[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

191 / NOVEMBRE 2023 (CCXXII)


contemporanea

LA PRIGIONE DEI VINTI
SUL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI COLTANO

di Marco Fossati

 

Tra l’8 e il 9 luglio 1943 le truppe angloamericane sbarcano in Sicilia. Inizia, nell’ambito della Seconda Guerra Mondiale, la cosiddetta “campagna d’Italia” che ha come obiettivo l’occupazione della Penisola. Lo sbarco contribuisce in modo essenziale alla caduta del governo di Benito Mussolini, alla dissoluzione del regime fascista (25 luglio) e, soprattutto, alla successiva resa italiana. Eventi che determinano l’inizio di un periodo estremamente confuso e drammatico per l’Italia.

 

Il re e il nuovo capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio, dopo l’annuncio dell’armistizio (8 settembre), fuggono nelle regioni meridionali, già occupate dagli angloamericani, proclamando la continuità dello Stato italiano e ricevendo, in un secondo tempo, anche l’appoggio di tutti i partiti antifascisti che si erano ricostituiti nel Comitato di Liberazione Nazionale. Di fatto si forma una nuova entità politica (a livello storico spesso denominata Regno del Sud) sebbene con una sovranità concessa e molto limitata, dagli anglo americani. Il Governo dell’Italia meridionale quindi, dichiara formalmente guerra al vecchio alleato, la Germania e rientra nel conflitto al fianco degli eserciti angloamericani a cui si era appena arreso (mediante l’inedita formula della cobelligeranza).

 

Il Centro-nord Italia è invece velocemente occupato dall’esercito tedesco e, con la liberazione di Benito Mussolini (agli arresti da luglio), si costituisce la Repubblica Sociale Italiana (RSI), il cui governo risiederà a Salò. Anche qui una nuova entità politica nella quale il regime fascista cerca di ricostruirsi e recuperare le idee delle origini; in realtà diventerà poco più che uno stato fantoccio controllato dai tedeschi, al cui fianco proseguirà la guerra. Tutto ciò comporta che nelle regioni centro-settentrionali del Paese, si organizzi e si diffonda un movimento di opposizione al rinnovato regime e all’occupante tedesco, ovvero la Resistenza, nello stesso momento in cui la RSI andava assumendo una propria struttura istituzionale.

 

«La credibilità di un’istituzione statale in tempo di guerra dipende dalla disponibilità di una forza armata efficiente e combattiva», inoltre, «un vero esercito permetterebbe di riacquistare un ruolo militare all’interno dell’alleanza e di riscattare agli occhi dell’alleato il tradimento del re e di Badoglio» (Oliva 2023). Su queste basi viene avviata la creazione delle forze armate repubblicane. I bandi di arruolamento (8 e 9 novembre), chiamano alle armi le classi del 1924 e 1925 mentre un ulteriore bando, in cui sono richiamate anche le classi 1922, 1923 e dove è prevista la pena di morte per renitenti e disertori, viene emanato nel febbraio del 1944. Prende così forma un esercito di leva che affianca le numerose milizie di volontari legate al Partito fascista. Si stima che complessivamente le forze armate repubblicane ammontassero a oltre mezzo milione di effettivi. Benché non fossero forze trascurabili non incontrarono i favori dell’alleato germanico.

 

Le autorità militari tedesche, che ne avevano di fatto il comando, erano piuttosto diffidenti circa la ricomposizione di un vero e proprio esercito italiano; pesava l’impreparazione e forse temevano un nuovo tradimento. Pertanto le armate di Salò non furono quasi mai impiegate sulla linea del fronte per contrastare l’avanzata angloamericana ma vennero adibite alla lotta contro i partigiani. Aspetto questo che aggiungerà un sovrappiù di tensione e quindi di violenza nel quadro della guerra civile di cui anche i comandi alleati dovranno tenere conto all’indomani del crollo della Repubblica sociale (25 aprile 1945). Infatti, «è facile immaginare che la parte più consistente degli armati di Salò cercherà di consegnarsi agli angloamericani per evitare la resa dei conti con le formazioni partigiane» (Oliva 2023).

