[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 204 / DICEMBRE 2024 (CCXXXV)


arte

METAMORFOSI DI UN COLORE
IL ROSSO, DA SIMBOLO DEL POTERE A CROMIA NATALIZIA
di Titti Brunori Zezza

 

Il colore rosso è stato il primo colore creato dall’uomo. La sua storia affascinante risale all’antichità più remota quando alcune popolazioni rivierasche del bacino del Mediterraneo riuscirono a ottenere dai gasteropodi del genere Purpura, Murex, Buccino e Mitra una sostanza per tingere le loro stoffe di lino o di lana. Un tempo reperibili in grandi quantità sui bassi fondali di quel mare questi molluschi monovalvi presentano una ghiandola posizionata nella superficie interna del mantello, presso il retto, dalle dimensioni al massimo di un pisello, da cui si ricava una sostanza colorante che può andare dal rosso scarlatto al rosso cupo fino a quello violaceo.

 

Data la scarsa quantità del principio colorante fornito da ciascun mollusco ne occorrevano migliaia per poter tingere le stoffe e se a ciò si aggiunge il fatto che tale tintura risultava indelebile si può desumere in quale considerazione fosse tenuta quella sostanza. Si ritiene che la pesca di quei gasteropodi fosse effettuata tramite nasse contenenti delle esche. Quindi, conservati per un breve periodo in capaci vasche ai margini degli abitati, la conchiglia che racchiudeva il mollusco veniva rotta ed eliminata mentre il pigmento ottenuto dai molluschi, che risultava concentrato, veniva diluito con un maggior o minore quantitativo di acqua a seconda dell’intensità di colore che si voleva ottenere. Solo allora vi venivano immerse le stoffe le quali, esposte all’aria, a seguito dell’ossidazione del colore diventavano rosse.

I principali centri di produzione della porpora erano dislocati nella Fenicia, nella Laconia e sulle coste dell’Africa, ma furono soprattutto i Fenici a distinguersi nell’antichità per la consistente produzione e commercializzazione di quella sostanza colorante. L’archeologo Sabatino Moscati ci ricorda in un suo scritto che il loro nome, di origine greca e risalente al periodo omerico, ha proprio attinenza con quella attività in quanto “phoinix” in greco significa “rosso porpora”.

 

Che il rosso porpora fosse anche il mitico colore della clamide degli dei e che fossero le Naiadi nel loro amabile, oscuro antro nei pressi di Itaca a tessere per loro quella stoffa preziosa (Odissea, XIII, 107-108) penso che tutti coloro che hanno dimestichezza con la civiltà greca antica lo ricordino.

 

Nell’antichità non solo i Greci appezzarono questo colore, ma anche i Romani i quali gli attribuirono un valore identitario. Il rosso porpora connotava alcuni capi di abbigliamento di chi era investito di un particolare potere: la “trabea”, varietà di toga generalmente bianca con strisce purpuree orizzontali. era riservata a personalità d’alto rango come sacerdoti o consoli; invece nel “clavus“, se una striscia stretta di color rosso porpora veniva sovrapposta alla tunica, indicava l’appartenenza all’”ordo equester” di chi la indossava, se invece era larga, simboleggiava l’“ordo senatorius”. Un mantello militare di colore rosso purpureo era invece il “paludamentum” indossato dai generali romani.

 

Ci fu anche un imperatore, Aureliano, che considerandosi divino in quanto rappresentante del dio in terra (passerà alla storia con l’appellativo di “Deus et Dominus”) durante la celebrazione dei riti sacri portava in capo un diadema radiato e sulle spalle un mantello di color porpora trapuntato d’oro e pietre preziose. L’attribuzione restrittiva del pregnante valore simbolico di quel colore rosso al solo imperatore portò in quel periodo addirittura alla proibizione di tingere panni di color porpora per chiunque tranne che per lui onde evitare che chi li indossasse contaminasse la maestà imperiale o fosse preso da propositi di usurpazione.

 

Nel mondo antico, però, anche due materiali lapidei la cui cromia ricorda proprio le stoffe tinte con la porpora, vale a dire il granito rosso e il porfido, sono stati largamente impiegati per molti secoli per la loro valenza simbolica, quella regale o sacrale. In Egitto, dove dell’una e dell’altra pietra ornamentale erano stati individuati importanti giacimenti, per primo fu impiegato il granito rosso a partire da quando nacque in forma strabiliante, come dal nulla, un’architettura monumentale; quella delle tre maestose piramidi di Giza, che concorreva alla rappresentazione dell’immagine sacrale più che regale del loro sovrano, il faraone, il quale riteneva di avere un rapporto filiale con la divinità.

 

Ora di quelle tombe si può intravvedere solo parzialmente la splendente maestosità, ma lo scrittore e scienziato del III seolo. a.C. Filone di Bisanzio, sintetizzando l’affascinante spettacolo che si presentava allora ai suoi occhi, così si esprimeva: “... ora la pietra è bianca e marmorea, ora etiopica e nera ... altre pietre ancora sono di un viola vitreo, o simile alla cotogna, ovvero di porpora, non diversa da quella che si estrae dai crostacei marini “.

 

Il granito rosso fu largamente impiegato dagli Egizi anche per la costruzione degli alti obelischi posti davanti ai loro templi quale simbolo del vivificante potere del loro dio Sole. Plinio il vecchio, il più illustre predecessore degli studiosi delle pietre antiche, ricorda nel XXXVI capitolo della sua “Naturalis Historia” che il granito rosso si chiamava “Lapys pyrrhopoecilos” per la sua peculiarità di presentare tutte le varietà dei colori del fuoco derivante dalla sua componente feldspatica.

