N. 113 - Maggio 2017
(CXLIV)
Comprendere la complessità
SE Destra e sinistra non bastano più
di Norberto Soldano
A
più
riprese,
nel
corso
della
storia,
sono
emerse
fratture
all’interno
della
società.
Si
considerino
i
populares
e
gli
optimates
nell’antica
Roma,
le
fazioni
democratica
e
conservatrice
ad
Atene,
i
fedeli
e
gli
eretici
nel
Medioevo,
guelfi
e
ghibellini
durante
la
lotta
per
le
investiture,
i
proseliti
cristiani
e
protestanti
negli
anni
della
Controriforma
luterana.
È
insita
nella
natura
dell’uomo
la
diversità
culturale.
Convivere
con
quest’ultima
non
è
mai
stato
facile.
Il
“diverso”
è
stato
infatti
concepito,
a
lungo,
come
un
nemico
da
eliminare.
Gli
ecosistemi
si
fondano
sulla
governance
degli
habitat
naturali.
Le
società
politiche
sono,
invece,
legittimate
in
base
agli
accordi
fra
i
consociati
che
danno
luogo
all’instaurazione
di
forme
di
governo
e di
Stato,
volte
a
dirigere
ed
orientare
l’organizzazione
della
vita
sociale
di
una
determinata
comunità.
Cogliere
le
spaccature
interne
alla
collettività,
cercare
di
ricongiungerle
come
pezzi
di
un
vaso
di
ceramica
giapponese,
spossarsi
nel
tenerle
insieme,
rappresentarne
le
rispettive
esigenze,
garantirne
i
bisogni
manifestatamente
espressi,
fissando
degli
equilibri
fra
i
diversi
ceti
sociali
è il
prediletto
compito
della
Politica.
Questa
la
funzione
primaria
che
compete
in
prelazione
ai
Parlamenti.
La
Rivoluzione
Francese
ci
ha
lasciato
in
eredità
il
binomio,
ai
giorni
nostri
divenuto
più
che
mai
problematico,
destra/sinistra.
Dal
1789
al
1989,
il
solco
profondo
tracciato
nella
Assemblée
nationale
constituante
ha
funzionato.
Come
negarlo:
gli
esponenti
delle
categorie
sociali
più
deboli
hanno
sostenuto
attivamente
l’impegno
politico
e
sindacale
portato
avanti
dai
rispettivi
corpi
intermedi;
le
classi
sociali
più
elevate,
trincerate
sui
propri
scranni
e
irremovibili
sulle
proprie
posizioni
di
privilegio,
hanno
promosso
a
pieni
voti
le
forze
politiche
di
relativa
rappresentanza.
I
sindacati
e i
partiti
hanno
siffatto
dominato
incontrastati
la
scena
politica
consentendo
ai
cittadini
la
più
ampia
partecipazione
alla
vita
democratica
e
assicurando
loro
la
possibilità
di
incidere
significativamente
nelle
scelte
del
Paese.
Il
Partito
Comunista
Italiano
e la
Democrazia
Cristiana,
nel
dopoguerra,
erano
le
uniche
forze
politiche
a
contendersi
il
governo
della
Nazione.
Il
Fronte
de
L’Uomo
Qualunque,
privo
di
una
ramificazione
capillare,
nonché
di
una
efficiente
pianificazione
partitica
territoriale,
sprovvisto
di
programmi
“rigidi”
e
sguarnito
di
militanti
“devoti”
nelle
proprie
fila,
non
poté
che
cedere,
negli
appuntamenti
elettorali
che
si
susseguirono,
ai
colpi
di
mortaio
infertiti
dai
due
principali
partiti
di
massa.
Nel
2017
si
guarda
meravigliati
a
fenomeni
di
controtendenza
e
inediti
della
nostra
storia
come
l’ascesa
politica
dei
Movimenti
che
stanno
prendendo
piede,
pian
piano,
in
tutta
Europa,
a
discapito
dei
partiti
tradizionali.
Nel
1948
ciò
era
impensabile.
Ci
siamo
addentrati
in
una
nuova
epoca
e
neanche
ce
ne
siamo
accorti.
Siamo
nell’era
della
complessità
in
cui
il
bipolarismo
è
divenuto
banale.
L’immane
sforzo
della
reductio
ad
unum
e la
risposta
superficiale
del
popolo
“profondo”
agli
ardui
avvenimenti
che
ci
circondano,
la
sua
palese
incapacità
di
reagire
ed
esprimere
un
preciso
indirizzo
governativo,
dimostrano
l’inidoneità
e il
degrado
culturale
sociale
dell’uomo
medio
postmoderno.
Le
pozzanghere
sono
state
elevate
a
potenza
ed
hanno
acquisito
le
dimensioni
degli
oceani.
