N. 4 - Aprile 2008
(XXXV)
IL COLORE
DEL CAMALEONTE
Viaggio nel mondo dell’informazione che
ha raccontato la seconda repubblica - parte II
di
Cristiano Zepponi
Mentre
cantava l'inno ar Solleone,
una
Cecala se trovò de fronte
a tu
per tu con un Camaleonte
più
nero der carbone.
Quant'è
che me rifriggi 'sta canzone!
Incominciò a di' lui - Lascela perde!
Me la
cantavi ar tempo ch'ero rosso,
me la
cantavi ar tempo ch'ero verde...
Che vai
cercanno? Che te zompi addosso?
Io
canto ar sole, - je rispose lei -
e la
luce der sole è sempre eguale:
che vôi
che ce ne freghi, a noi cecale,
de che
colore sei?
Trilussa diede a questo
satirico affresco, che ben si adatta ai tempi che
raccontiamo, il nome “Le pretese der camaleonte”.
Una voce di donna me l’ha recitato ieri sera via
telefono, con accento romanesco un po’ forzato, ma
divertita e convinta (a ragione) che mi potesse tornare
utile.
La voce di
mia sorella - che si è quindi automaticamente condannata
a farsi citare, ed a prendere parte alla gestazione di
quest’inchiesta.
L’incipit
si adatta opportunamente a questa seconda parte del
nostro viaggio, trascendente e caotico, nel mondo
dell’informazione. Abbiamo detto del caso Di Bella, di
Alfredo Rampi e per ultimo, sommariamente, abbiamo volto
lo sguardo all’inspiegabile struttura di Porta a
Porta, l’equivalente repubblicano dei filmati
dell’Istituto Luce.
In questa
sede, approfondiremo invece alcune figure di passaggio,
meno (ri)conosciute ed influenti ma addirittura, in
alcuni casi, più esilaranti; e vedremo come, sempre più
spesso, i giornalisti non sfuggano alle regole del
mercato post-industriale, e spesso siano costretti, per
sopravvivere, ad imparare un altro mestiere.
That’s
amore: quando in diretta scoppia l’idillio
Gli
innamorati, si sa, condividono degli atteggiamenti
talmente evidenti, e peculiari, da rendere impossibile
qualsiasi tentativo di nasconderli. La prima vittima
dell’amore, si direbbe, è la dignità.
E’
naturalmente uno stato di inenarrabile pienezza quello
che invade, travolge, sconquassa i rapporti e le
convenzioni sociali, la razionalità ed il senso del
possibile, e si manifesta balbettando, sudando freddo,
obbligando ad un’innaturale rigidità del busto. Fioccano
allora le ovvietà, i commenti superflui, le parentesi
svuotate di senso ed i ragionamenti che vagano senza
mèta, mentre gli occhi, la postura, il corpo tradiscono
uno stato di evidente crisi emotiva, e si resta lì
attoniti, con la tipica espressione ittica a condire
d’imbarazzo l’arrossato pudore delle gote, in attesa che
la Verità si manifesti in qualche modo, fosse anche
attraverso il movimento degli zigomi; si assiste
all’estatico spettacolo della Bellezza personificata,
non senza aver tentato clamorosamente d’improvvisare un
improbabile dialogo muto in cui le labbra si muovono
lentamente senza emettere sonorità di sorta, e mimano un
playback monosillabico che ricorda molto quello dei
calciatori della nazionale. C’est l’amour, che a
tutto questo dà senso, e ne riceve.
I
giornalisti non fanno eccezione, anzi; e della loro
propensione all’amore, a volte, fanno un vanto pubblico.
Lo capì, più di dieci anni fa, uno dei più grandi
ingegni nostrani, ovvero Roberto Benigni, quando,
parlando di Emilio Fede, urlò che “lui, a Berlusconi, se
lo tromberebbe proprio”.
E se Fede
va considerato un’autorità in materia, discorrere della
sua situazione sarebbe troppo semplice, e chiunque, a
memoria, potrebbe ricordare nuovi episodi (tutti
egualmente rivoltanti); parlarne è sprecare fiato. Fede
è solo la manifestazione più evidente e demenziale di un
trend nascosto dietro vesti molto più subdole e
preoccupanti, e della sua evidenza e demenzialità fa un
elemento di forza. "È la prima volta", ha scherzato (?)
il direttore del Tg4 riguardo al suo coinvolgimento
nella cosiddetta “giuria di qualità” di Sanremo ’08,
"sarò obiettivo, nessuna canzone in gara è scritta da
Apicella e Berlusconi...". Appunto.
Altri
personaggi meritano secondo noi più attenzione.
Uno di
questi è Riccardo Berti, che potremmo definire un
ideologo, un pensatore del genere del giornalista in
love.
Berti è un
pioniere del secondo lavoro, uno stakanovista
dell’informazione e, last but not least, un
esempio perfetto delle più bieche tendenze
contemporanee. Passato volteggiando come molti (non è il
primo, e sicuramente non l’ultimo) dall’ufficio stampa
(di Forza Italia) al giornale (la direzione della
“Nazione”) alla radio (Isoradio)
alla televisione, dove atterrò pietrificato ed azzimato
più di prima, Berti fu la risposta suprema ad un
colossale fallimento di casa Rai.
Cacciato
Biagi (ci torneremo presto), il servizio pubblico cercò
infatti di sostituirlo con le battute di Massimo Lopez e
Tullio Solinghi, alias Max e Tux.
