N. 39 - Marzo 2011
(LXX)
UNITà D'ITALIA
RIFLESSIONI INTORNO A UNA COMMEMORAZIONE
di Roberto Perrone
Quando frequentavo le elementari, in un istituto religioso
di
suore,
la
mia
maestra
mi
indottrinava
leggendomi
le
storie
risorgimentali.
Ancora
oggi
ricordo
la
commozione
che
provavo
per
“la
piccola
vedetta
lombarda”
e
per
tutti
i
patrioti
risorgimentali
con
in
testa
Garibaldi
;
Mazzini.
Cavour
e
Vittorio
Emanuele
II.
Abbandonai presto la scuola dopo la licenza media e non
ebbi
perciò,
l’opportunità
di
affrontare
debitamente
le
vicende
storiche
del
nostro
paese.
Sono passati da allora circa 60 anni durante i quali ho
sempre
continuato
a
commuovermi
quando
risentivo
la
storiella
della
“piccola
vedetta”
mentre
continuavo
a
portare
un
reverente
rispetto
per
i
signori
prima
menzionati.
La pensione, la volontà e la buona salute che il buon Dio
ha
ritenuto
di
volermi
concedere
mi
hanno
permesso
di
tornare
agli
studi
e
così
ho
conseguito
il
diploma
e
poi
la
laurea
in
Scienze
Politiche
e
delle
relazioni
internazionali
all’età
di
70
anni
suonati.
Utilizzando una metafora è come aver aperto una grande finestra
in
una
stanza
chiusa
al
buio
da
tempo
immemorabile.
Lo studio fatto a 70 anni é diverso da quello fatto in età
giovanile.
Da
“grandi”
si
studia
per
piacere,
per
passione
per
il
desiderio
di
capire,
di
scoprire,
di
conoscere
per
cui,
superare
i
vari
esami
non
era
l’obiettivo
principale
ma
solo
un
mezzo
ulteriore
di
conoscenza.
Molti studi mettevano in discussione le mie presunte cementate
convinzioni
frutto
dell’esperienza
di
una
vita
e
questo
mi
obbligava
a
maggiori
approfondimenti
e
soprattutto
ad
affrontare
lo
studio
con
senso
critico
e
non
prendendo
per
oro
colato
quanto
i
testi
universitari
(di
dubbia
scelta)
e
docenti
mi
propinavano.
Ho studiato molte materie utilizzando altri testi e non mi
vergogno
di
dirlo
attingendo
a
piene
mani
( e
a
piena
tastiera
) da
internet
dove
ho
sempre
trovato
ciò
che
cercavo.
Ma l’incontro che mi ha segnato è stato quello con i testi
universitari
di
storia
nei
quali
ancora
una
volta,
ho
ritrovato
le
storielle
risorgimentali
e i
valorosi
Mille!
Questa volta però la mia curiosità mi ha permesso di capire
e,
da
quella
finestra
spalancata,
è
entrata
nella
mia
mente
e
nel
mio
animo
la
luce
e la
verità.
"Tu
qua'
Natale...Pasca
e
Ppifania!
(per
dirla
con
l’indimenticato
Totò)
tutta
una
mistificazione,
una
montagna
di
bugie
e di
falsità
al
solo
scopo
di
coprire
l’orrore
di
una
sconsiderata
aggressione
ad
un
popolo
sovrano
e
che
viveva
in
pace
senza
gemiti
e
lamenti
e
senza
grida
di
dolore.
Galeotta fu la scoperta e chi la scrisse da quel giorno non
vi
furono
più
vedette
lombarde
o
savoiarde
che
fossero,
ne
tanto
meno
eroi
risorgimentali
da
ossequiare
o da
ammirare..!!!!!
Avevo acceso la luce sulle mie conoscenze e dissolto in un
baleno
ogni
sorta
di
illusione
e
mistificazione
che
mi
avevano
accompagnato
per
oltre
60
anni.
