N. 147 - Marzo 2020
(CLXXVIII)
Il
complotto
sinarchico
Genesi
di
un
mito
politico
contemporaneo
–
Parte
II
di
Andrea
Ceci
L’elemento
da
cui
nacque
quest’illusione
condivisa
si
può
identificare
nel
rinvenimento
de
Il
patto
sinarchico
rivoluzionario
in
casa
di
Coutrot.
Ma
in
quali
circostanze
e
con
quali
finalità
era
stato
redatto
questo
testo?
E
poteva
Coutrot
esserne
l’autore,
o
almeno
uno
degli
ispiratori?
Nei
fatti,
le
tematiche
trattate
nel
Patto
non
sono
in
nessun
modo
assimilabili
a
quelle
dell’umanesimo
economico
postulato
da
Coutrot
e la
risposta
sembra
essere
negativa.
Redatto
nel
primo
dopoguerra,
il
documento
sembrerebbe
essere
riconducibile
a un
piccolo
circolo
esoterico,
Le
groupe
des
Veilleurs,
fondato
da
Vivian
Postel
du
Mas
e
Jeanne
Canudo.
Il
gruppo
riprendeva
le
idee
Saint-Yves
d’Alveydre
da
cui
aveva
mutuato
il
termine
sinarchia
–
syn
arché
–
governare
insieme.
Concepita
come
risposta
alla
diffusione
dell’anarchismo,
la
teoria
di
Saint-Yves
d’Alveydre
si
proponeva
di
costituire
un
sistema
europeo
capace
di
evitare
il
sorgere
di
conflitti
bellici,
in
cui
il
potere
esecutivo
fosse
sottomesso
all’autorità
di
un
Sovrano
Pontefice
scelto
dal
corpo
insegnante
del
paese.
I
Veilleurs
si
proponevano
di
perseguire
queste
linee
guida
attraverso
un’azione
politica
diretta
sfruttando
gli
Stati
generali
della
Gioventù
europea,
organizzati
in
occasione
dell’Esposizione
Internazionale
di
Parigi
del
1937.
Canudo
aveva
partecipato
alla
loro
organizzazione
e
riteneva
di
essersi
assicurata
gli
appoggi
politici
necessari
per
fondare
la
democrazia
universale
in
un’Europa
unita.
La
giovane
sovrastimava
le
proprie
possibilità,
ma
era
comunque
entrata
in
contatto
con
alcuni
nomi
di
rilievo
della
scena
politica
francese,
tra
i
quali
Coutrot.
Quindi,
risulta
lampante
come
questa
piccola
setta
non
potesse
essere
la
tentacolare
organizzazione
descritta
dai
giornali.
Inoltre,
il
Patto
era
conosciuto
alla
stampa
soltanto
attraverso
il
filtro
del
rapporto
Chavin.
Redatto
per
essere
presentato
al
Ministro
dell’Interno,
il
dossier
era
stato
successivamente
passato
sottobanco
alla
stampa,
ma
il
grado
di
verità
contenuto
in
esso
sembra
essere
esiguo.
Come
ha
messo
in
luce
lo
storico
Olivier
Dard,
“attraverso
affermazioni
perentorie
e
supposizioni
accuratamente
formulate,
si
era
allestito
uno
schema
coerente
dal
quale
emergeva
come
Coutrot
sarebbe
stato
indubitabilmente
il
gran
maestro
della
sinarchia,
organizzazione
incredibilmente
possente”.
Coinvolgendo
personaggi
politici
ed
economici
di
rilievo,
Chavin
si
era
rovinato
la
carriera.
Nonostante
le
accuse
formulate
risultassero
infondate,
il
rapporto
risultava
pericoloso
per
il
governo.
Convinto
dell’esistenza
di
un
complotto,
egli
aveva
assommato
indizi
convinto
di
poterne
ricavare
prove
inoppugnabili.
Alla
luce
di
questo,
si
rende
necessario
demistificare
la
figura
di
Jean
Coutrot.
Le
indagini
si
erano
concentrate
sui
suoi
legami
con
altri
membri
dell’École
polytechnique,
e
soprattutto
sulla
sua
vicinanza
al
socialista
Charles
Spinasse,
Ministro
dell’Economia
nazionale
nel
biennio
1936-1937.
Il
rapporto
Chavin
imputava
a
Coutrot
un’influenza
disastrosa
sul
ministro;
egli
avrebbe
sabotato
tutte
le
riforme,
favorendo
la
grande
industria.
In
realtà,
fin
dall’inizio
degli
anni
1930,
Coutrot
aveva
formulato
una
sua
personale
concezione
dell’industria
e
dei
rapporti
sociali
all’interno
di
questa.
Quando
Spinasse
cercò
dei
collaboratori,
egli
ottenne
la
vicepresidenza
del
COST,
ma
il
suo
entusiasmo
iniziò
a
venir
meno
l’anno
successivo.
A
dispetto
delle
dichiarazioni
pubbliche
del
ministro,
nessun
suo
suggerimento
venne
accolto.
