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CONTEMPORANEA


N. 5 - Maggio 2008 (XXXVI)

IL COLORE DEL CAMALEONTE

Viaggio nel mondo dell’informazione che ha raccontato la seconda repubblica - Parte III

di Cristiano Zepponi

 

La terza tappa del viaggio ci permette di introdurre una serie di figure caratteristiche dei Paesi a sovranità limitata, che – per una misteriosa serie di coincidenze – collaborano al fine di mistificare la realtà di un certo Paese europeo, in un certo periodo storico.

Stavolta, però, ci limitiamo ad un numero monografico su un fuoriclasse, che merita tutti gli onori che mensilmente possiamo offrire.

 

Piccoli trucchetti del mestiere: il panino persuasivo/la censura a fin di bene.

 

A volte non è necessario condurre un programma d’approfondimento in prima serata, per guadagnarsi la gratitudine di qualcuno. Anzi, a volte si può operare liberamente sulla realtà, ricostruendola a piacimento, esclusivamente contando sulla disponibilità dei propri superiori.

Il caso che scegliamo tra i tanti è rivelatore, crediamo, di un certo modo di operare.

 

Clemente J. Mimun, Commendatore Ordine al Merito della Repubblica Italiana e  per quattro anni direttore del Tg1 durante il secondo governo Berlusconi, è uomo di grande inventiva: “ Da giornalista politico (l'ho fatto per quasi vent’anni), proprio in Rai, ne ho fatte di tutti i colori. Ho innovato, con fantasia a piene mani, osando molto”, riferì nel novembre 2005. Noi, in effetti, non possiamo che concordare.

E’ infatti vero che C.J. abbia innovato, e rivoluzionato in un certo qual senso la struttura del Tg; in particolare, ricordiamo con affetto l’introduzione del famoso “panino”.

Consisteva, in effetti, in una nuova tecnica di presentazione della dialettica politica in cui “il ruolo del pane e quello del companatico sono assegnati in partenza: la prima fetta di pane spetta al governo, in mezzo c'è la fettina di mortadella dell'opposizione (che in genere "protesta", "attacca", "contesta" o si produce in altre attività negative) e poi arriva, puntualmente, la seconda fetta di pane, quella della maggioranza”. Un’attività proseguita coraggiosamente anche con il centrosinistra al governo: “durante il governo D'Alema, per esempio, nel suo Tg2 la prima e l'ultima parola spettava sempre all'opposizione berlusconiana”.

 

Insomma, il Mimun nazionale è fatto così, e va preso per quello che è. Ma guai, naturalmente, a chi trasgredisce gli ordini del “Ministro della Verità”: “poteva anche capitare - in linea teorica - che i commenti a una vicenda politica fossero solo due, e che il primo in ordine di tempo fosse quello berlusconiano. E' capitato. Capitò, per l'esattezza, ad Andrea Montanari. Il quale un giorno si trovò a scrivere di una polemica tra l'avvocato Taormina (Forza Italia) e il suo collega Calvi (Ds). Montanari, essendo un cronista di vecchia scuola e un giornalista dalla schiena dritta, rispettò l'ordine cronologico (oltre che logico), e montò prima la battuta di Taormina e poi la risposta di Calvi. ‘Non va’ - gli dissero – ‘devi invertire l'ordine’". Lui si rifiutò: "Non posso dare prima la risposta e poi la domanda". Risultato: il servizio venne sfilato dall'edizione delle 20 e mandato in onda solo a mezzanotte. Quanto a Montanari, per un anno fu tenuto fuori dal video - senza che nessuno gli affidasse più un servizio - a riflettere sulla sua testardaggine”, per usare le parole di Sebastiano Messina di “Repubblica”.

 

Poi, Mimun operò un’altra svolta: la professione del teleoperatore – peraltro indispensabile – si arricchì di ulteriori pennellate allorché l’artistico “Jay” decise di affidargli, in solitaria, l’onore di raccogliere l’elucubrazione del portavoce di turno. Il giornalista venne così degradato ulteriormente, senza neanche riuscire a mantenere la carica di porgimicrofono (già carica di gravose mansioni: mantenere stabile lo strumento, evitare ogni tremolìo, sfoggiare una fotogenica mano destra e badare bene a non mostrarsi in diretta oltre la manica della giacca, pena la vita); né, d’altra parte, si lamentarono i rappresentanti della Nazione, ben felici di risparmiarsi un rituale ormai demodé, quello dell’intervista.

Ad onor del vero, solo una volta - che si sappia - un ministro protestò. Quando Gianni Alemanno, il neosindaco di Roma, vide arrivare il teleoperatore chiese, indispettito: "E il giornalista, dov' è?". "Ma lei sa già tutto, mi hanno detto..." rispose l'altro, colto in fallo. "No, io non so niente. E non mi piace farmi le interviste da solo".

La morale che estrapoliamo dalla vicenda consiste nella constatazione che, quando politico – peraltro coinvolto in misteriose vicende di pestaggi giovanili - si erge a paladino dell’informazione, qualcosa non và.

 

Comunque, forte di questi precedenti, la direzione Mimun del Tg1 si caratterizzò da subito per la sua estrema partigianeria.