Ora capisco come, dittatori senza scrupoli e governi oppressori,
possano
facilmente
fare
il
lavaggio
del
cervello
nei
confronti
delle
masse
soprattutto
quando
in
quel
cervello
c’è
il
vuoto
della
conoscenza
e la
mistificazione
della
verità
storica.
Occorre riconoscere che l’agiografia risorgimentale ha saputo
mantenere
la
consegna
per
tanti
anni
dimostrando
che
la
storia
viene
scritta
dai
vincitori
non
dai
vinti.
Continuano
a
sostenere
tale
mistificazione
anche
la
maggior
parte
dei
nostri
governanti
e
quello
che
è
peggio
molti
professori
universitari
che
insegnano
tale
materia.
All’esame di Storia contemporanea mi venne chiesto della
spedizione
dei
mille.
Con
soddisfazione
e
orgoglio
“duo
siciliano”,
in
totale
contrasto
con
quanto
pazientemente
ascoltato
durante
le
lezioni,
risposi
che
si
era
trattato
di
una
vergognosa
passeggiata
tra
generali
venduti,
traditori,
mercenari
e
navi
straniere
a
difesa
di
quei
mille
disperati.
Ho pagato questa irriverenza con un 28 piuttosto che con un
30 e
lode,
questo
comunque
non
mi
ha
impedito
di
laurearmi
con
110
e
lode
con
una
tesi
appunto
di
storia
relativa
all’anno
1943
che
vide
l’arresto
di
Mussolini
e la
vergognosa
fuga
del
savoiardo
Vittorio
Emanuele
III
con
tutto
il
suo
ancor
più
vergognoso
seguito.
Ci
hanno
pensato
gli
amici
repubblicani
di
Ortona
a
porre
al
porto
una
lapide
a
ricordo
di
quel
vergognoso
evento.
Quest’anno si festeggia il centocinquantesimo anniversario
dell’Italia
Unità.
Non
c’è
nulla
da
festeggiare,
semmai
da
commemorare
e
ricordare
i
nostri
morti
ed
il
contributo
di
sangue
dato
dal
popolo
del
regno
delle
Due
Sicilie
all’Unità.
Una unità a cui sin dal 1200 ci aveva già pensato il grande
Federico
II
senza
peraltro
riuscirvi
ma
guadagnandosi
una
serie
di
scomuniche.
Successivamente ci hanno provato in tanti a unire quella
espressione
geografica
di
austriaca
definizione
ma
anch’essi
senza
riuscirci.
Ci
sono
invece
riusciti
i
savoiardi
che
viceversa
non
avevano
in
mente
nessuna
unità
ma
solo
il
desiderio
dell’allargamento
del
piccolo
regno
di
Sardegna
bisognoso
in
quel
momento
di
denaro
per
evitare
una
sicura
bancarotta.
La conferma di questo deriva dalla constatazione che il
“galantuomo”
(o
meglio
il
figlio
del
macellaio)
Vittorio
Emanuele
II
non
volle
cambiare
l’ordinale
dinastico
e la
legislatura
continuò
la
sua
normale
cronologica
numerazione
del
regno
di
Sardegna.
Altra conferma deriva dalla facilità con la quale nel 1860
i
savoiardi
si
sono
liberati
della
città
di
Nizza
che
aveva
dato
i
natali
a
Garibaldi
e
del
Ducato
di
Savoia
loro
terra
natale
che
già
all’epoca
quelle
genti
osannavano.
Gli
abitanti
del
regno
delle
due
sicilie
non
conoscevano
l’eroe
dei
due
mondi
tanto
che.
quando
arrivò
in
Sicilia
con
i
suoi
accoliti,
i
siciliani
lo
chiamavano
Garibaddo.
Nizza e la Savoia vennero barattate per l’aiuto dato da
Napoleone
III
alla
conquista
della
Lombardia
(Vittorio
Emanuele
e
quella
faina
di
Cavour
avrebbero
voluto
anche
il
Veneto
ma
gli
andò
male
perche
Napoleone
III,
con
i
prussiani
alle
porte
di
casa,
pensò
bene
di
affrettarsi
a
fare
l’armistizio
con
l’Austria
considerando
anche
che
una
vulva,
sia
pure
bella
e
risorgimentale
come
l’affascinante
Nicchia
non
valesse
la
perdita
di
ulteriori
vite
umane).