Carente
dal
punto
di
vista
dell’organizzazione,
sostenitore
di
progetti
di
difficile
attuabilità
e
privo
di
un
curriculum
professionale
solido,
Coutrot
si
trovò
sempre
più
isolato
dal
mondo
politico.
Cadde
in
una
profonda
depressione
e,
la
mattina
del
19
maggio
1941,
decise
di
togliersi
la
vita.
Nonostante
questa
morte
non
avesse
nulla
di
misterioso,
i
giornali
a
lungo
favoleggiarono
su
come
l’accaduto
fosse
un
omicidio
mascherato
da
suicidio,
e su
come
la
polizia
evitasse
di
catturare
i
colpevoli.
La
cronaca,
del
resto,
non
era
nuova
a
pratiche
di
questo
tipo.
L’omicidio
di
Dimitri
Navachine,
per
opera
della
Cagoule
nel
1937,
aveva
già
innescato
processi
simili;
membro
di
X-Crise,
economista
vicino
a
Spinasse
e
sospettato
di
essere
una
spia
russa,
il
suo
profilo
non
si
differenziava
molto
da
quello
di
Coutrot.
Il
giornale
L’Appel
non
si
lasciò
sfuggire
questa
somiglianza
e,
procedendo
di
analogia
in
analogia,
arrivò
a
concatenare
una
serie
di
delitti
tra
loro
apparentemente
estranei.
Dove
non
si
potevano
accostare
queste
morti
si
provvedeva
a
forzare
il
nesso
alterando
il
profilo
biografico
delle
vittime.
Eliminate
le
ombre
attorno
alla
figura
di
Jean
Coutrot,
l’esistenza
di
un
complotto
tecnocratico
risulta
molto
difficile
da
credere.
Nonostante
ciò,
questo
complotto
immaginato
originò
un
discorso
vero,
cioè
di
cui
i
suoi
autori
erano
convinti,
e
che
non
può
essere
ridotto
a
una
manovra
orchestrata
dagli
oppositori
del
governo
Darlan.
Il
caso
del
rapporto
Chavin
è
emblematico.
Alla
volontà
di
costruire
un
discorso
basato
sulle
prove
disponibili
si
sostituiva
una
ricostruzione
verosimile,
anche
se
in
minimo
grado,
che
riprendeva
e
amplificava
un
discorso
condiviso
dall’opinione
pubblica,
e
che
nei
giornali
trovava
una
cassa
di
risonanza.
Il
rapporto
non
era
un
documento
interno
all’organizzazione
sinarchica,
a
differenza
del
volume
trovato
durante
le
perquisizioni
in
casa
di
Coutrot,
ma
prodotto
dalla
Surête
per
il
Ministero
dell’Interno,
e
assunse
un’autorevolezza
che
difficilmente
venne
messa
in
dubbio,
andando
contro
il
governo
stesso.
Ciò
che
rimase
immutabile
sullo
sfondo
di
questa
vicenda
fu
il
timore
che
lo
Stato
fosse
stato
assoggettato
da
un
qualche
potere
celato
nell’ombra;
poco
importava
che
esso
fosse
un
complotto
massonico,
giudaico
o
della
finanza
internazionale,
tutti
si
prestavano
egualmente
bene
allo
scopo.
Quindi,
il
discorso
cospirologico
che
si
costruì
fu
caratterizzato
da
un’epistemologia
debole,
basata
sull’analogia,
sulla
tautologia
e
sulla
verosimiglianza.
I
fatti
dei
quali
i
sostenitori
della
teoria
del
complotto
erano
convinti
trovavano
in
se
stessi
la
propria
verità.
Il
ritrovamento
del
Patto
sinarchico
era
sufficiente
a
dimostrare
l’esistenza
della
sinarchia;
allo
stesso
modo
il
rapporto
Chavin,
seppur
inesatto
sotto
molti
aspetti,
era
ritenuto
vero
nelle
sue
linee
essenziali.
Risulta
allora
evidente
come
il
ragionamento
partisse
da
una
base
falsata:
il
complotto
sinarchico
era
provato
da
questi
due
documenti
e
questi
erano
veri
poiché
il
complotto
esisteva.
In
un
paese
in
profonda
crisi,
quale
era
la
Francia
nel
passaggio
tra
gli
anni
1930
e
1940,
si
registrò
nell’opinione
pubblica
un
ritorno
all’irrazionale
e un
crescente
sentimento
d’inquietudine
e
d’angoscia.
In
questa
situazione,
il
discorso
complottista
svolgeva
una
funzione
catartica
che
si
sviluppò
lungo
tre
direttrici.
In
primo
luogo,
esonerava
colui
che
lo
sosteneva
dalle
responsabilità
politica
della
crisi
che
denunciava.
In
periodi
turbolenti,
quando
più
che
mai
le
spiegazioni
appaiono
sfuggenti
e
incomplete,
immaginare
un
potere
segreto
che
agisca
sistematicamente
con
una
logica
propria
semplifica
la
comprensione
dei
problemi
e
placa
l’insaziabile
fame
di
scandali
della
stampa.
In
secondo
luogo,
al
dubbio
perpetuo
generatosi
sulle
finalità
del
potere
politico
si
legava
un
razionalismo
esasperato.
