METAMORFOSI DI UN COLORE
IL ROSSO, DA SIMBOLO
DEL POTERE A CROMIA NATALIZIA
di Titti
Brunori Zezza
Il
colore rosso è stato il primo colore
creato dall’uomo. La sua storia
affascinante risale all’antichità
più remota quando alcune popolazioni
rivierasche del bacino del
Mediterraneo riuscirono a ottenere
dai gasteropodi del genere Purpura,
Murex, Buccino e Mitra una sostanza
per tingere le loro stoffe di lino o
di lana. Un tempo reperibili in
grandi quantità sui bassi fondali di
quel mare questi molluschi monovalvi
presentano una ghiandola posizionata
nella superficie interna del
mantello, presso il retto, dalle
dimensioni al massimo di un pisello,
da cui si ricava una sostanza
colorante che può andare dal rosso
scarlatto al rosso cupo fino a
quello violaceo.
Data
la scarsa quantità del principio
colorante fornito da ciascun
mollusco ne occorrevano migliaia per
poter tingere le stoffe e se a ciò
si aggiunge il fatto che tale
tintura risultava indelebile si può
desumere in quale considerazione
fosse tenuta quella sostanza. Si
ritiene che la pesca di quei
gasteropodi fosse effettuata tramite
nasse contenenti delle esche.
Quindi, conservati per un breve
periodo in capaci vasche ai margini
degli abitati, la conchiglia che
racchiudeva il mollusco veniva rotta
ed eliminata mentre il pigmento
ottenuto dai molluschi, che
risultava concentrato, veniva
diluito con un maggior o minore
quantitativo di acqua a seconda
dell’intensità di colore che si
voleva ottenere. Solo allora vi
venivano immerse le stoffe le quali,
esposte all’aria, a seguito
dell’ossidazione del colore
diventavano rosse.
I
principali centri di produzione
della porpora erano dislocati nella
Fenicia, nella Laconia e sulle coste
dell’Africa, ma furono soprattutto i
Fenici a distinguersi nell’antichità
per la consistente produzione e
commercializzazione di quella
sostanza colorante. L’archeologo
Sabatino Moscati ci ricorda in un
suo scritto che il loro nome, di
origine greca e risalente al periodo
omerico, ha proprio attinenza con
quella attività in quanto “phoinix”
in greco significa “rosso porpora”.
Che il
rosso porpora fosse anche il mitico
colore della clamide degli dei e che
fossero le Naiadi nel loro amabile,
oscuro antro nei pressi di Itaca a
tessere per loro quella stoffa
preziosa (Odissea, XIII,
107-108) penso che tutti coloro che
hanno dimestichezza con la civiltà
greca antica lo ricordino.
Nell’antichità non solo i Greci
appezzarono questo colore, ma anche
i Romani i quali gli attribuirono un
valore identitario. Il rosso porpora
connotava alcuni capi di
abbigliamento di chi era investito
di un particolare potere: la
“trabea”, varietà di toga
generalmente bianca con strisce
purpuree orizzontali. era riservata
a personalità d’alto rango come
sacerdoti o consoli; invece nel “clavus“,
se una striscia stretta di color
rosso porpora veniva sovrapposta
alla tunica, indicava l’appartenenza
all’”ordo equester” di chi la
indossava, se invece era larga,
simboleggiava l’“ordo senatorius”.
Un mantello militare di colore rosso
purpureo era invece il “paludamentum”
indossato dai generali romani.
Ci fu
anche un imperatore, Aureliano, che
considerandosi divino in quanto
rappresentante del dio in terra
(passerà alla storia con
l’appellativo di “Deus et Dominus”)
durante la celebrazione dei riti
sacri portava in capo un diadema
radiato e sulle spalle un mantello
di color porpora trapuntato d’oro e
pietre preziose. L’attribuzione
restrittiva del pregnante valore
simbolico di quel colore rosso al
solo imperatore portò in quel
periodo addirittura alla proibizione
di tingere panni di color porpora
per chiunque tranne che per lui onde
evitare che chi li indossasse
contaminasse la maestà imperiale o
fosse preso da propositi di
usurpazione.
Nel
mondo antico, però, anche due
materiali lapidei la cui cromia
ricorda proprio le stoffe tinte con
la porpora, vale a dire il granito
rosso e il porfido, sono stati
largamente impiegati per molti
secoli per la loro valenza
simbolica, quella regale o sacrale.
In Egitto, dove dell’una e
dell’altra pietra ornamentale erano
stati individuati importanti
giacimenti, per primo fu impiegato
il granito rosso a partire da quando
nacque in forma strabiliante, come
dal nulla, un’architettura
monumentale; quella delle tre
maestose piramidi di Giza, che
concorreva alla rappresentazione
dell’immagine sacrale più che regale
del loro sovrano, il faraone, il
quale riteneva di avere un rapporto
filiale con la divinità.
Ora di
quelle tombe si può intravvedere
solo parzialmente la splendente
maestosità, ma lo scrittore e
scienziato del III seolo. a.C.
Filone di Bisanzio, sintetizzando
l’affascinante spettacolo che si
presentava allora ai suoi occhi,
così si esprimeva: “... ora la
pietra è bianca e marmorea, ora
etiopica e nera ... altre pietre
ancora sono di un viola vitreo, o
simile alla cotogna, ovvero di
porpora, non diversa da quella che
si estrae dai crostacei marini
“.
Il
granito rosso fu largamente
impiegato dagli Egizi anche per la
costruzione degli alti obelischi
posti davanti ai loro templi quale
simbolo del vivificante potere del
loro dio Sole. Plinio il vecchio, il
più illustre predecessore degli
studiosi delle pietre antiche,
ricorda nel XXXVI capitolo della sua
“Naturalis Historia” che il
granito rosso si chiamava “Lapys
pyrrhopoecilos” per la sua
peculiarità di presentare tutte le
varietà dei colori del fuoco
derivante dalla sua componente
feldspatica.