Quarantamila circa furono i morti nell’ultima battaglia
della
seconda
guerra
d’indipendenza,
e
tale
fu
l’impressione
che
destò
quella
carneficina
che
a
qualcuno
venne
in
mente
di
inventare
la
Croce
Rossa.
(Jean
Henry
Dunant
conferenza
di
Ginevra
1864).
Non c’è da festeggiare nulla, semmai da rendere onore ai
caduti
per
quella
unione
e
voglio
dire
ai
caduti
di
entrambe
le
parti
e se
proprio
si
vogliono
onorare
quei
soldati
che
si
immolarono
per
la
loro
patria,
beh,
allora
sarebbe
opportuno
dire
la
verità.
Sollevare
finalmente
quel
coperchio
che
tiene
chiusa
vigliaccamente
la
verità
storica,
smetterla
con
le
ipocrisie,
riscrivere
la
storia
per
quella
che
fu
non
per
quella
che
si
vuole
che
sia.
Rendere onore all’ultimo Re Borbone bersagliato per decenni
dalla
satira
liberale
trasformato
irriverentemente
nell’imbelle
Franceschiello
che
da
signore
quale
era
e da
napolitano
(cosi
amava
definirsi)
non
volle
ritirare
dalle
banche
i
suoi
depositi
mentre
con
somma
tristezza
e
per
evitare
un
ulteriore
massacro
lasciò
la
fortezza
di
Gaeta
per
riparare
dal
Papa
il
quale
restituiva
la
cortesia
fattagli
dal
padre
Ferdinando
II
ai
tempi
della
fuga
del
Santo
Pontefice
dalla
repubblica
Romana.
In occasione di queste commemorazioni il nostro pensiero
deve
andare
a
tutti
quegli
ex
soldati
borbonici
(napoletani
e
non)
che
si
rifiutarono
di
riconoscere
come
loro
il
Re
savoiardo
Vittorio
Emanuele
II
mantenendo
fede
a Re
Francesco
II
di
Borbone
e
alla
loro
Patria.
Furono
tradotti
con
gli
stessi
sistemi
e la
stessa
violenza
che
le
ss
adotteranno
successivamente
con
gli
ebrei
e
molti
di
essi
furono
portati
a
Fenestrelle
primo
campo
di
sterminio
della
storia
Europea,
gran
parte
morì
per
la
fame,
gli
stenti
e le
malattie.
Anche
molti
soldati
dello
stato
pontificio
fecero
la
stessa
fine,
chi
riuscì
a
evitare
questa
sventura
ebbe
da
fare
una
scelta
obbligata
o
brigante
o
emigrante!
Li chiamarono briganti ma non lo erano, era contadini, artigiani
ex
militari
borbonici
e
comunque
duosiciliani
che
volevano
combattere
per
la
loro
patria
e
per
il
loro
re.
Vi
sarà
stato
pure
qualche
sbandato
e
qualche
delinquente
comune,
ma
forse
non
ce
ne
furono
anche
tra
i
partigiani
della
seconda
guerra
mondiale?
Ai
duosiciliani
l’etichetta
di
briganti
non
gliela
toglie
nessuno,
i
partigiani
viceversa
furono
tutti
eroi
ancora
oggi
osannati
malgrado
le
verità
storiche
svelate
dal
buon
Panza
(ma
questa
è
un'altra
storia).
Molti braccianti meridionali avevano sperato che il nuovo
regime
assicurasse
una
qualche
riforma
agraria;
non
solo
le
loro
aspettative
andarono
deluse,
ma
il
nuovo
governo
introdusse
la
coscrizione
obbligatoria
ed
inasprì
le
imposte,
portando
alla
rovina
milioni
di
persone
anzi,
ai
meridionali
furono
fatti
pagare
,attraverso
un
carico
fiscale
più
alto
rispetto
al
resto
dell'Italia,
i
debiti
accumulati
dall'ex
Regno
di
Sardegna
ed
anche
le
spese
della
ricostruzione
della
guerra,
una
guerra
iniziata
non
per
loro
volere.