Navigarli
con
perizia,
esorcizzando
paure
e
leggende
diffuse,
sfatandone
i
tabù
sarà
la
sfida
che
ci
vedrà
protagonisti.
Nulla
è
più
dato
al
caso
ed
ogni
singolo
aspetto
della
società
è
divenuto
multiforme,
ne
derivano
pertanto
ingenti
responsabilità
ed
oneri
gravosi.
La
caduta
del
muro
di
Berlino;
il
processo
di
laicizzazione,
che
in
Italia
ha
visto
negli
interventi
legislativi
n°
898/1970
e n°
194/1978
i
suoi
passaggi
fondamentali,
nonché
il
crollo
dei
regimi
sovietici
hanno
determinato
la
fine
del
partito
di
massa
così
come
lo
avevamo
conosciuto
sino
agli
anni
’90;
gli
attriti
emersi
fra
le
tecnocrazie
e la
classe
politica
dirigente;
la
vocazione
giustizialista,
da
un
lato,
il
garantismo,
dall’altro,
all’indomani
di
Tangentopoli;
l’avvento
della
globalizzazione;
l’affermazione
delle
grandi
organizzazioni
comunitarie;
le
agguerrite
dispute
scaturite
intorno
ai
grandi
temi,
dalle
difficoltà
in
cui
si è
imbattuto
lo
Stato-Nazione
alla
minaccia
terroristica
globale
sono
aspetti
fondamentali
per
comprendere
i
fattori
che
hanno
reso
possibile
la
crisi
della
civiltà
moderna,
il
tramonto
della
cultura
valoriale
ottocentesca,
inaugurando
contestualmente
la
postmodernità
e la
postdemocrazia.
La
destra
e la
sinistra
non
sono
uscite
di
scena,
semplicemente
è
venuta
meno
la
loro
preminenza.
Sono
state
declassate
dai
rispettivi
elettorati
e il
loro
consenso
ha
iniziato
lentamente
a
evaporare.
Nondimeno,
reputare,
su
due
piedi,
conclusa
“in
toto”
la
stagione
politica
delle
destre
e
delle
sinistre
sarebbe
un
clamoroso
abbaglio.
Viviamo
in
una
società
denotata
da
una
forte
frammentazione
politica
e
culturale,
le
cui
strutture
sociali,
un
tempo
punti
di
riferimento
per
i
faccendieri
della
politica
in
senso
spicciolo,
sono
venute
meno
come
castelli
di
carta,
in
cui
le
differenze
sociali
ancorché
appiattite
dal
contentino
del
modello
capitalistico
non
hanno
ridotto
affatto,
come
si
vorrebbe
far
credere,
la
forbice
delle
diseguaglianze.
Anzi.
Le
dinamiche
sociali
hanno
indotto
persino
la
criminalità
organizzata
a
sostanziali
mutamenti.
Il
mafioso
si è
trovato
di
fronte
a un
bivio:
evolversi,
tutt’al
più
assumere
atteggiamenti
camaleontici,
o
cambiare
vita.
I
valori
ottocenteschi
sono
però
destinati
a
risorgere,
prepotentemente,
a
viso
scoperto
e
soprattutto
privi
della
sterile
morale
perbenista
che
tanto
affascina
quella
società
civile
che
nel
cosiddetto
establishment
non
nutre
più
alcuna
fiducia.
I
nazionalismi,
i
socialismi
popolari
e il
cattolicesimo
popolare:
sfumature
di
un
fenomeno
che
Nietzsche
non
avrebbe
avuto
difficoltà
a
definire,
con
il
suo
lessico
solenne
e
forbito,
“eterno
ritorno”.
La
costante
esaltazione
del
coro
del
“no”
alle
consultazioni
referendarie
è il
sintomo
più
evidente
del
mal
di
pancia
virale
che,
invano,
cercano
di
diagnosticare
i
politologi
più
esperti
e
gli
analisti
del
voto.
C’è
un
dato
di
fatto
ed è
incontrovertibile:
le
istituzioni
democratiche
dei
nostri
Paesi
europei
vanno
adeguate
all’esigenze
del
presente,
diversamente
cadranno
in
disuso
come
abiti
logori
per
poi
venire
spazzate
via
dall’autoritarismo
cieco
e
indiscriminato
già
consolidatosi
negli
imperi
finanziari
delle
potenze
che
si
contendono
i
destini
politici
del
globo.
Quale
prospettiva
per
il
sindacato?
E
per
i
partiti
tradizionali?
Quale
futuro
per
la
democrazia
rappresentativa?
La
pluralità
di
attori
sulla
scena
politica,
nella
sfera
mediatica
e la
presenza
di
innumerevoli
istituzioni
di
natura
sovranazionale
che
comprimono
il
potere,
un
tempo
prerogativa
esclusiva,
degli
Stati,
complica
un
quadro
già
di
per
sé
abbastanza
complesso.
