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N. 39 - Marzo 2011 (LXX)

UNITà D'ITALIA
RIFLESSIONI INTORNO A UNA COMMEMORAZIONE

di Roberto Perrone

 

Quando frequentavo le elementari, in un istituto religioso di suore, la mia maestra mi indottrinava leggendomi le storie risorgimentali. Ancora oggi ricordo la commozione che provavo per “la piccola vedetta lombarda” e per tutti i patrioti risorgimentali con in testa Garibaldi ; Mazzini. Cavour e Vittorio Emanuele II.

 

Abbandonai presto la scuola dopo la licenza media e non ebbi perciò, l’opportunità di affrontare debitamente le vicende storiche del nostro paese.

 

Sono passati da allora circa 60 anni durante i quali ho sempre continuato a commuovermi quando risentivo la storiella della “piccola vedetta” mentre continuavo a portare un reverente rispetto per i signori prima menzionati.

 

La pensione, la volontà e la buona salute che il buon Dio ha ritenuto di volermi concedere mi hanno permesso di tornare agli studi e così ho conseguito il diploma e poi la laurea in Scienze Politiche e delle relazioni internazionali all’età di 70 anni suonati.

 

Utilizzando una metafora è come aver aperto una grande finestra in una stanza chiusa al buio da tempo immemorabile.

 

Lo studio fatto a 70 anni é diverso da quello fatto in età giovanile. Da “grandi” si studia per piacere, per passione per il desiderio di capire, di scoprire, di conoscere per cui, superare i vari esami non era l’obiettivo principale ma solo un mezzo ulteriore di conoscenza.

 

Molti studi mettevano in discussione le mie presunte cementate convinzioni frutto dell’esperienza di una vita e questo mi obbligava a maggiori approfondimenti e soprattutto ad affrontare lo studio con senso critico e non prendendo per oro colato quanto i testi universitari (di dubbia scelta) e docenti mi propinavano.

 

Ho studiato molte materie utilizzando altri testi e non mi vergogno di dirlo attingendo a piene mani ( e a piena tastiera ) da internet dove ho sempre trovato ciò che cercavo.

Ma l’incontro che mi ha segnato è stato quello con i testi universitari di storia nei quali ancora una volta, ho ritrovato le storielle risorgimentali e i valorosi Mille!

 

Questa volta però la mia curiosità mi ha permesso di capire e, da quella finestra spalancata, è entrata nella mia mente e nel mio animo la luce e la verità.

 

"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania! (per dirla con l’indimenticato Totò) tutta una mistificazione, una montagna di bugie e di falsità al solo scopo di coprire l’orrore di una sconsiderata aggressione ad un popolo sovrano e che viveva in pace senza gemiti e lamenti e senza grida di dolore.

 

Galeotta fu la scoperta e chi la scrisse da quel giorno non vi furono più vedette lombarde o savoiarde che fossero, ne tanto meno eroi risorgimentali da ossequiare o da ammirare..!!!!!

 

Avevo acceso la luce sulle mie conoscenze e dissolto in un baleno ogni sorta di illusione e mistificazione che mi avevano accompagnato per oltre 60 anni.

 

Ora capisco come, dittatori senza scrupoli e governi oppressori, possano facilmente fare il lavaggio del cervello nei confronti delle masse soprattutto quando in quel cervello c’è il vuoto della conoscenza e la mistificazione della verità storica.

 

Occorre riconoscere che l’agiografia risorgimentale ha saputo mantenere la consegna per tanti anni dimostrando che la storia viene scritta dai vincitori non dai vinti. Continuano a sostenere tale mistificazione anche la maggior parte dei nostri governanti e quello che è peggio molti professori universitari che insegnano tale materia.

 

All’esame di Storia contemporanea mi venne chiesto della spedizione dei mille. Con soddisfazione e orgoglio “duo siciliano”, in totale contrasto con quanto pazientemente ascoltato durante le lezioni, risposi che si era trattato di una vergognosa passeggiata tra generali venduti, traditori, mercenari e navi straniere a difesa di quei mille disperati.

 

Ho pagato questa irriverenza con un 28 piuttosto che con un 30 e lode, questo comunque non mi ha impedito di laurearmi con 110 e lode con una tesi appunto di storia relativa all’anno 1943 che vide l’arresto di Mussolini e la vergognosa fuga del savoiardo Vittorio Emanuele III con tutto il suo ancor più vergognoso seguito. Ci hanno pensato gli amici repubblicani di Ortona a porre al porto una lapide a ricordo di quel vergognoso evento.