Lo
scioglimento
dell'esercito
borbonico
e di
quello
garibaldino
mise
poi
in
circolazione
migliaia
di
soldati
sbandati
e il
malcontento,
le
difficili
condizioni
economiche
sopravvenute,
il
durissimo
atteggiamento
delle
truppe
di
occupazione
piemontesi,
suscitarono
le
ire
della
popolazione
che
sfociarono
nella
rivolta
armata.
Dieci anni di lotte e di carneficine, i nostri briganti
vendettero
cara
la
pelle
costringendo
l’esercito
savoiardo
(pardon
Italiano)
a
scendere
al
sud
con
oltre
120.000
uomini.
L’arroganza e l’albagia piemontese fece si che l’esercito
inizialmente
non
volle
impiegare
la
cavalleria
contro
i
briganti.
Il
motivo
di
questa
negazione
risiede
nel
fatto
che
la
cavalleria
era
ritenuta
un
corpo
militare
d’elite
e
quindi
non
poteva
essere
impiegata
per
dei
cafoni
e
terroni
meridionali.
Dovettero invece impiegarla tutta ed anche in fretta perché
ci
fu
un
momento,
in
quegli
anni
di
brigantaggio,
se
non
di
guerra
civile,
nei
quali
i
duosiciliani
furono
ad
un
passo
dal
riconquistare
il
regno
e
solo
un
ennesimo
tradimento
consentì
ai
piemontesi
di
arrestare
ed
uccidere
il
generale
spagnolo
José
Borges
che
stava
coordinando
le
irregolari
truppe
brigantesche
unitamente
al
più
conosciuto
dei
briganti
Carmine
Donatello
Crocco.
Riporto
un
piccolo
stralcio
dal
film
Li
chiamarono…
briganti
di
Pasquale
Squitieri.
Il film parla della resistenza degli uomini e delle donne
del
sud
Italia
contro
i
Savoia,
alcune
scene
sono
molto
forti:
carabinieri
che
stuprano,
accordi
non
rispettati,
e
sono
tutte
cose
documentate
presso
l’Archivio
di
Stato,
nel
film
ci
sono
tutte
le
premesse
della
situazione
italiana
odierna.
È prettamente un film revisionista, volto a raccontare un'altra
versione
dei
fatti
avvenuti
poco
dopo
il
Risorgimento,
in
special
modo
nel
meridione.
Vengono
illustrate
in
maniera
cruda
le
atrocità
che
l'esercito
piemontese
perpetrò
nei
confronti
delle
popolazioni
lucane:
stupri,
eccidi
di
massa
compiuti
in
nome
del
diritto
di
rappresaglia
e
decapitazioni
di
alcuni
briganti,
le
cui
teste
furono
messe
in
mostra
per
intimorire
le
popolazioni
locali.
Quest'episodio fa riferimento ad una pratica effettivamente
utilizzata
durante
la
repressione
del
brigantaggio,
documentata
attraverso
testimonianze
fotografiche
e
bibliografiche.
Inoltre
Squitieri
mette
in
luce
altri
aspetti
di
questa
controversa
pagina
storica
come
i
contatti
tra
governo
sabaudo
e
criminalità
organizzata
per
acquietare
le
rivolte
e le
conseguenze
negative
dell'unità
d'Italia
che
si
abbatterono
nel
sud
della
penisola:
la
questione
meridionale
e
l’emigrazione.
Il film fu penalizzato dalla critica e registrò un incasso
irrisorio
al
botteghino
(75
milioni
di
lire),
dovuto
anche
all'immediato
ritiro
dalle
sale
cinematografiche
ed è
introvabile
sia
in
supporto
VHS
che
DVD.
I
motivi
della
sua
sospensione
non
sono
ancora
chiari,
sebbene
i
detrattori
parlano
di
boicottaggio
di
una
sgradita
verità
che
si
tende
a
mantenere
nascosta.