 

Urge una piccola parentesi: nessuno, ed il sottoscritto meno che mai, pretende che l’obiettività e a neutralità guidino gli approcci alla professione di giornalista. L’obiettività, semplicemente, è un irraggiungibile utopismo: ognuno di noi cresce condizionato da certi valori, certi metri di giudizio e certi parametri culturali, che forgiano la nostra visione del mondo; ed allo stesso modo, è naturale patteggiare per una parte politica, ed orientare le proprie preferenze in tal senso.

Ma l’imparzialità, che è virtù ben diversa (e che consiste, semplicemente, nel non favorire una delle parti in causa, ed al tempo stesso non incorrere nel pericolo del cerchiobottismo), va difesa con la massima energia.

 

Chissà che strade avrebbe percorso la carriera dell’uomo, se vigesse una legge sul conflitto d’interessi: magari, le sue indubbie capacità gli avrebbero permesso di scalare la china.

O forse no, forse qualcuno non avrebbe apprezzato l’intero lavorìo di occultamento cui siamo stati sottoposti per anni.

“In altri tempi, quando il Tg1 era pieno di talenti, c'era un altro clima, si riusciva anche a scherzare. Oggi, troppo spesso il clima e' incomprensibilmente plumbeo” confessò qualche anno fa rispondendo a Cesare Lanza di “Chi”.

Proviamo a capire perché.

 

Alcuni esempi.

 

Appena approdato al Tg1 dopo l’esperienza del Tg2 (dove aveva lasciato in eredità tre punti di share in meno, dal 28,8 del gennaio 2000 al 25,7 del gennaio 2002), gli sbarchi di clandestini, le rapine, gli stupri e le violenze sparirono dagli schermi; nel corso del 2001 all’immigrazione sono state riservate dieci ore in meno, ai fatti di criminalità un’ora in meno, secondo i dati dell’Osservatorio di Pavia.

Peccato che gli sbarchi di clandestini fossero aumentati del 135% in Sicilia e del 282% (!) in Calabria.

 

Volgiamo altrove lo sguardo.

In pochi ricordano un indagine Onu (indagine, non sentenza), poi ripresa dalla procura di Milano, secondo la quale il governatore della Lombardia Roberto Formigoni avrebbe ricevuto (insieme al suo entourage) 24 milioni di barili di petrolio da Saddam Hussein, in cambio della violazione dell’embargo da parte di alcune aziende italiane(“oil for food”).

 

Per altro, Formigoni non ha mai nascosto il rapporto cordiale (affettuoso?) intrattenuto con il regime di Baghdad, al punto da abbracciare Tarek Aziz (l’ex ministro degli esteri iracheno) in visita ad Assisi il 14 febbraio 2003, un mese prima dell’attacco americano.

 

Fossimo stati lì, avremmo sentito rumor di forbici: Mimun censurò selvaggiamente, ed omise anche il messaggio distensivo di Formigoni, che in quell’occasione dichiarò “Siamo amici; e ora ogni europeo deve fare uno sforzo per evitare il conflitto”.

Troppo buonista. Meglio ascoltare le sciabole che s’agitavano nei foderi.

 

Facciamo un passo indietro: nel 2001, il suo Tg2 fece sparire l'audio del servizio dell'inviato a Palermo Francesco Vitale, che raccontava i rapporti di Andreotti con la mafia - già rivelati dalla sentenza che lo assolveva in primo grado per insufficienza di prove - rimpiazzandolo con un commento (adulatorio, peraltro) dallo studio.

E lo stesso capitò il 2 luglio 2003, giornata inaugurale del semestre europeo a presidenza italiana, quando Berlusconi diede del kapò nazista al deputato socialdemocratico tedesco Martin Schulz, e definì “turisti della democrazia” gli europarlamentari presenti: l’inviata del Tg1, l’ormai leggendaria Susanna Petruni, tolse l’audio e narrò a modo suo, come si fa con le filastrocche, l’accaduto, per essere poi promossa alla direzione del Tg.

“Neanche il telegiornale sovietico di Brežnev avrebbe saputo far di meglio”, ci inorgoglì il Financial Times: e il giudizio vale anche per la precedente omissione.

 

L’amarezza cresce, e perciò ci avviamo alla conclusione.

La sera del 2 maggio del 2005, come in molti ricorderanno, un blitz della Guardia di Finanza rivelò l’avvio di un’inchiesta sulle allegre scalate bancarie supervisionate dal governatore di Bankitalia Fazio: Bpl-Antonveneta, Unipol-Bnl, Ricucci- Rizzoli/Corriere della Sera.

L’agenzia Ansa lanciò la notizia alle 18:29.

 

Al Tg1 (impegnato a preparare la messa in onda delle 20:00), certamente, non si dormiva: la notizia, però, non andò in onda ugualmente.

Consideriamo la situazione con le migliori intenzioni, valutiamola a mente ingenua, mettiamo da parte ogni giudizio affrettato: un direttore che, a distanza di un’ora e mezzo, non ha preparato un servizio né un’inchiesta nè un approfondimento né un commento né un accenno, è un incompetente.

 

è l’ipotesi soft.

 

 

 

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