 

Quest’anno si festeggia il centocinquantesimo anniversario dell’Italia Unità. Non c’è nulla da festeggiare, semmai da commemorare e ricordare i nostri morti ed il contributo di sangue dato dal popolo del regno delle Due Sicilie all’Unità.

 

Una unità a cui sin dal 1200 ci aveva già pensato il grande Federico II senza peraltro riuscirvi ma guadagnandosi una serie di scomuniche.

 

Successivamente ci hanno provato in tanti a unire quella espressione geografica di austriaca definizione ma anch’essi senza riuscirci. Ci sono invece riusciti i savoiardi che viceversa non avevano in mente nessuna unità ma solo il desiderio dell’allargamento del piccolo regno di Sardegna bisognoso in quel momento di denaro per evitare una sicura bancarotta.

 

La conferma di questo deriva dalla constatazione che il “galantuomo” (o meglio il figlio del macellaio) Vittorio Emanuele II non volle cambiare l’ordinale dinastico e la legislatura continuò la sua normale cronologica numerazione del regno di Sardegna.

 

Altra conferma deriva dalla facilità con la quale nel 1860 i savoiardi si sono liberati della città di Nizza che aveva dato i natali a Garibaldi e del Ducato di Savoia loro terra natale che già all’epoca quelle genti osannavano. Gli abitanti del regno delle due sicilie non conoscevano l’eroe dei due mondi tanto che. quando arrivò in Sicilia con i suoi accoliti, i siciliani lo chiamavano Garibaddo.

 

Nizza e la Savoia vennero barattate per l’aiuto dato da Napoleone III alla conquista della Lombardia (Vittorio Emanuele e quella faina di Cavour avrebbero voluto anche il Veneto ma gli andò male perche Napoleone III, con i prussiani alle porte di casa, pensò bene di affrettarsi a fare l’armistizio con l’Austria considerando anche che una vulva, sia pure bella e risorgimentale come l’affascinante Nicchia non valesse la perdita di ulteriori vite umane).

 

Quarantamila circa furono i morti nell’ultima battaglia della seconda guerra d’indipendenza, e tale fu l’impressione che destò quella carneficina che a qualcuno venne in mente di inventare la Croce Rossa. (Jean Henry Dunant conferenza di Ginevra 1864).

 

Non c’è da festeggiare nulla, semmai da rendere onore ai caduti per quella unione e voglio dire ai caduti di entrambe le parti e se proprio si vogliono onorare quei soldati che si immolarono per la loro patria, beh, allora sarebbe opportuno dire la verità. Sollevare finalmente quel coperchio che tiene chiusa vigliaccamente la verità storica, smetterla con le ipocrisie, riscrivere la storia per quella che fu non per quella che si vuole che sia.

 

Rendere onore all’ultimo Re Borbone bersagliato per decenni dalla satira liberale trasformato irriverentemente nell’imbelle Franceschiello che da signore quale era e da napolitano (cosi amava definirsi) non volle ritirare dalle banche i suoi depositi mentre con somma tristezza e per evitare un ulteriore massacro lasciò la fortezza di Gaeta per riparare dal Papa il quale restituiva la cortesia fattagli dal padre Ferdinando II ai tempi della fuga del Santo Pontefice dalla repubblica Romana.

 

In occasione di queste commemorazioni il nostro pensiero deve andare a tutti quegli ex soldati borbonici (napoletani e non) che si rifiutarono di riconoscere come loro il Re savoiardo Vittorio Emanuele II mantenendo fede a Re Francesco II di Borbone e alla loro Patria. Furono tradotti con gli stessi sistemi e la stessa violenza che le ss adotteranno successivamente con gli ebrei e molti di essi furono portati a Fenestrelle primo campo di sterminio della storia Europea, gran parte morì per la fame, gli stenti e le malattie. Anche molti soldati dello stato pontificio fecero la stessa fine, chi riuscì a evitare questa sventura ebbe da fare una scelta obbligata o brigante o emigrante!

