N. 45 - Settembre 2011
(LXXVI)
condanne balinesi
Tra angoscia e speranza
di Gianrigo Marletta
Nella prigione di Bali, quell’isola esotica fatta di risaie e spiagge, due giovani ragazzi attendono l’ora della morte.
Andrew
Chan
e
Myuran
Sukumaran,
27
anni
e 30
anni,
fanno
parte
di
quel
gruppo
di
ragazzi
australiani
noto
come
“the
Bali
nine”
che
nel
2005
fu
fermato
all’aeroporto
di
Denpasar
con
oltre
otto
chili
di
eroina
fissati
al
corpo.
Giovani
trafficanti
inesperti
con
l’intenzione
di
importare
la
droga
in
Australia
attaccandosela
al
dorso,
alle
gambe
e
alle
braccia
col
nastro
adesivo.
Un
sogno
di
un
guadagno
che
avrebbe
cambiato
loro
la
vita,
quattro
milioni
di
dollari;
un
sogno
che
presto
è
diventato
incubo,
perché
per
due
di
loro,
la
vita,
sta
per
finire.
Furono
proprio
i
genitori
di
uno
dei
nove
ragazzi,
all’epoca
tra
i 18
e i
28
anni
di
età,
a
denunciare
l’imminente
importazione
della
droga
alla
polizia
australiana
che,
invece
di
attendere
il
carico
ed
eseguire
l’arresto
dei
propri
cittadini
in
patria,
allertò
la
polizia
indonesiana
che
li
sorprese
in
uscita.
Sette
di
loro
furono
fermati
all’aeroporto.
Gli
altri
due,
Andrew
Chan
e
Myuran
Sukumaran,
accusati
di
essere
gli
organizzatori
del
traffico,
furono
invece
arrestati
al
Melasti
Hotel
nella piccola località
turistica
di
Kuta.
Chan
e
Sukumaran
ebbero
la
condanna
alla
pena
capitale,
gli
altri
all’ergastolo.
Forti
critiche
condannano
la
decisione
della
polizia
australiana
per
non
aver
eseguito
l’arresto
“in
casa”
dove
le
leggi
avrebbero
condannato
i
nove
a
pene
molto
più
leggere.
In
Indonesia,
si
sa,
per
il
traffico
di
droga
vige
la
pena
di
morte.
Oggi,
a
sei
anni
e
quattro
mesi
dall’arresto
Andrew
Chan
e
Myuran
Sukumaran
dicono
di
essere
cambiati
radicalmente.
I
loro
occhi
lo
confermano.
Sukumaran
ha
iniziato
a
dipingere
e
ora
insegna
disegno
agli
altri
detenuti.
“Sei
anni
e
quattro
mesi
fa”
–
dice
–
“non
avrei
mai
pensato
al
disegno,
all’arte
e a
lavorare
con
queste
persone”.
“Queste
cose”
–
continua
–
“mi
tengono
occupato
e
non
penso
a
quello
che
dovrà
succedere”.
Chan,
che
invece
vuole
diventare
Pastore
della
chiesa,
dice: “Sai,
alla
pena
di
morte
ci
puoi
pensare,
farle
fare
scherzi
alla
mente,
ma
io
ho
deciso
di
continuare
a
concentrarmi
sulle
cose
che
faccio”.
Entrambi
riempiono
le
giornate
di
attività.
Oltre
all’arte
Mayuran
studia computer
design.
I
suoi
quadri
sono
stati
esposti
e
venduti
in
tutto
il
mondo.
Andrew
invece
impartisce
corsi
di
educazione
agli
altri
detenuti
e
dirige
i
Servizi
nella
piccola
chiesa
della
prigione.
“Abbiamo
sbagliato
di
brutto”
–
ammettono
entrambi
– “e
ora
ne
stiamo
pagando
le
conseguenze”.
Andrew
Chan
e
Myuran
Sukumaran
hanno
l’aria
di
due
tipici
ragazzi
della
loro
età.
Avevano
vent’anni
quando
commisero
il
reato
e
ora
attendono
di
pagare
un
prezzo
per
molti
davvero
troppo
caro.
Hanno
una
gran
voglia
di
vivere
e
darebbero
qualsiasi
cosa
per
tornare
indietro
e
correggere
le
loro
azioni.
La
data
dell’esecuzione
non
è
stata
ancora
decisa
e la
loro
unica
speranza
risiede
nella
clemenza
che
può
solo
arrivare
dal
presidente
dell’Indonesia,
attualmente
in
carica,
Susilo
Bambang
Yudhoyono.
Solo
lui
può
evitare
loro
la
fucilazione.
Kerobokan
Prison,
la
prigione
dove
Andrew
Chan
e
Myuran
Sukumaran
attendono
il
plotone
d’esecuzione,
detiene
ben
quattordici
cittadini
australiani,
tutti
condannati
a
reati
correlati
a
storie
di
droga.