Un monologo di Carmine Crocco ai suoi uomini:
Abbiamo
fatto
la
rivoluzione
perché
ci
avevano
promesso
la
repubblica
e
invece
hanno
cambiato
un
re
con
un
altro
re.
Ci
hanno
riempito
la
testa
di
chiacchiere.
Tasse,
carte,
fame
e ci
hanno
fatto
più
schiavi
di
prima
e
per
la
disperazione
siamo
diventati
ladri,
spergiuri,
assassini
senza
Dio
ne
Patria
e
abbiamo
fatto
il
loro
gioco
perché
loro
ci
considerano
così
come
cani
rabbiosi,
miserabili
e
feroci.
Ma
in
questo
destino
c’è
un
futuro
di
vergogna
che
ricadrà
sui
nostri
figli
perché
saranno
figli
di
ladri
di
assassini
e di
puttane.
Ma
noi
ci
dobbiamo
ribellare
contro
questo
destino.
Dobbiamo
combattere
contro
queste
ingiustizie,
ma
dobbiamo
combattere
come
dei
veri
soldati,
dobbiamo
costruire
un
esercito
fatto
di
disperati
di
sfruttati
e di
lavoratori
traditi.
Ma
non
siamo
soli.
No
insieme
a
noi
ci
sta
chi
da
questo
governo
è
stato
umiliato,
infangato
e
poi
ci
sta
il
re
nostro,
la
corona
che
tornerà
a
governarci
quando
avremo
cacciato
l’invasore.
Chi
viene
con
me
non
deve
giurare
fedeltà
perché
il
forte
non
ha
bisogno
di
giurare
e il
debole
tradirà
qualsiasi
giuramento.
Chi
viene
con
me
deve
giurare
di
andare
fino
in
fondo…
fino
alla
vittoria.
I danni provocati dall’Unità d’Italia ottenuta in quel modo
lasciarono
una
pesante
eredità
che
andò
sotto
il
nome
di
“questione
meridionale”.
La
definizione
venne
usata
per
la
prima
volta
nel
1873
dal
deputato
al
Parlamento
del
Regno
d’Italia
Antonio
Billia.
Con
questa
allocuzione
si
intendeva
stigmatizzare
la
disastrosa
situazione
economica
e
civile
che
si
era
venuta
a
creare
nel
mezzogiorno
d’Italia
a
seguito
dell’unificazione
italiana.
Se ne accorse anche quell’eroe di Garibaldi tanto da fare
autocritica
tardiva
e
inutile.
“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono
incommensurabili.
Sono
convinto
di
non
aver
fatto
male,
nonostante
ciò
non
rifarei
oggi
la
via
dell’Italia
meridionale,
temendo
di
essere
preso
a
sassate,
essendosi
colà
cagionato
solo
squallore
e
suscitato
solo
odio”.
Giuseppe Garibaldi
(da
una
lettera
ad
Adelaide
Cairoli
del
1868).
Qui al Sud nessuno ha voglia di festeggiare questo centocinquantesimo
anniversario.
A
Torino
fanno
festa
e
studiano
come
spartirsi
le
ingenti
somme
elargite
per
questi
festeggiamenti.
Come pensa l’opulento nord di considerare una Italia unita
quando
una
parte
di
essa,
il
sud
appunto,
viene
abbandonato
a se
stesso,
viene
impoverito
e
sfruttato.
E
quand’anche
venissimo
considerati
il
bacino
d’utenza
dei
prodotti
fabbricati
al
nord
come
si
farà
ad
acquistarli
se
continueranno
a
impoverire
il
Sud,
come
faranno
le
grandi
aziende
del
nord
e le
multinazionali
a
trarre
profitti
da
un
mercato
senza
soldi
e
senza
lavoro?.
Credo
che
si
tratti
di
una
strategia
di
marketing
decisamente
errata
e
che
poggia
sull’ottenimento
di
risultati
nel
presente
ma
di
sicuro
insuccesso
per
il
futuro.