 

Li chiamarono briganti ma non lo erano, era contadini, artigiani ex militari borbonici e comunque duosiciliani che volevano combattere per la loro patria e per il loro re. Vi sarà stato pure qualche sbandato e qualche delinquente comune, ma forse non ce ne furono anche tra i partigiani della seconda guerra mondiale? Ai duosiciliani l’etichetta di briganti non gliela toglie nessuno, i partigiani viceversa furono tutti eroi ancora oggi osannati malgrado le verità storiche svelate dal buon Panza (ma questa è un'altra storia).

 

Molti braccianti meridionali avevano sperato che il nuovo regime assicurasse una qualche riforma agraria; non solo le loro aspettative andarono deluse, ma il nuovo governo introdusse la coscrizione obbligatoria ed inasprì le imposte, portando alla rovina milioni di persone anzi, ai meridionali furono fatti pagare ,attraverso un carico fiscale più alto rispetto al resto dell'Italia, i debiti accumulati dall'ex Regno di Sardegna ed anche le spese della ricostruzione della guerra, una guerra iniziata non per loro volere. Lo scioglimento dell'esercito borbonico e di quello garibaldino mise poi in circolazione migliaia di soldati sbandati e il malcontento, le difficili condizioni economiche sopravvenute, il durissimo atteggiamento delle truppe di occupazione piemontesi, suscitarono le ire della popolazione che sfociarono nella rivolta armata.

 

Dieci anni di lotte e di carneficine, i nostri briganti vendettero cara la pelle costringendo l’esercito savoiardo (pardon Italiano) a scendere al sud con oltre 120.000 uomini.

 

L’arroganza e l’albagia piemontese fece si che l’esercito inizialmente non volle impiegare la cavalleria contro i briganti. Il motivo di questa negazione risiede nel fatto che la cavalleria era ritenuta un corpo militare d’elite e quindi non poteva essere impiegata per dei cafoni e terroni meridionali.

 

Dovettero invece impiegarla tutta ed anche in fretta perché ci fu un momento, in quegli anni di brigantaggio, se non di guerra civile, nei quali i duosiciliani furono ad un passo dal riconquistare il regno e solo un ennesimo tradimento consentì ai piemontesi di arrestare ed uccidere il generale spagnolo José Borges che stava coordinando le irregolari truppe brigantesche unitamente al più conosciuto dei briganti Carmine Donatello Crocco.

 

Riporto un piccolo stralcio dal film Li chiamarono… briganti di Pasquale Squitieri. Il film parla della resistenza degli uomini e delle donne del sud Italia contro i Savoia, alcune scene sono molto forti: carabinieri che stuprano, accordi non rispettati, e sono tutte cose documentate presso l’Archivio di Stato, nel film ci sono tutte le premesse della situazione italiana odierna.

 

È prettamente un film revisionista, volto a raccontare un'altra versione dei fatti avvenuti poco dopo il Risorgimento, in special modo nel meridione. Vengono illustrate in maniera cruda le atrocità che l'esercito piemontese perpetrò nei confronti delle popolazioni lucane: stupri, eccidi di massa compiuti in nome del diritto di rappresaglia e decapitazioni di alcuni briganti, le cui teste furono messe in mostra per intimorire le popolazioni locali.

 

Quest'episodio fa riferimento ad una pratica effettivamente utilizzata durante la repressione del brigantaggio, documentata attraverso testimonianze fotografiche e bibliografiche. Inoltre Squitieri mette in luce altri aspetti di questa controversa pagina storica come i contatti tra governo sabaudo e criminalità organizzata per acquietare le rivolte e le conseguenze negative dell'unità d'Italia che si abbatterono nel sud della penisola: la questione meridionale e l’emigrazione.

 

Il film fu penalizzato dalla critica e registrò un incasso irrisorio al botteghino (75 milioni di lire), dovuto anche all'immediato ritiro dalle sale cinematografiche ed è introvabile sia in supporto VHS che DVD. I motivi della sua sospensione non sono ancora chiari, sebbene i detrattori parlano di boicottaggio di una sgradita verità che si tende a mantenere nascosta.

 

Un monologo di Carmine Crocco ai suoi uomini:

 

Abbiamo fatto la rivoluzione perché ci avevano promesso la repubblica e invece hanno cambiato un re con un altro re. Ci hanno riempito la testa di chiacchiere. Tasse, carte, fame e ci hanno fatto più schiavi di prima e per la disperazione siamo diventati ladri, spergiuri, assassini senza Dio ne Patria e abbiamo fatto il loro gioco perché loro ci considerano così come cani rabbiosi, miserabili e feroci.

