continuamente la donna di cui è stato sempre invaghito.

 

Tutto il romanzo è dominato dal suo punto di vista, e come tutti coloro avvezzi alla lettura, sanno che quando un personaggio prende la parola raccontando il suo unico punto di vista, devono immediatamente accendersi una spia nella testa e chiedersi: “ciò che mi sta raccontando il protagonista è vero o è falso”?


Mentre nel romanzo leggiamo che Teresa è sempre stata l’allieva di cui il protagonista era innamorato, fin da quando seduta in un banco accanto alla finestra, si mostrava una delle sue allieve più vivaci e basta; nel film la messa in scena non rinuncia a mostrare scene di vita quotidiane, ambientate in un liceo di periferia, quindi vediamo il professore che interroga, che fa battute con qualche allievo etc.


Dove nel romanzo Starnone è ellittico, Luchetti non rinuncia a un respiro più ampio della narrazione. Mentre nell’opera cinematografica assistiamo al Professore che a fine maturità, ride e scherza con i suoi allievi, facendo le classiche domande che tutti noi ci siamo sentiti rivolgere del tipo: “e tu dove ti iscrivi? A lettere o in matematica?”


Nel romanzo tutto questo non si trova e si passa subito al momento in cui Teresa quando incontra il suo ex professore gli racconta della sua vita universitaria incasinata facendo scattare il primo bacio tra i due. Il carattere ribelle di Teresa – da lei negato alla fine del “ Terzo racconto” –, verrà trovato sia dal lettore che dallo spettatore, così come le liti e le riapppacificazioni che scandiscono la relazione tra i due, prima dell’inevitabile addio al termine della confidenza, del segreto inconfessabile che entrambi nascondono e da cui potrebbero uscire distrutti, soprattutto lui.


Il professore integerrimo che nel film è una vera e propria auctoritas per i suoi allievi. A differenza del film, nel libro di Starnone, uno straordinario ritratto di un uomo profondamente egocentrico e manipolatore che si crogiola sul suo modesto successo per un saggio sulla scuola pubblica a cui viene concesso uno spazio rilevante nella pagina scritta e che Teresa definirà sferzatamente non pedagogia dell’affetto ma “pedagogia dello spavento”, e che non sa vivere senza incantare gli altri, come dice a un certo punto la moglie Nadia alla figlia Emma, ormai cresciuta e diventata affermata giornalista, la quale si batte come una leonessa affinché anche a suo padre Pietro Vella (il protagonista del romanzo) venga riconosciuta l’onorificenza dal Presidente della Repubblica, organizzata per un numero di personalità eccellenti che hanno dato lustro alla scuola italiana.


Non ci soffermeremo oltre per non guastare la visione e la lettura sia del romanzo che del film; ci limiteremo a dire che Luchetti usa la potenza dell’immagine cinematografica per far uscire lo spettatore, una volta cominciati i titoli di coda, con uno stato di tensione che ti rimane impresso nella mente. Possiamo sottolineare due punti chiave: Emma, nel film, viene a sapere della relazione tra Pietro e Teresa quando Teresa prende la parola al Quirinale, per un discorso che in teoria doveva tessere le lodi del grande intellettuale, confessando il suo amore per quel professore che conobbe per la prima volta a sedici anni, facendo così esplodere la vulcanica figlia in un urlo disperato contro il padre ormai più che ottantenne.


Nel libro tutto passa in sordina, infatti sarà Nadia a confidare il tradimento del padre che lei disconosceva. Mentre nel romanzo tutto è più sfumato, tanto è vero che Teresa arriva a dire che quella confidenza, che all’epoca della loro relazione le sembrò così orribile, ora, dopo tanti anni, può tranquillamente essere collocata nel cassetto delle “ cose dimenticabili”, nel film Elio Germano porta ancora dentro di sé questo demone, tanto da arrivare a nascondersi, nell’immagine finale, dopo aver percorso una sorta di corridoio che diventa sempre più claustrofobico, in una scatola. Segno inequivocabile che quell’unica macchia di cui non verremo mai a conoscenza, né chi leggerà il libro né chi vedrà il film, arriverà mai a conoscere. Un finale “morettiano” (penso ad Habemus Papam o a Il caimano, che evidenziano l’assenza concreta della chiesa cattolica nella vita politica italiana e l’assenza del buon potere capace di governare un Paese, nell’opus numero quindici del regista – che proprio con il regista di Ecce Bombo esordirà sul grande schermo con “Domani Accadrà – viene sottolineata l’assenza di una guida forte che sappia prendersi cura di un luogo fondamentale per la formazione di ciascuno di noi, che altro non è proprio che La scuola”). Da vedere e da leggere.


Il film, per raccontare il progressivo rinchiudersi del Professore in quella che appare un’insoddisfazione, una paura e un atteggiamento coraggioso malcelato; si serve del concetto – usato vieppiù dagli storici di teatro- in particolare mi riferisco a Lorenzo Mango di Scrittura scenica. Cosa si intende?


Per dare spessore e un paggior pathos affidate semplicemente all’immagine priva di parola il regista demiurgo usa vari attrezzi ( vedi il finale) che possono aiutarlo a squarciare la serenità dello spettatore restituendo il ritratto di un uomo a cui ad, un certo punto, viene a mancare l’aria sia metaforicamente che letteralmente in un progressivo sentirsi schiacciato dal peso della vita che passa e dagli scheletri nell’armadio. Armadio dove, comunque, alla fine andrà a rifugiarsi.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]