La
Gazzetta
Ufficiale
non
è
più
fonte
di
cognizione
sufficiente
ed
oltremodo
esaustiva
per
monitorare
le
vicende
politiche
istituzionali.
Per
avere
un’idea
più
completa
e
consequenziale
dell’avvicendarsi
degli
scenari
politici
non
si
può
prescindere
dall’esaminare
scrupolosamente
e
con
minuzia
le
decisioni
del
Fondo
Monetario
Internazionale,
i
rapporti
periodici
dell’Ocse,
del
Wto
e
della
Bce;
seguire
il
dibattito
politico
europeo,
non
limitandosi
quindi
a
quello
nazionale;
focalizzare
approfonditamente
la
propria
attenzione
sulle
diatribe
concernenti
la
politica
estera.
Si
stampano
notorie
riviste
all’uomo
dedicate,
come
Limes.
Le
nuove
generazioni
vanno
rimesse
al
centro
dell’attenzione.
Non
si
può
prescindere
dall’educarle
e
incanalarle
nella
direzione
giusta:
quella
dell’impegno
sociale,
politico,
ambientale,
civico,
culturale
e
lavorativo.
Gli
strumenti
di
partecipazione
democratica
prediletti
dalle
Costituzioni
moderne
risultano
essere
oggi
ormai
obsoleti
ed
anacronisti.
Il
conservatorismo
radicatosi,
dettato
dalla
scontata
consapevolezza
che
le
cose
possano
cambiare
soltanto
in
peggio
e
che
dietro
ogni
proposta
di
cambiamento
si
celino,
invero,
fraudolenti
raggiri,
preclude
il
nostro
campo
d’azione
e ci
impedisce
ogni
possibile
revisione
costituzionale.
L’apparato
rischia
di
incancrenirsi
e
finire
drammaticamente
condannato
alla
perpetua
paralisi.
La
deriva
plebiscitaria
può
rappresentare
una
percorribile
via
d’uscita
da
questa
putrida
palude?
La
democrazia
diretta
o
partecipativa,
in
che
termini,
può
davvero
ricongiungere
i
cittadini
alle
istituzioni?
Ci
tocca
fare
i
conti
con
la
realtà.
Il
paradosso
vuole
che
quest’ultima
sia
peraltro
meno
drammatica
di
quanto
possa
sembrare.
Vi
è,
sì,
una
società
“profonda”
che
conta
le
briciole
del
proprio
pollaio
gridando
“al
ladro”.
Tuttavia,
c’è
anche
la
società
“alta”
che
ha
voglia
di
dialogare
e
confrontarsi
sulle
grandi
questioni
del
nostro
tempo:
le
misure
contro
l’evasione
fiscale
e
l’edilizia
abusiva;
che
guarda
con
ottimismo
ad
un
piano
che
veda
in
campo
maggiori
risorse
per
ottenere
ulteriori
finanziamenti
a
favore
della
ricerca
scientifica;
la
salvaguardia
del
made
in
Italy;
la
lotta
ai
tumori
e
alle
malattie
rare;
benefici/alienazione
della
tecnologia;
vantaggi/danni
della
globalizzazione;
combattuta
fra
l’europeismo
di
Ventotene
e il
nazionalismo
di
Vestfalia;
che
indaga
sulle
politiche
monetarie,
perlopiù
ci
prova;
che
si
interroga
sul
valore
della
cultura,
la
funzione
dei
media
e il
loro
empowerment;
che
riflette
ed
avanza
ipotesi
su
spendibili
forme
di
tutela
contro
le
fake
news;
la
ridistribuzione
della
ricchezza;
l’erogazione
degli
incentivi
alle
imprese;
immigrazione/chiusura
delle
frontiere;
legittima
difesa/diritto
alla
pubblica
sicurezza;
ecosostenibilità/negazionismo
in
ordine
ai
cataclismi
climatici;
metodi
efferati
nella
guerra
contro
la
avvisaglia
terroristica/morale
cristiana
“del
porre
l’altra
guancia”.
Lo
Stato
incoraggi
e
promuova
concretamente
questo
fermento
culturale.
Scollare
la
cittadinanza
dalle
televisioni,
dai
cellulari,
disaffezionarla
dai
social
networks
e
ricondurla
nelle
piazze:
qui
si
gioca
la
grande
scommessa
degli
Stati
dei
Millennials.
Il
mondo
novecentesco
è
stato
“formattato”.
Nell’arena
dei
bipolarismi
postmoderni,
il
singolare
accostamento
fascismo/comunismo
è un
retaggio
a là
Miguel
de
Cervantes.
Altresì
la
destra
e la
sinistra
non
bastano
più.
Abituarci
alla
complessità,
comprenderla
e
riuscire
a
governarla:
questa
la
frase
d’ordine
per
l’avvenire.
Difficile,
per
l’appunto,
come
l’età
in
cui
ci
troviamo.