 

Ma in questo destino c’è un futuro di vergogna che ricadrà sui nostri figli perché saranno figli di ladri di assassini e di puttane. Ma noi ci dobbiamo ribellare contro questo destino. Dobbiamo combattere contro queste ingiustizie, ma dobbiamo combattere come dei veri soldati, dobbiamo costruire un esercito fatto di disperati di sfruttati e di lavoratori traditi.

 

Ma non siamo soli. No insieme a noi ci sta chi da questo governo è stato umiliato, infangato e poi ci sta il re nostro, la corona che tornerà a governarci quando avremo cacciato l’invasore.

 

Chi viene con me non deve giurare fedeltà perché il forte non ha bisogno di giurare e il debole tradirà qualsiasi giuramento. Chi viene con me deve giurare di andare fino in fondo… fino alla vittoria.

 

I danni provocati dall’Unità d’Italia ottenuta in quel modo lasciarono una pesante eredità che andò sotto il nome di “questione meridionale”. La definizione venne usata per la prima volta nel 1873 dal deputato al Parlamento del Regno d’Italia Antonio Billia. Con questa allocuzione si intendeva stigmatizzare la disastrosa situazione economica e civile che si era venuta a creare nel mezzogiorno d’Italia a seguito dell’unificazione italiana.

 

Se ne accorse anche quell’eroe di Garibaldi tanto da fare autocritica tardiva e inutile.

“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio”.

Giuseppe Garibaldi (da una lettera ad Adelaide Cairoli del 1868).

 

Qui al Sud nessuno ha voglia di festeggiare questo centocinquantesimo anniversario. A Torino fanno festa e studiano come spartirsi le ingenti somme elargite per questi festeggiamenti.

Come pensa l’opulento nord di considerare una Italia unita quando una parte di essa, il sud appunto, viene abbandonato a se stesso, viene impoverito e sfruttato. E quand’anche venissimo considerati il bacino d’utenza dei prodotti fabbricati al nord come si farà ad acquistarli se continueranno a impoverire il Sud, come faranno le grandi aziende del nord e le multinazionali a trarre profitti da un mercato senza soldi e senza lavoro?. Credo che si tratti di una strategia di marketing decisamente errata e che poggia sull’ottenimento di risultati nel presente ma di sicuro insuccesso per il futuro.

In questi ultimi anni assistiamo ad un risveglio della memoria storica della gente del Sud specificatamente per quanto attiene una più corretta conoscenza del loro passato e l’appartenenza al regno delle due sicilie governato dai Borbone e che fu dei loro bisnonni e dei loro avi.

 

Contrariamente a quanto la storiografia savoiarda ha voluto far conoscere, fornendo una immagine deleteria e distorta se non spudoratamente falsa, di quel regno e di quei re, oggi assistiamo con vera soddisfazione ad un ritrovato orgoglio di appartenenza. Essere Borbone oggi comincia a palesarsi motivo di fierezza per molti giovani e non; l’aver scoperto le proprie gloriose origini, l’aver saputo che prima dell’unificazione il regno delle Due Sicilie e quindi il sud era all’avanguardia ovunque, ha ridato entusiasmo e carica ai così detti terroni.

 

Questa sana ricostruzione storica si sta diffondendo a macchia d’olio e non solo al sud; molti settentrionali che non sapevano ora sanno e piegano la testa, qualcuno piange e qualcuno si scusa, molti sono sbalorditi. È in atto una vera rivoluzione culturale che si appresta a restituirci quella dignità rubata, quell’orgoglio perduto quella fierezza che non ci ha mai abbandonato.

 

Lo stupore di queste rivelazioni risulta pari a quello che investì il mondo all’indomani della scoperta degli orrori dei campi di sterminio nazisti. Questi però vennero alla luce abbastanza presto allorquando gli alleati entrarono nei campi di concentramento con i tedeschi in fuga (1945); le atrocità commesse dall’esercito piemontese ( pardon Italiano) nei confronti della gente del sud, a distanza di 150 anni, appunto, continuano ad essere coperte da omertà e colpevoli menzogne.