 

Le autorità alleate, occupato anche il Nord Italia e controllando quindi l’intera Penisola, avevano la necessità di mantenere l’ordine pubblico e pertanto dovevano in qualche modo gestire (e spesso sostituire) la giustizia insurrezionale delle formazioni partigiane, evitando che si tramutasse in giustizia sommaria o semplice vendetta; cosa che avrebbe creato chiaramente, oltre a un bagno di sangue, una situazione difficilmente controllabile. C’era poi la diatriba in atto da mesi con il Governo italiano (dal 1944 guidato da Ivanoe Bonomi) riguardante lo status giuridico degli appartenenti alla Repubblica Sociale. Il Regno del Sud non aveva ovviamente riconosciuto la RSI e si riteneva l’unico Stato italiano legittimo; di conseguenza i cittadini che avevano aderito alla Repubblica sociale rispondendo ai bandi di arruolamento, oltre ovviamente ai volontari, erano da considerarsi traditori e, se catturati, non potevano ricadere nella categoria dei prigionieri di guerra, tutelata dalla Convenzione di Ginevra. Gli Alleati pur con qualche perplessità la pensarono diversamente ed equipararono le forze repubblicane ai soldati tedeschi catturati, considerandoli appunto prigionieri di guerra.

 

Di conseguenza, tenuto conto di tutti questi elementi, le autorità angloamericane decisero di costruire un unico campo di detenzione nel quale concentrare tutti i militi della RSI catturati o arresisi dopo il 25 aprile e fino allora detenuti in campi provvisori sparsi in tutto il Nord Italia, molti dei quali controllati dalle formazioni partigiane. Il mantenimento dell’ordine pubblico e l’accertamento delle responsabilità individuali erano i principali obiettivi. «Da un lato fermare chi è stato nemico sino alla resa e verificarne eventuali responsabilità in eccidi e rastrellamenti; dall’altro sottrarre chi ha combattuto a Salò alla giustizia sommaria» (Oliva 2023).

 

Con un campo di grandi dimensioni si poteva inoltre non disperdere troppi uomini e risorse nelle attività di sorveglianza. Vi era poi un ulteriore intento, sottaciuto, che guardava già agli equilibri geopolitici del Dopoguerra: «Reintegrare nella futura vita politica dell’Italia liberata gli ex fascisti, utilizzandone le convinzioni profondamente anticomuniste» (Oliva 2023). Presa la decisione fu individuata una grande area pianeggiante di campi coltivati, appartenente all’Opera Nazionale Combattenti, situata nella frazione di Coltano nel comune di Pisa; relativamente vicino al Nord Italia ovvero alle regioni dove era stata maggiormente presente la Repubblica Sociale ma allo stesso tempo lontano dai territori dove la guerra civile era stata più aspra. Il comando alleato il 17 maggio emanò l’ordine di requisizione delle terre e ai primi di giugno l’area fu pronta per accogliere i primi prigionieri; la sorveglianza venne affidata ai soldati americani della 92° divisione Buffalo.

 

In pratica il campo di concentramento era costituito da tre strutture distinte che coprivano una superficie totale di circa un milione e duecentomila metri quadrati. I campi denominati (Prisoner War) PWE 336 e PWE 338, furono destinati ai soldati tedeschi e di altre nazionalità, sempre inquadrati nella Wehrmacht (l’esercito germanico). Gli italiani furono invece tutti rinchiusi nel PWE 337, che era il campo più piccolo per dimensioni e in cui il trattamento dei prigionieri sarà decisamente peggiore rispetto agli altri due. Dati ufficiali che si riferiscono alla fine di settembre del 1945, quando il campo (PWE 337) era già da qualche tempo passato sotto la giurisdizione delle autorità italiane, parlano di 32.220 internati italiani. In realtà non vi è certezza dei numeri soprattutto per il periodo in cui il campo fu gestito dagli americani, anche perché sulla storia di Coltano non vi sono molti studi.

 

Pochi sono i lavori di taglio scientifico e di ricerca su fonti documentali, che abbiano affrontato il tema. Vi sono diverse autobiografie e scritti di memorie da parte di ex internati sul cui contenuto però bisogna ragionare. Negli ultimi anni del secolo scorso la memorialistica si è arricchita di contributi anche grazie alle testimonianze, rese pubbliche in modo più o meno esplicito, di numerosi reduci della prigionia che nel Dopoguerra diventarono personaggi noti nel mondo dello spettacolo, dello sport e della cultura italiana. Furono detenuti a Coltano attori e presentatori molto famosi come Raimondo Vianello, Walter Chiari o Enrico Maria Salerno, i popolari giornalisti Enrico Ameri e Mauro De Mauro, il marciatore Pino Dordoni, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, il musicista e compositore Gorni Kramer.