In questi ultimi anni assistiamo ad un risveglio della memoria
storica
della
gente
del
Sud
specificatamente
per
quanto
attiene
una
più
corretta
conoscenza
del
loro
passato
e
l’appartenenza
al
regno
delle
due
sicilie
governato
dai
Borbone
e
che
fu
dei
loro
bisnonni
e
dei
loro
avi.
Contrariamente a quanto la storiografia savoiarda ha voluto
far
conoscere,
fornendo
una
immagine
deleteria
e
distorta
se
non
spudoratamente
falsa,
di
quel
regno
e di
quei
re,
oggi
assistiamo
con
vera
soddisfazione
ad
un
ritrovato
orgoglio
di
appartenenza.
Essere
Borbone
oggi
comincia
a
palesarsi
motivo
di
fierezza
per
molti
giovani
e
non;
l’aver
scoperto
le
proprie
gloriose
origini,
l’aver
saputo
che
prima
dell’unificazione
il
regno
delle
Due
Sicilie
e
quindi
il
sud
era
all’avanguardia
ovunque,
ha
ridato
entusiasmo
e
carica
ai
così
detti
terroni.
Questa sana ricostruzione storica si sta diffondendo a macchia
d’olio
e
non
solo
al
sud;
molti
settentrionali
che
non
sapevano
ora
sanno
e
piegano
la
testa,
qualcuno
piange
e
qualcuno
si
scusa,
molti
sono
sbalorditi.
È in
atto
una
vera
rivoluzione
culturale
che
si
appresta
a
restituirci
quella
dignità
rubata,
quell’orgoglio
perduto
quella
fierezza
che
non
ci
ha
mai
abbandonato.
Lo stupore di queste rivelazioni risulta pari a quello che
investì
il
mondo
all’indomani
della
scoperta
degli
orrori
dei
campi
di
sterminio
nazisti.
Questi
però
vennero
alla
luce
abbastanza
presto
allorquando
gli
alleati
entrarono
nei
campi
di
concentramento
con
i
tedeschi
in
fuga
(1945);
le
atrocità
commesse
dall’esercito
piemontese
(
pardon
Italiano)
nei
confronti
della
gente
del
sud,
a
distanza
di
150
anni,
appunto,
continuano
ad
essere
coperte
da
omertà
e
colpevoli
menzogne.
Cosi come gli Ebrei ebbero (purtroppo) il loro Dr. Josef
Mengele
i
sudditi
del
regno
delle
Due
Sicilie
hanno
avuto
il
loro
Dr.
Marco
Ezechia
Lombroso.
Costui
analizzando
il
cranio
di
uno
sventurato
duo
siciliano,
ritenuto
brigante
(tal
Giuseppe
Villella
di
Motta
Santa
Lucia);
sostenne
che
la
“fossetta
occipitale
mediana”
presente
nella
testa
di
quel
disgraziato,
fosse
causa
dei
comportamenti
deviati
del
“tipo
criminale”.
Il Dr. Mengele, scusate il Dr. Lombroso fu anche capace di
scoprire
attraverso
i
suoi
studi
“la
ruga
del
cretino”,
“Perche
i
preti
si
vestono
da
donne”
ed
uno
studio
su
“Dante
epilettico”!!!!
E
per
non
farsi
mancare
nulla
quell’insigne
studioso
veronese
di
nascita
ma
torinese
di
adozione,
spingeva
per
la
pena
di
morte
per
colui
o
coloro
avessero
le
caratteristiche
somatiche
delinquenziali
da
lui
“scoperte”.
Tralascio di entrare nel merito onde evitare il turpiloquio,
devo
però
segnalare
che
il
cranio
di
quel
poveretto
duo
siciliano
attende
ancora
sepoltura
mentre
risulta
esposto
in
bella
mostra
su
una
mensola
del
museo
di
antropologia
criminale
di
Torino
inaugurato
in
pompa
magna
il
26
novembre
2009
(vergogna!)
(quell’incivile
quanto
orrendo
monumento
all’anti-scienza
ed
al
razzismo
che
è il
Museo
Lombroso
di
Torino).