Una
volta subentrati i Romani nello
sfruttamento delle cave di quel
materiale lapideo, dopo la conquista
dell’Egitto, la sua estrazione venne
potenziata, ma contemporaneamente si
cominciò a sfruttare da parte loro
anche i giacimenti di un’ altra
pietra ornamentale, il porfido, sino
ad allora sporadicamente utilizzata
dai faraoni. Quest’ultima invece a
Roma diventerà il materiale lapideo
per eccellenza atto a sottolineare
il potere dei futuri imperatori.
Non
solo la naturale bellezza di tale
pietra, anch’essa di origine
magmatica, ma ancora una volta
proprio il suo colore rosso ne
decreteranno per alcuni secoli la
sua grande fortuna. “Una pietra
di porpora” i cui giacimenti,
tuttora esistenti, si trovano nel
deserto orientale egiziano a 50 km
dal mar Rosso su di un monte alto
1661 metri che i Romani denominarono
Mons Igneus per essere sempre
avvolto da un polverone rossastro a
causa della intensa attività
estrattiva. Le sue cave diventeranno
di proprietà esclusiva
dell’imperatore e quel materiale
lapideo acquisirà il valore di
simbolo regale.
A Roma
su grandi “rotae” di porfido
che decoravano la pavimentazione
della dimora dell’imperatore
dovevano genuflettersi i dignitari
ammessi alla sua presenza. Di statue
di porfido si cominciarono a vedere
i primi esemplari già sotto l’impero
di Claudio e poco dopo in urne o
sarcofaghi di porfido verranno
custoditi i resti mortali dei
successivi imperatori. Anche nel
futuro contesto bizantino non solo
sempre il porfido dovrà accogliere a
lungo le spoglie degli imperatori,
ma anche al momento della loro
nascita tale materiale lapideo dovrà
essere presente in quelle “stanze
della porpora”, cosiddette per
essere tutte foderate di porfido,
dove il parto avveniva. Da qui il
termine di “porfirogeniti”
attribuito ai neonati futuri
regnanti.
E’ a
partire dall’alto Medioevo che il
colore rosso assume in Occidente
anche un valore dichiaratamente
religioso, ma già da prima esso
aveva cominciato a interessare la
sfera religiosa giudaicocristiana.
Nell’Antico Testamento Yahvè si
manifesta attraverso
l’intermediazione di un fuoco, ma
anche nel giorno della Pentecoste
cristiana il Signore si manifesterà
agli Apostoli sotto forma di lingue
di fuoco. Il sangue di Cristo, che
si trasforma in vino nella
celebrazione della Messa, diventerà
per i fedeli il rosso per
eccellenza. Dalla metà del secolo
tredicesimo, proprio in ricordo di
quel sangue versato anche dai
martiri, i cardinali di Santa Romana
Chiesa che costituivano i primi
soldati della fede, vestiranno di
rosso diventando i cosiddetti
“porporati”. Il colore si è così
sostantivato!
Ma nel
XVI secolo sarà il movimento
protestante a scagliarsi contro quel
colore ritenuto indecente, immorale
e legato alla vanità del mondo. Da
allora esso avrà meno visibilità in
Europa sino a quando, con la
Rivoluzione francese, esso
riacquisterà un significato politico
diventando il colore delle forze
progressiste, ma anche di quelle
sovversive. Una ambivalenza che
ancora lo connota poiché noi lo
percepiamo oggi sia come il colore
dell’amore, della gloria e della
bellezza, ma anche dell’orgoglio,
della violenza, della lussuria.
Di
questi tempi non c’è altro periodo
dell’anno in cui il colore rosso
trionfi quanto durante le festività
natalizie. E ciò a partire
dall’abbigliamento tipico di Babbo
Natale che è la versione nostrana di
quel Sankt Claus (corruzione di
Sanctus Nicolaus) la cui
immagine negli anni Trenta del XX
secolo una campagna pubblicitaria
promossa dalla Coca Cola negli Stati
Uniti d’America diffuse in tutto il
mondo. Famoso per la sua generosità
nei confronti dei bambini, quel
santo era stato vescovo di Myra in
Asia Minore, ma dopo la sua morte
avvenuta il 6 dicembre del 343 d.C,
egli aveva cominciato ben presto a
essere venerato anche in tutta
Europa dove ogni Paese sviluppò una
propria figura di portatore di doni
a lui ispirata e poi intrecciata con
le tradizioni locali precedenti il
cristianesimo.
In
seguito. grazie a quei coloni
olandesi che nel secolo XVII erano
migrati nell’America settentrionale
fondando la città di New Amsterdam,
l’attuale New York, la tradizione di
festeggiare quel santo, chiamato nel
loro Paese d’origine Sint Klaas
(abbreviazione di Sinter Nicolaas),
si diffuse anche nel Nuovo Mondo.
All’inizio dell’Ottocento fu, però,
grazie a un componimento poetico
intitolato “A visit from Saint
Nicholas” scritto per i propri
figli da un austero professore di
letteratura greca e lingue orientali
di nome Clement Clarke Moore se il
santo assunse quell’aspetto che
perdura tutt’oggi nel nostro
immaginario collettivo: quello di un
vecchio elfo allegro e paffuto che a
bordo di una slitta trainata da otto
piccole renne va distribuendo nella
notte di Natale i doni ai bambini. E
ovviamente il suo abbigliamento di
un rosso acceso prende spunto dalle
insegne episcopali con cui le
immagini antiche ce lo hanno
tramandato: una mitra e un sontuoso
mantello di quel colore che era
simbolo del suo ruolo ecclesiastico.