CONFIDENZA
FRA TESTO LETTERARIO E SCRITTURA
SCENICA...
di Francesco Graziano
Zaino Lo scrittore Domenico Starnone
e il regista Daniele Luchetti
ritornano dentro le aule
scolastiche, questa volta per
narrare una storia d’amore vero,
tormentato e violento. Il film
sapientemente sceneggiato e
‘allargato’ da Francesco Piccolo e
dallo stesso regista racconta di un
uomo che, fin dalle prime pagine del
romanzo riadattato per lo schermo,
confessa lui stesso di essersi
percepito come un soggetto che – pur
avendo amato – non si è mai servito
della parola amore (“è per
estraneità che l’ho usata così poco
nel corso della mia lunga vita”) e
che ha conosciuto quel tipo di amore
che “cancella la comprensione e la
pietà” facendo rimanere solo la
gelosia che porta a chiedere al
compagno dove sia continuamente la
donna di cui è stato sempre
invaghito.
Tutto il romanzo è dominato dal suo
punto di vista, e come tutti coloro
avvezzi alla lettura, sanno che
quando un personaggio prende la
parola raccontando il suo unico
punto di vista, devono
immediatamente accendersi una spia
nella testa e chiedersi: “ciò che mi
sta raccontando il protagonista è
vero o è falso”?
Mentre nel romanzo leggiamo che
Teresa è sempre stata l’allieva di
cui il protagonista era innamorato,
fin da quando seduta in un banco
accanto alla finestra, si mostrava
una delle sue allieve più vivaci e
basta; nel film la messa in scena
non rinuncia a mostrare scene di
vita quotidiane, ambientate in un
liceo di periferia, quindi vediamo
il professore che interroga, che fa
battute con qualche allievo etc.
Dove nel romanzo Starnone è
ellittico, Luchetti non rinuncia a
un respiro più ampio della
narrazione. Mentre nell’opera
cinematografica assistiamo al
Professore che a fine maturità, ride
e scherza con i suoi allievi,
facendo le classiche domande che
tutti noi ci siamo sentiti rivolgere
del tipo: “e tu dove ti iscrivi? A
lettere o in matematica?”
Nel romanzo tutto questo non si
trova e si passa subito al momento
in cui Teresa quando incontra il suo
ex professore gli racconta della sua
vita universitaria incasinata
facendo scattare il primo bacio tra
i due. Il carattere ribelle di
Teresa – da lei negato alla fine del
“ Terzo racconto” –, verrà trovato
sia dal lettore che dallo
spettatore, così come le liti e le
riapppacificazioni che scandiscono
la relazione tra i due, prima
dell’inevitabile addio al termine
della confidenza, del segreto
inconfessabile che entrambi
nascondono e da cui potrebbero
uscire distrutti, soprattutto lui.
Il professore integerrimo che nel
film è una vera e propria
auctoritas per i suoi allievi. A
differenza del film, nel libro di
Starnone, uno straordinario ritratto
di un uomo profondamente egocentrico
e manipolatore che si crogiola sul
suo modesto successo per un saggio
sulla scuola pubblica a cui viene
concesso uno spazio rilevante nella
pagina scritta e che Teresa definirà
sferzatamente non pedagogia
dell’affetto ma “pedagogia dello
spavento”, e che non sa vivere senza
incantare gli altri, come dice a un
certo punto la moglie Nadia alla
figlia Emma, ormai cresciuta e
diventata affermata giornalista, la
quale si batte come una leonessa
affinché anche a suo padre Pietro
Vella (il protagonista del romanzo)
venga riconosciuta l’onorificenza
dal Presidente della Repubblica,
organizzata per un numero di
personalità eccellenti che hanno
dato lustro alla scuola italiana.
Non ci soffermeremo oltre per non
guastare la visione e la lettura sia
del romanzo che del film; ci
limiteremo a dire che Luchetti usa
la potenza dell’immagine
cinematografica per far uscire lo
spettatore, una volta cominciati i
titoli di coda, con uno stato di
tensione che ti rimane impresso
nella mente. Possiamo sottolineare
due punti chiave: Emma, nel film,
viene a sapere della relazione tra
Pietro e Teresa quando Teresa prende
la parola al Quirinale, per un
discorso che in teoria doveva
tessere le lodi del grande
intellettuale, confessando il suo
amore per quel professore che
conobbe per la prima volta a sedici
anni, facendo così esplodere la
vulcanica figlia in un urlo
disperato contro il padre ormai più
che ottantenne.
Nel libro tutto passa in sordina,
infatti sarà Nadia a confidare il
tradimento del padre che lei
disconosceva. Mentre nel romanzo
tutto è più sfumato, tanto è vero
che Teresa arriva a dire che quella
confidenza, che all’epoca della loro
relazione le sembrò così orribile,
ora, dopo tanti anni, può
tranquillamente essere collocata nel
cassetto delle “ cose
dimenticabili”, nel film Elio
Germano porta ancora dentro di sé
questo demone, tanto da arrivare a
nascondersi, nell’immagine finale,
dopo aver percorso una sorta di
corridoio che diventa sempre più
claustrofobico, in una scatola.
Segno inequivocabile che quell’unica
macchia di cui non verremo mai a
conoscenza, né chi leggerà il libro
né chi vedrà il film, arriverà mai a
conoscere. Un finale “morettiano”
(penso ad Habemus Papam o a
Il caimano, che evidenziano
l’assenza concreta della chiesa
cattolica nella vita politica
italiana e l’assenza del buon potere
capace di governare un Paese,
nell’opus numero quindici del
regista – che proprio con il regista
di Ecce Bombo esordirà sul
grande schermo con “Domani
Accadrà – viene sottolineata
l’assenza di una guida forte che
sappia prendersi cura di un luogo
fondamentale per la formazione di
ciascuno di noi, che altro non è
proprio che La scuola”). Da vedere e
da leggere.
Il film, per raccontare il
progressivo rinchiudersi del
Professore in quella che appare
un’insoddisfazione, una paura e un
atteggiamento coraggioso malcelato;
si serve del concetto – usato
vieppiù dagli storici di teatro- in
particolare mi riferisco a Lorenzo
Mango di Scrittura scenica. Cosa si
intende?
Per dare spessore e un maggior
pathos affidate semplicemente
all’immagine priva di parola il
regista demiurgo usa vari attrezzi (
vedi il finale) che possono aiutarlo
a squarciare la serenità dello
spettatore restituendo il ritratto
di un uomo a cui ad, un certo punto,
viene a mancare l’aria sia
metaforicamente che letteralmente in
un progressivo sentirsi schiacciato
dal peso della vita che passa e
dagli scheletri nell’armadio.
Armadio dove, comunque, alla fine
andrà a rifugiarsi.