 

Una volta subentrati i Romani nello sfruttamento delle cave di quel materiale lapideo, dopo la conquista dell’Egitto, la sua estrazione venne potenziata, ma contemporaneamente si cominciò a sfruttare da parte loro anche i giacimenti di un’ altra pietra ornamentale, il porfido, sino ad allora sporadicamente utilizzata dai faraoni. Quest’ultima invece a Roma diventerà il materiale lapideo per eccellenza atto a sottolineare il potere dei futuri imperatori.

 

Non solo la naturale bellezza di tale pietra, anch’essa di origine magmatica, ma ancora una volta proprio il suo colore rosso ne decreteranno per alcuni secoli la sua grande fortuna. “Una pietra di porpora” i cui giacimenti, tuttora esistenti, si trovano nel deserto orientale egiziano a 50 km dal mar Rosso su di un monte alto 1661 metri che i Romani denominarono Mons Igneus per essere sempre avvolto da un polverone rossastro a causa della intensa attività estrattiva. Le sue cave diventeranno di proprietà esclusiva dell’imperatore e quel materiale lapideo acquisirà il valore di simbolo regale.

 

A Roma su grandi “rotae” di porfido che decoravano la pavimentazione della dimora dell’imperatore dovevano genuflettersi i dignitari ammessi alla sua presenza. Di statue di porfido si cominciarono a vedere i primi esemplari già sotto l’impero di Claudio e poco dopo in urne o sarcofaghi di porfido verranno custoditi i resti mortali dei successivi imperatori. Anche nel futuro contesto bizantino non solo sempre il porfido dovrà accogliere a lungo le spoglie degli imperatori, ma anche al momento della loro nascita tale materiale lapideo dovrà essere presente in quelle “stanze della porpora”, cosiddette per essere tutte foderate di porfido, dove il parto avveniva. Da qui il termine di “porfirogeniti” attribuito ai neonati futuri regnanti.

 

E’ a partire dall’alto Medioevo che il colore rosso assume in Occidente anche un valore dichiaratamente religioso, ma già da prima esso aveva cominciato a interessare la sfera religiosa giudaicocristiana. Nell’Antico Testamento Yahvè si manifesta attraverso l’intermediazione di un fuoco, ma anche nel giorno della Pentecoste cristiana il Signore si manifesterà agli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco. Il sangue di Cristo, che si trasforma in vino nella celebrazione della Messa, diventerà per i fedeli il rosso per eccellenza. Dalla metà del secolo tredicesimo, proprio in ricordo di quel sangue versato anche dai martiri, i cardinali di Santa Romana Chiesa che costituivano i primi soldati della fede, vestiranno di rosso diventando i cosiddetti “porporati”. Il colore si è così sostantivato!

 

Ma nel XVI secolo sarà il movimento protestante a scagliarsi contro quel colore ritenuto indecente, immorale e legato alla vanità del mondo. Da allora esso avrà meno visibilità in Europa sino a quando, con la Rivoluzione francese, esso riacquisterà un significato politico diventando il colore delle forze progressiste, ma anche di quelle  sovversive. Una ambivalenza che ancora lo connota poiché noi lo percepiamo oggi sia come il colore dell’amore, della gloria e della bellezza, ma anche dell’orgoglio, della violenza, della lussuria.

 

Di questi tempi non c’è altro periodo dell’anno in cui il colore rosso trionfi quanto durante le festività natalizie. E ciò a partire dall’abbigliamento tipico di Babbo Natale che è la versione nostrana di quel Sankt Claus (corruzione di Sanctus Nicolaus) la cui immagine negli anni Trenta del XX secolo una campagna pubblicitaria promossa dalla Coca Cola negli Stati Uniti d’America diffuse in tutto il mondo. Famoso per la sua generosità nei confronti dei bambini, quel santo era stato vescovo di Myra in Asia Minore, ma dopo la sua morte avvenuta il 6 dicembre del 343 d.C, egli aveva cominciato ben presto a essere venerato anche in tutta Europa dove ogni Paese sviluppò una propria figura di portatore di doni a lui ispirata e poi intrecciata con le tradizioni locali precedenti il cristianesimo.

 

In seguito. grazie a quei coloni olandesi che nel secolo XVII erano migrati nell’America settentrionale fondando la città di New Amsterdam, l’attuale New York, la tradizione di festeggiare quel santo, chiamato nel loro Paese d’origine Sint Klaas (abbreviazione di Sinter Nicolaas), si diffuse anche nel Nuovo Mondo. All’inizio dell’Ottocento fu, però, grazie a un componimento poetico intitolato “A visit from Saint Nicholas” scritto per i propri figli da un austero professore di letteratura greca e lingue orientali di nome Clement Clarke Moore  se il santo assunse quell’aspetto che perdura tutt’oggi nel nostro immaginario collettivo: quello di un vecchio elfo allegro e paffuto che a bordo di una slitta trainata da otto piccole renne va distribuendo nella notte di Natale i doni ai bambini. E ovviamente il suo abbigliamento di un rosso acceso prende spunto dalle insegne episcopali con cui le immagini antiche ce lo hanno tramandato: una mitra e un sontuoso mantello di quel colore che era simbolo del suo ruolo ecclesiastico.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]