 

Mentre di molti altri la presenza nel campo è stata messa in discussione. Se alcuni reduci ricordano Coltano come un posto terribile di maltrattamenti e violenze, altri lo ricordano solo come luogo di riflessione su scelte giovanili sbagliate. Comunque l’analisi delle testimonianze, porta ad affermare che le condizioni di prigionia non fossero paragonabili a quelle dei campi di concentramento giapponesi in Asia, ai gulag sovietici e men che meno ai lager nazisti. Allo stesso tempo emerge però come il regime di detenzione fosse piuttosto rigido e la vita degli internati molto dura, non mancando soprusi e maltrattamenti.

 

Il PWE 337 era formato da una doppia fila di reti metalliche che ne costituivano il perimetro, nel corridoio tra le due reti erano posizionate torrette di osservazione munite di riflettori e mitragliatrici con sentinelle di guardia, mentre all’esterno, oltre le reti, si aggiravano pattuglie di soldati armati. Una strada attraversava il campo dividendolo in due parti uguali; al loro interno c’erano dei recinti realizzati mediante rotoli di filo spinato, dove stavano i prigionieri che, per ricovero, avevano solo delle tendine canadesi da sei o quattro posti. Uno di questi settori o recinti venne adibito a ospedale da campo mentre un altro era riservato a prigionieri tedeschi considerati affidabili che svolgevano la funzione di guardiani. Vicino al cancello d’ingresso, in baracche di legno, erano invece dislocati il comando, l’ufficio matricola e i magazzini.

 

I vari settori erano tutti più o meno uguali; «Ognuno aveva, a ridosso della rete confinante con lo stradone, una grande tenda per il comando americano-tedesco, [...] mentre sulla destra erano sistemate le baracche del magazzino viveri e materiali vari. [...] Nei pressi della tenda comando una tendina canadese fungeva da ambulatorio accudito da un medico prigioniero, mentre in altre due tendine venivano ricoverati i malati in osservazione. [...] Sempre davanti alla tenda comando erano in bella vista il palo di punizione e la gabbia e poi dopo un largo spiazzo per le adunate o le conte erano allineate le tendine canadesi intervallate tra loro per lasciare il posto agli scoli dell’acqua. [...] Le file delle capanne latrine era in fondo quasi alla rete di recinzione» (Ciabattini 1995). In ogni recinto (tranne quello adibito a ospedale) vi erano tra i tremila e i quattromila prigionieri.

 

Un aspetto che ricorre nelle testimonianze è quello riguardante il traumatico arrivo al campo. I prigionieri per giungere a Coltano erano trasportati su camion militari e nell’attraversare le città toscane, incontravano spesso gruppi di persone che inveivano, sputavano e lanciavano pietre e bastoni contro di loro (identificandoli come i responsabili della guerra e delle tragedie appena trascorse), nell’indifferenza dei soldati americani che li conducevano e scortavano. Questo, secondo alcune testimonianze, è solo l’inizio dell’ostilità e della durezza che gli internati subiscono da parte dei soldati americani e dei guardiani tedeschi.

 

Il fatto poi che gli alleati di ieri fossero diventati i propri carcerieri, per di più godendo di un trattamento di favore, era motivo di rabbia e sconforto in molti detenuti che vivevano questa situazione quasi come una tortura psicologica. Inoltre: «A rendere più aspra la vita dei prigionieri, contribuiva molto la natura» (Ciabattini 1995). L’unico ricovero erano le tende canadesi dallo spazio limitato e nelle quali non si poteva sostare durante il giorno, ciò costringeva gli uomini a essere completamente esposti alle condizioni climatiche; gli agenti atmosferici erano i veri aguzzini. Altro elemento comune in tutte le memorie è la sofferenza causata dalla fame, soprattutto dalla fine di luglio quando le razioni alimentari iniziano a diventare di pessima qualità e sempre più scarse, diffondendo malattie e casi di denutrizione.

 

Questo sarà uno dei fattori principali che, nell’autunno del 1945, porteranno alla chiusura del campo. Comunque il 28 agosto i comandi alleati decidono di trasferire Coltano sotto la giurisdizione italiana. Se da un lato migliorano i rapporti tra carcerieri e internati dall’altro peggiorano le condizioni generali; la mancanza di cibo diventa una costante e probabilmente aumenta anche il numero dei decessi (anche in questo caso mancano dati ufficiali: le stime per l’intero periodo di attività del campo, sei mesi, oscillano tra i 300 e i 600 decessi). In una nazione appena uscita dalla guerra non vi sono le risorse per mantenere migliaia di uomini e creare strutture per l’inverno, in legno o muratura, che prevengano centinaia di decessi.