Ogni
situazione
veniva
letta
come
risultato
di
una
volontà,
manifesta
o
nascosta,
che
tutto
pensava
e
tutto
ordiva.
La
terza
funzione
era
invece
quella
di
identificare
un
nemico,
anche
attraverso
lo
stereotipo
o la
caricatura.
Questi
gruppi,
spesso
immaginati
in
combutta
gli
uni
con
gli
altri,
fungevano
da
simbolo
di
tutto
ciò
che
era
esecrato
dalla
società:
bolscevichi,
massoni,
giudei,
finanzieri.
Essi
erano
percepiti
come
un
corpo
estraneo
alla
nazione,
ma
che
risiedeva
all’interno
di
questa,
come
un
enorme
tumore.
La
sinarchia
e i
tecnocrati,
secondo
il
ritratto
fattone
dai
giornali
e
dal
rapporto
Chavin,
si
configuravano
come
un
sincretismo
di
tutti
questi
timori
precedenti.
Come
si è
mostrato,
in
un
primo
momento,
il
piano
della
sinarchia
fu
interpretato
alla
luce
delle
teorie
del
“piccolo
complotto”.
Esso
restava
circoscritto
–
sia
in
termini
spaziali
che
temporali
– e
trovava
la
propria
motivazione
nella
stigmatizzazione
di
alcune
caratteristiche
dei
cospiratori
come
la
cupidigia,
l’amoralità
e la
mancanza
di
legami
con
una
patria.
Tuttavia,
il
regime
di
Vichy
iniziò
molto
rapidamente
a
elaborare
una
teoria
del
“grande
complotto”
tesa
a
rintracciare
gli
effetti
del
progetto
sinarchico
all’interno
delle
vicende
politiche
europee,
rileggendone
a
posteriori
gli
avvenimenti.
A
partire
dagli
anni
1940,
quest’ultima
interpretazione
è
tornata
periodicamente
alla
ribalta.
Ciò
non
è
fortuito;
la
chiave
del
suo
successo
risiede
nel
configurarsi
come
una
forza
motrice
nella
Storia
che
si
esprime
tramite
la
congiura.
I
timori
legati
a un
potere
tecnocratico
lontano
dai
cittadini
e lo
sgomento
di
fronte
a
una
mondializzazione
che
procede
a
ritmi
sempre
più
rapidi
vengono
cristallizzati
in
una
formula
semplice
e
banalizzante.
Inoltre,
il
riciclaggio
di
una
serie
di
storie
accumulatesi
nel
tempo
dona
apparente
autorevolezza
e
verosimiglianza
a
questo
mito
moderno.
Molti
autori
hanno
infatti
delineato
una
filiazione
diretta
tra
i
Templari
e la
sinarchia,
passante
per
la
massoneria
e il
sansimonismo.
Altri
hanno
collegato
il
piano
sinarchico
al
gruppo
Bilderberg
o
alla
Commissione
Trilaterale.
Ancora
nel
1976,
il
politico
statunitense
Lyndon
LaRouche
poteva
denunciare
una
sinarchia
mondiale
che
si
snodava
lungo
tutto
il
XX
secolo;
in
queste
farneticazioni,
Hitler
veniva
dipinto
come
un
membro
degli
Illuminati
di
Baviera,
reclutato
dagli
inglesi
durante
il
primo
conflitto
mondiale
e
messo
al
potere
per
assecondare
il
loro
imperialismo.
I
riferimenti
al
passato
con
la
loro
potente
carica
simbolica
hanno
consentito
al
complotto
di
diventare
permanente
e
polimorfo.
Di
fronte
a
questa
visione
caricaturale
della
Storia
è
del
tutto
lecito
lo
sbandamento
del
Dottor
Casaubon,
personaggio
creato
da
Umberto
Eco
ne
Il
pendolo
di
Foucault,
perso
in
una
congerie
di
esoteristi,
massoni
e
cospiratori.
Solo
sua
moglie
Lia,
estranea
a
tutte
le
logiche
cospirologiche,
riesce
a
scorgere
la
teodicea
sottostante
alla
sinarchia,
sostenendo
che
«l’umanità
non
sopporta
il
pensiero
che
il
mondo
sia
nato
per
caso,
per
sbaglio,
solo
perché
quattro
atomi
scriteriati
si
sono
tamponati
sull’autostrada
bagnata.
E
allora
occorre
trovare
un
complotto
cosmico,
Dio,
gli
angeli
o i
diavoli.
La
sinarchia
svolge
la
stessa
funzione
su
dimensioni
più
ridotte».
Riferimenti
bibliografici:
O.
Dard,
La
synarchie.
Le
mythe
du
complot
permanent,
Perrin,
Paris
2012.
R.
Husson,
Synarchie.
Panorama
de
25
années
d’activité
occulte,
avec
la
reproduction
intégrale
du
Pacte
synarchique,
Éditions
Médicis,
Paris
1946.
J.
Saunier,
Saint-Yves
d’Alveydre,
ou
une
synarchie
sans
énigme,
Dervy,
Paris
1981.