N. 68 - Agosto 2013
(XCIX)
BE COMPETITIVE
Riflessioni su competizione e aggressività
di Giovanna D’Arbitrio
Secondo
il
noto
psichiatra,
docente
universitario
e
scrittore
Mauro
Maldonato,
“il
termine
competizione
(dal
latino
tardo
competitio)
designa
la
gara,
la
lotta,
il
misurarsi
con
qualcuno
per
la
conquista
di
un
primato.
La
competizione
si
manifesta
nello
sforzo
attraverso
il
quale
individui
e
gruppi
cercano
l'affermazione
e
testimoniano
la
propria
condizione
di
soggetti
interagenti
con
gli
altri.
In
ecologia,
la
competizione
tra
specie
diverse
o
all'interno
della
stessa
specie
è
fattore
fondamentale
di
regolazione
ambientale,
elemento
di
modificazione
delle
condizioni
di
sopravvivenza
e di
accrescimento
tra
specie
diverse
o
nella
stessa
specie.
Come
ambito
molteplice
di
azione
interumana,
essa
racchiude
i
campi
dello
scambio
amichevole,
dal
gioco
alla
competizione
sportiva,
fino
a
fenomeni
di
violenza
e
distruttività.
In
ogni
caso,
lo
stato
competitivo
individua
e
rivela
la
formazione
di
meccanismi
gerarchici
tra
singoli
individui
interagenti
e
tra
gruppi
sociali”.
Tralasciando
per
un
attimo
tali
dotte
definizioni
e
immergendoci
nella
vita
quotidiana,
possiamo
costatare
senz’altro
che
la
competizione
galoppante,
o
competitività
come
oggi
si
preferisce
dire,
ha
raggiunto
livelli
stratosferici
in
una
“lotta
al
coltello”
soprattutto
in
campo
lavorativo,
a
causa
della
globalizzazione.
Pilotata
da
free
trade
e
massima
deregulation,
essa
accresce
il
livello
di
competitività
internazionale
con
il
quale
soprattutto
i
paesi
in
crisi
devono
confrontarsi,
dovendo
competere
con
altri
paesi
sia
per
attrarre
nuovi
investimenti
e
nuove
imprese,
sia
per
offrire
il
massimo
dei
profitti
a
basso
costo.
Ovviamente
milioni
di
persone
sono
messe
sotto
pressione
da
tale
sistema
che
si
espande
e si
rafforza.
La
lotta
per
conquistarsi
benessere
e
spazi
sempre
più
esigui
si
sta
impadronendo
delle
nostre
vite
in
molteplici
campi,
favorendo
comportamenti
aggressivi
non
solo
nei
rapporti
di
lavoro,
ma
in
tutti
i
rapporti
umani.
“Be
competitive!”,
il
nuovo
slogan
dell’economia,
in
effetti
si
sta
infiltrando
sottilmente
anche
nei
processi
educativi
in
famiglia
e a
scuola.
Fin
dalla
culla
i
bambini
sono
nutriti
con
il
latte
della
competizione,
spinti
da
pressanti
paragoni
con
questo
o
quel
bambino,
addirittura
con
un
fratello
(o
sorella)
“più
in
gamba”,
poi
a
scuola
continuano
ad
asfissiarli
con
questo
o
quel
compagno
“più
brillante”
negli
studi;
crescono,
s’innamorano,
lottano
contro
altri
rappresentanti
della
specie
per
conquistarsi
un
compagno/a
e
alla
fine,
bombardati
dai
mass
media
con
allettanti
immagini
erotiche
di
esemplari
“sempre
più
appetibili”,
fanno
confusione
tra
vero
amore
e
sesso.
Soprattutto
le
ragazze
imbottite
di
romanticherie
con
principi
azzurri
e
amori
travolgenti
di
favole
e
soap
opera,
si
ritrovano
deluse
come
M.
Troisi
nel
film
“Pensavo
fosse
amore…
invece
era
un
calesse”,
o
meglio
un
maschilista
sotto
mentite
spoglie
che
in
quanto
tale
si
sente
obbligato
a
ingaggiare
una
competizione
quotidiana
per
dimostrare
la
sua
superiorità
di
maschio
in
ogni
istante
della
giornata.
E
alla
fine
arrivano
i
figli,
cerchi
di
educarli
con
amore,
sia
pure
facendo
errori
umanamente
comprensibili,
poi
crescono
e da
adulti…
si
ricordano
solo
di
“quegli
errori”
dimenticando
tutto
il
bene
ricevuto
e
senza
umiltà
si
proclamano
“più
capaci
di
te”
che
ormai
appartieni
a
una
generazione
superata.
Per
fortuna
la
vita
è
una
ruota
che
gira
e
dona
a
tutti
utili
insegnamenti.
è
assurdo,
inoltre,
che
non
si
possa
parlare
liberamente
con
parenti
e
amici
come
un
tempo,
poiché
c’è
sempre
qualcuno
che
ne
sa
“di
più”
e
pretende
di
darti
lezioni.
Capita
addirittura
che
tu
non
possa
cercar
comprensione
e
affetto
per
qualche
malattia:
subito
spunta
qualcuno
che
“è
più
malato
di
te”
e
t’invita
a
tacere
e a
non
lamentarti!
Competizione
perfino
nei
guai?!
Anche
a
Napoli,
città
da
tutti
definita
“anema
e
core”,
le
cose
stanno
cambiando.
Che
peccato!
Perché
non
riscopriamo
collaborazione,
empatia,
aiuto
reciproco
e
solidarietà?
“La
competizione
porta
alla
sconfitta.
Persone
che
tirano
la
corda
in
due
direzioni
opposte
si
stancano
e
non
arrivano
da
nessuna
parte”,
asserì
William
Edwards
Deming,
famoso
docente,
saggista
e
consulente
statunitense
che
si
attivò
per
insegnare
le
basi
del
controllo
statistico
della
qualità
nelle
produzioni
industriali.
In
un’altra
sua
affermazione
precisò
che
dobbiamo
imparare
tutti
a
lavorare
all'interno
di
un
sistema,
perché
“ogni
persona,
ogni
team,
ogni
divisione,
ogni
reparto,
ogni
componente
non
deve
esistere
per
trarre
un
qualche
vantaggio
individuale
o
per
competere
con
gli
altri
ma
solo
per
contribuire
all'intero
sistema
in
un'ottica
win-win".
Deming
con
tali
idee
si
batté
per
“la
qualità”
nelle
produzioni
industriali
ed
ebbe
successo,
perché
allora
non
ci
serviamo
oggi
di
questi
principi
per
migliorare
soprattutto
la
“qualità
della
vita”?