 

«Alle ragioni logistiche si aggiungono quelle giuridiche: i prigionieri di Coltano sono combattenti di Salò di cui va accertato il comportamento e le eventuali responsabilità in atti criminosi, ma non soggetti rispetto ai quali sono state mosse accuse specifiche; di molti anzi non è stata neppure accertata la vera identità» (Oliva 2023). Iniziava anche a sorgere un problema di ordine pubblico con migliaia di parenti dei detenuti che giungevano a Coltano per cercare i propri famigliari, dei quali spesso non avevano notizie da mesi o anni (il caso di molti ex militari fatti prigionieri all’estero) e che si accampavano all’aperto, nei pressi del campo e nelle frazioni vicine. Inoltre pesava, in prospettiva del ritorno a libere elezioni, anche il nuovo quadro politico italiano con la riproposizione del tema dell’anticomunismo in funzione antisovietica, che stava diventando il programma centrale di molte forze politiche; «migliaia di combattenti che hanno scelto Salò, costituiscono un serbatoio ragguardevole di probabili simpatie conservatrici» (Oliva 2023).

 

Considerati tutti questi aspetti, la chiusura del campo entrò decisamente nell’agenda della classe dirigente italiana e già alla fine di settembre, il governo Parri, decise per la chiusura; che doveva avvenire entro la metà di ottobre dopo aver verificato le posizioni dei prigionieri. A tale proposito vennero istituite trentuno commissioni che esaminavano gli internati mediante interrogatori, cercando di appurare se avessero commesso crimini, reati politici o partecipato a rastrellamenti ed esecuzioni di partigiani. Gli interrogatori furono ovviamente rapidi e sommari, non c’era tempo di raccogliere prove.

 

«Il risultato è che al 10 di ottobre, su 28.070 soggetti esaminati, 26.402 sono giudicati liberabili: gli altri 1.668, per i quali esistono elementi indiziari, vengono traferiti a Laterina» (Oliva 2023); un campo di concentramento più piccolo, in provincia di Arezzo, creato dalle autorità italiane nel settembre 1945 proprio per accogliere ex fascisti. Il PWE 337 verrà smobilitato solo il 1° novembre e l’intera struttura smantellata nel gennaio 1946. La linea politica della riconciliazione nazionale si era ormai consolidata tra le principali forze politiche.

 

Nel giugno del 1946 il governo De Gasperi emanava il Decreto presidenziale di amnistia e indulto per i reati comuni, politici e militari (la cosiddetta amnistia Togliatti, seguita poi da altri provvedimenti). Molti degli ex combattenti della RSI ricadevano nelle fattispecie previste dalla norma, pertanto nel giro di un anno gran parte di essi verrà rilasciato. Anche il campo di Laterina così come altri campi e prigioni minori ancora in funzione, che detenevano reduci di Salò, verranno progressivamente smantellati entro la primavera del 1947.

 

Si conclude così la vicenda dei campi di concentramento per fascisti in Italia; argomento del quale si è sempre parlato poco, cercando di rimuoverlo anche dall’indagine storica. In effetti non era molto incoraggiante occuparsi di coloro che avevano perso la guerra e che oltretutto erano dalla parte sbagliata della Storia. Inoltre sui campi di prigionia per fascisti pesava l’aspetto del trattamento dei prigionieri e questo poteva coinvolgere chi li aveva materialmente gestiti; dalle formazioni partigiane ai governi italiani ma soprattutto i comandi alleati.

 

Tutti rischiavano di essere messi in cattiva luce; era meglio evitare tali argomenti, dimenticarli. «In realtà non c’è nulla da nascondere. Semplicemente c’è da indagare una ulteriore pagina della stagione tormentata e contraddittoria che ha travolto la generazione cresciuta nella guerra 1940-45: per capire ciò che è accaduto, per capire come è potuto accadere» (Oliva 2023).

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Ciabattini, Pietro, Coltano 1945, Mursia, Milano 1995. 

Oliva, Gianni, Il Purgatorio dei Vinti, Mondadori, Milano 2023. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]