N. 67 - Luglio 2013
(XCVIII)
LA CONFERENZA DI GINEVRA DEL 1954
LA QUESTIONE COREANA
di Giuseppe Cursio
Dopo
l’Armistizio
di
Panmunjom,
con
il
quale
si
concluse
il
27
luglio
1953
la
guerra
di
Corea
(1950-53),
la
«questione
coreana»
fu
all’ordine
del
giorno
dei
lavori
di
una
conferenza
alla
quale
presero
parte
gli
Stati
coinvolti
nel
conflitto.
Il
segretario
di
Stato
americano
John
Foster
Dulles
si
incontrò
(25
gennaio
-18
febbraio
1954)
a
Berlino
(Germania
Est)
con
i
ministri
degli
Esteri
della
Francia
(M.
Georges
Bidault),
Gran
Bretagna
(Anthony
Eden)
e
dell’Unione
Sovietica
(M.
Vyacheslav
Molotov)
per
discutere
del
futuro
politico
della
Penisola
di
Corea,
oltre
che
dell’Indocina.
Nel
documento
finale
(Communiqué
of
the
Berlin
Conference)
si
legge,
in
particolare,
che
i
ministri
partecipanti
sono
«consapevoli
che
la
creazione
di
una
Corea
unita
e
indipendente,
con
mezzi
pacifici,
costituisce
un
fattore
di
assoluto
rilievo
per
ridurre
le
tensioni
internazionali
e
ristabilire
la
pace
in
altri
territori
dell’Asia».
La
conferenza
si
tenne
a
Ginevra
dal
26
aprile
al
21
luglio
1954.
Ma
la
possibilità
di
una
soluzione
politica
del
problema
della
divisione
territoriale
della
Penisola
di
Corea
apparve
da
subito
molto
remota.
Del
resto,
sarebbe
stato
davvero
difficile
per
le
due
Coree
riuscire
a
mettere
da
parte,
tutto
d’un
tratto,
l’odio
e la
rivalità
reciproci.
Né
Yi
Sung-Man
né
Kim
Il-sung,
i
leader
rispettivamente
della
Corea
del
Sud
(o
Repubblica
di
Corea)
e
della
Corea
del
Nord
(anche
Repubblica
Democratica
Popolare
di
Corea)
avevano
rinunciato
al
disegno
di
unificare
la
penisola
con
la
forza.
Data,
quindi,
la
mancanza
di
dialogo
tra
le
parti,
il
ministro
degli
Esteri
cinese
Zhou
Enlai
e il
rappresentante
dell’Unione
Sovietica
M.
Vyacheslav
Molotov
decisero
di
abbandonare
la
conferenza
in
largo
anticipo
(19
giugno).
Gli
Stati
Uniti
proposero,
tuttavia,
una
soluzione
della
«questione
coreana»
il
cui
cardine
principale
ruotava
essenzialmente
intorno
alla
preservazione
della
costituzione
liberal-democratica
sudcoreana,
una
sorta
di
ombrello
politico
che
avrebbe
assorbito
le
due
Coree,
mentre
il
generale
nordcoreano
Nam
Il
considerò
prioritario
il
ritiro
delle
truppe
straniere
dalla
penisola
nei
sei
mesi
successivi,
cui
sarebbe
seguita
la
convocazione
di
libere
elezioni
per
costituzione
di
un
Parlamento
nazionale
coreano.
Se
per
gli
Stati
Uniti
il
17°
parallelo,
che
divideva
in
due
il
Vietnam,
era
la
frontiera
tra
il
mondo
libero
e il
mondo
comunista,
il
38°
parallelo
per
la
Cina
costituiva
una
«buffer
zone»
che
la
separava
dalla
Corea
del
Sud
e
dal
mondo
occidentale
di
cui
non
condivideva
né
idee
né
valori.
Ciò
spiega
perché
gli
Stati
Uniti,
diversamente
da
quanto
aveva
dichiarato
il
segretario
di
Stato
Dean
Acheson
nel
gennaio
del
1950
e,
cioè,
che
la
Corea
del
Sud
non
rientrava
nella
sfera
d’influenza
americana,
intervennero
militarmente
nella
Penisola
di
Corea
per
preservare
lo
status
quo,
mentre
la
Cina,
dal
canto
suo,
avrebbe
inviato
i
suoi
«volontari»
per
arginare
l’avanzata
delle
forze
americane
che
si
erano
spinte
ben
più
a
nord
del
38°
parallelo.
Entrambe
le
superpotenze
avevano
interessi
egemonici
in
Corea
preservabili
soltanto
attraverso
il
mantenimento
dello
status
quo,
ossia,
mediante
la
perpetrazione
della
sua
divisione
territoriale
e
politica.
Con
i
lavori
della
conferenza
di
Ginevra
ancora
in
corso,
gli
Stati
Uniti
subentrarono
alla
Francia
nella
penisola
indocinese
dopo
la
sconfitta
militare
subita
dall’esercito
transalpino
a
Dien
Bien
Phu
per
opera
delle
forze
comuniste
vietnamite
guidate
da
Ho
Chi-minh
(7
maggio
1954),
una
delle
figure
più
prestigiose
del
comunismo
internazionale.
Cina,
Corea
del
Nord
e
Vietnam
erano
i
Paesi
dell’Asia
dove
il
comunismo
avrebbe
trionfato
dopo
la
seconda
guerra
mondiale
sotto
la
guida
di
Mao
Zedong,
Kim
Il-sung
e Ho
Chi-minh.
Il
mondo
restava
bipolare
e il
nemico
principale
degli
Stati
Uniti
continuava
a
essere
costituito
dal
blocco
sino-sovietico,
di
cui
essi
temevano
un
rapido
avanzamento.
Alla
fine
Washington
decise
di
mantenere
le
proprie
truppe
in
Corea
del
Sud.
A
differenza
della
Francia
e
dell’Inghilterra,
gli
Stati
Uniti
non
erano
interessati
che
a
una
limitata
détente
con
l’Unione
Sovietica
e la
Cina,
per
cui
anche
se,
da
una
parte,
erano
propensi
a
raggiungere
un
compromesso
per
la
pace
e la
sicurezza
in
Asia
Orientale,
dall’altra
cercarono
di
impedire
che
vi
fosse
un
riavvicinamento
tra
gli
alleati
occidentali
e i
Paesi
asiatici.
E la
Corea
del
Sud
faceva
parte
di
questo
disegno
politico;
era
un
tassello
importante
negli
equilibri
geo-politici
dello
scacchiere
internazionale.
Svanì
pertanto
il
sogno
dei
coreani
del
Sud
e
del
Nord
di
una
«Corea
unita».
Ma,
il
principale
fallimento
della
conferenza
di
Ginevra
non
fu
tanto
«la
mancata
riunificazione
coreana,
quanto
l’incapacità
di
ricostruire
un
tessuto
di
legami
umani
ed
economici
che
avrebbero
potuto
rendere
la
vita
in
comune
sulla
penisola
più
accettabile
per
le
due
Coree»
(Steven
Hugh
Lee,
“The
Korean
War”,
Longman,
London
-New
York
2001,
p.
176).