 

Cosi come gli Ebrei ebbero (purtroppo) il loro Dr. Josef Mengele i sudditi del regno delle Due Sicilie hanno avuto il loro Dr. Marco Ezechia Lombroso. Costui analizzando il cranio di uno sventurato duo siciliano, ritenuto brigante (tal Giuseppe Villella di Motta Santa Lucia); sostenne che la “fossetta occipitale mediana” presente nella testa di quel disgraziato, fosse causa dei comportamenti deviati del “tipo criminale”.

 

Il Dr. Mengele, scusate il Dr. Lombroso fu anche capace di scoprire attraverso i suoi studi “la ruga del cretino”, “Perche i preti si vestono da donne” ed uno studio su “Dante epilettico”!!!! E per non farsi mancare nulla quell’insigne studioso veronese di nascita ma torinese di adozione, spingeva per la pena di morte per colui o coloro avessero le caratteristiche somatiche delinquenziali da lui “scoperte”.

 

Tralascio di entrare nel merito onde evitare il turpiloquio, devo però segnalare che il cranio di quel poveretto duo siciliano attende ancora sepoltura mentre risulta esposto in bella mostra su una mensola del museo di antropologia criminale di Torino inaugurato in pompa magna il 26 novembre 2009 (vergogna!) (quell’incivile quanto orrendo monumento all’anti-scienza ed al razzismo che è il Museo Lombroso di Torino).

 

Chiudiamo il Museo Lombroso, diamo la dignità della sepoltura alle centinaia di resti umani là esposti. Mi risulta che si stanno raccogliendo firme per tentare di far chiudere ufficialmente quell’indegno luogo che offende nell’intimo tutti i meridionali.

 

Occorre inoltre aggiungere che gli Ebrei ebbero un processo di Norimberga parzialmente ristoratore degli eccidi, i carnefici della gente del sud sono rimasti viceversa impuniti, anzi i loro nomi ( Garibaldi, Cavour, Cialdini, Vittorio Emanuele II, Liborio Romano, Bixio ecc.) campeggiano nelle nostre vie e nelle nostre piazze (vergogna!!!)

 

Portare alla luce tutto questo è stato possibile per il coraggio di alcuni uomini e donne che da anni si battono perché si giunga alla verità e per questo lavorano, scrivono, studiano, lottano e si adoperano.

 

Non voglio, né posso fare una graduatoria, perché non ho i mezzi per farlo ma mi piace comunque segnalare quelli che conosco e mi scuso con coloro che non cito perche non conosco ma che ringrazio:

Gennaro De Crescenzo – Libro “Contro Garibaldi”

Enzo Gulì

Pino Aprile – Libro “I terroni”

Alessandro Romano – E le mostre sul brigantaggio

Nicola Zitara – “Memorie di quand’ero italiano” 1994, e tanti altri

Angelo Manna – e la sua interpellanza parlamentare

Gabriele Falco

Giuseppe Nuzzo - Comitato per la Verità Storica, Editoriale Il Giglio Napoli

Fiore Marro

Lino Patruno – “Alla riscossa terroni”

Dora Liguori – “Quell’amara Unità d’Italia”

Fernando Riccardi

Gigi Di Fiore – “Controstoria dell’Unità d’Italia”

Antonio Ciano – “ I Savoia e il massacro del sud”

Giacinto De Sivo – Il sorriso del Signore

 

Mi rendo conto che l’elenco è decisamente incompleto e mi scuso con coloro, e sono tanti, che non cito solo perché non conosco ma, tutti, sono meritevoli di gratitudine.

 

Tutte le associazioni che si battono per l’affermazione della verità storica, e sono tante, dovrebbero trasformarsi in un partito politico, ma solo uno, che porti avanti una politica per il sud e lo difenda dallo scriteriato attacco della lega e dal pericoloso federalismo.

 

Fresco di studi ho approfondito la conoscenza della legge sul federalismo e debbo dire che sulla carta sembrerebbe una buona cosa, ma solo sulla carta. Infatti la stesura del disegno di questa legge denuncia una pericolosa approssimazione dovuta alla fretta con la quale la lega ha spinto e spinge per la sua approvazione. Così come prevede l'art.119 della Costituzione il fondo perequativo, assegnato senza vincolo di destinazione è già stato etichettato come una elemosina fatta dal nord al sud.

 

Tale fondo costituisce viceversa un doveroso correttivo per quelle regioni che per condizioni storiche, obiettive e responsabilità di chi le ha governate non potranno disporre di un gettito fiscale sufficiente per garantire quel minimo di servizi alla comunità.



 

 

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