Chiudiamo il Museo Lombroso, diamo la dignità della sepoltura
alle
centinaia
di
resti
umani
là
esposti.
Mi
risulta
che
si
stanno
raccogliendo
firme
per
tentare
di
far
chiudere
ufficialmente
quell’indegno
luogo
che
offende
nell’intimo
tutti
i
meridionali.
Occorre inoltre aggiungere che gli Ebrei ebbero un processo
di
Norimberga
parzialmente
ristoratore
degli
eccidi,
i
carnefici
della
gente
del
sud
sono
rimasti
viceversa
impuniti,
anzi
i
loro
nomi
(
Garibaldi,
Cavour,
Cialdini,
Vittorio
Emanuele
II,
Liborio
Romano,
Bixio
ecc.)
campeggiano
nelle
nostre
vie
e
nelle
nostre
piazze
(vergogna!!!)
Portare alla luce tutto questo è stato possibile per il
coraggio
di
alcuni
uomini
e
donne
che
da
anni
si
battono
perché
si
giunga
alla
verità
e
per
questo
lavorano,
scrivono,
studiano,
lottano
e si
adoperano.
Non voglio, né posso fare una graduatoria, perché non ho i
mezzi
per
farlo
ma
mi
piace
comunque
segnalare
quelli
che
conosco
e mi
scuso
con
coloro
che
non
cito
perche
non
conosco
ma
che
ringrazio:
Gennaro
De
Crescenzo
–
Libro
“Contro
Garibaldi”
Enzo
Gulì
Pino
Aprile
–
Libro
“I
terroni”
Alessandro
Romano
– E
le
mostre
sul
brigantaggio
Nicola
Zitara
–
“Memorie
di
quand’ero
italiano”
1994,
e
tanti
altri
Angelo
Manna
– e
la
sua
interpellanza
parlamentare
Gabriele
Falco
Giuseppe
Nuzzo
-
Comitato
per
la
Verità
Storica,
Editoriale
Il
Giglio
Napoli
Fiore
Marro
Lino
Patruno
–
“Alla
riscossa
terroni”
Dora
Liguori
–
“Quell’amara
Unità
d’Italia”
Fernando
Riccardi
Gigi
Di
Fiore
–
“Controstoria
dell’Unità
d’Italia”
Antonio
Ciano
– “
I
Savoia
e il
massacro
del
sud”
Giacinto
De
Sivo
– Il
sorriso
del
Signore
Mi
rendo
conto
che
l’elenco
è
decisamente
incompleto
e mi
scuso
con
coloro,
e
sono
tanti,
che
non
cito
solo
perché
non
conosco
ma,
tutti,
sono
meritevoli
di
gratitudine.
Tutte
le
associazioni
che
si
battono
per
l’affermazione
della
verità
storica,
e
sono
tante,
dovrebbero
trasformarsi
in
un
partito
politico,
ma
solo
uno,
che
porti
avanti
una
politica
per
il
sud
e lo
difenda
dallo
scriteriato
attacco
della
lega
e
dal
pericoloso
federalismo.
Fresco
di
studi
ho
approfondito
la
conoscenza
della
legge
sul
federalismo
e
debbo
dire
che
sulla
carta
sembrerebbe
una
buona
cosa,
ma
solo
sulla
carta.
Infatti
la
stesura
del
disegno
di
questa
legge
denuncia
una
pericolosa
approssimazione
dovuta
alla
fretta
con
la
quale
la
lega
ha
spinto
e
spinge
per
la
sua
approvazione.
Così
come
prevede
l'art.119
della
Costituzione
il
fondo
perequativo,
assegnato
senza
vincolo
di
destinazione
è
già
stato
etichettato
come
una
elemosina
fatta
dal
nord
al
sud.
Tale fondo costituisce viceversa un doveroso correttivo per
quelle
regioni
che
per
condizioni
storiche,
obiettive
e
responsabilità
di
chi
le
ha
governate
non
potranno
disporre
di
un
gettito
fiscale
sufficiente
per
garantire
quel
minimo
di
servizi
alla
comunità.