Purtroppo, private del pilastro della celebre triade
(Anna Marchesini), le comiche scaddero presto nel
grottesco, e presero a ricordare, con sempre maggior
insistenza, le burle dei clown gettati in scena per
“coprire” i buchi nel programma. Non poteva durare.
Allora,
d’incanto, arrivò lui. “La logica secondo cui gli è
stato affidato lo spazio che fu di Biagi ricorda le
storie del Seicento, quando si bruciava la casa
dell’untore e al suo posto si ergeva la colonna infame”,
scrive Maltese, e “della colonna Rix ha il portamento e
l’espressione”.
Rilevò
pomposamente la conduzione dell’ennesimo format di
approfondimento, Batti e Ribatti,
precedentemente affidato alle cure di Pierluigi
Battista (editorialista della “Stampa”) prima e di
Oscar Giannino (ex-addetto stampa del Pri di La
Malfa, ricordato per l’aggressiva intervista a Dell’Utri,
coinvolto in processi per mafia: “Secondo lei la gente
che non legge i giornali cosa pensa quando sente per che
cosa è stato condannato?”) poi. Interviste ai leaders,
opinioni secche, e via quel faticoso lavoro di raccolta
dei dati che rendeva Il Fatto un programma di
informazione.
Il paffuto
Berti, impomatato adeguatamente, esordì con un familiare
“buonasera care amiche e cari amici”, per poi collocarsi
deciso tra il soporifero ed il deprimente. In suo
soccorso, la sera del 14 dicembre 2005, arrivò
nientemeno che il presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi (come detto, già datore di lavoro: e non
serve aggiungere altro).
Ma Berti
stupì, con velenose stilettate: "che cosa dobbiamo
aspettarci per il futuro?", attaccò, costringendo
Berlusconi alle corde. Il premier, allora, balbettò
accuse alla sinistra che a suo dire, se avesse vinto
alle successive elezioni, avrebbe posto fine
all'alternanza ed alla dialettica instaurando un regime.
Berti, pronto di fronte ad accuse così turpi, non si
trattenne e pose la domanda più attesa e temuta, "che
cosa vorrebbe che gli italiani trovassero sotto
l'albero?", prima di rientrare nei ranghi, dopo aver
respirato per un po’ il vento della libertà, e votarsi
al silenzio perpetuo (fornendo un limpido esempio dei
vantaggi derivanti dall’auto-sospensione dell’esercizio
di critica).
“Che Berti
non fosse un giornalista ma un’interpunzione del
premier” raccontò Michele Serra “già si sapeva.
Ma vederlo inerte per lunghi minuti, sistemato in un
angolino dello studio come un ficus, destava
un’autentica apprensione. Ci si chiedeva: respira? Si
sentirà bene? Avrà chi gli abbottona il cappotto e lo
riaccompagna a casa, la sera, oppure viene abbandonato
fra le suppellettili? Solo negli ultimi secondi, quasi
per riassicurare la gente a casa, Berti si è brevemente
scosso. A commento delle parole di Berlusconi, ha
afferrato un libro e ha letto una frase celebre in
elogio del premier. Ma il sollievo di saperlo in vita è
stato tale, che non ricordo più la frase”.
D’altra
parte, nel 2002, il neopresidente Rai Antonio
Baldassarre aveva già provveduto a spiegare che “il
giornalismo aggressivo è roba da sudamerica”, senza
sapere che è roba da democrazia, da Usa, da Gran
Bretagna.
Rispondiamo con un sillogismo: Baldassarre affronta il
tema del giornalismo aggressivo – a detta sua il
giornalismo aggressivo è roba da sudamerica – quindi
Baldassarre è da sudamerica.
Claro
que asì.
E come
posso? La tragedia del giornalista impotente (ed
impaurito)
L’ottimo
Berti è in buona compagnia, perciò rassereniamoci.
Andrebbe d’accordo, crediamo, anche con alcuni
rappresentanti del mondo della Radio.
Uno di
questi è Stefano Mensurati, ex-redattore del
Secolo d’Italia in orbita-An. Un altro figlio
di Zagarolo che nel 2003, grazie ad alcune “amicizie”
politiche, divenne conduttore di Radio Anch’io.
Si sa, la
fortuna bussa solo una volta. E bussò alla porta del
buon Mensurati il 9 marzo 2004, quando, finalmente,
riuscì ad ospitare il Presidente del Consiglio in
carica, Silvio Berlusconi: come si vede, una sorta di
iniziazione alla professione, l’occasione da non
fallire, lo zenith della carriera.
Lo accolse
in un momento di evidente difficoltà dell’esecutivo,
alla vigilia delle elezioni europee ed amministrative.
L’ora era
talmente grave da imporre, secondo il conduttore,
l’utilizzo di ogni tipo di filtro alle telefonate dei
radioascoltatori. Ma purtroppo, nonostante tutte le
attenzioni (compresa la febbrile opera di educazione
alla deferenza: mai contraddire il premier), accadde
l’imprevisto, e prese le forme inquietanti di un tal
Salvatore da Palermo (il quale, malefico, aveva già
promesso mansuetudine).
“Signor
presidente, io sono uno di quei numeri di partita Iva
che nei prossimi mesi dovrà chiudere per forza di cose
la sua attività: l’economia della nostra isola non è al
collasso, ma in coma profondo. Purtroppo ci troviamo,
come dice lei, a pagare qualcosa in meno le tasse
centrali. Io sono un imbonitore di piazza, mi scusi
l’accostamento, forse siamo fra colleghi.. Per quanto
riguarda tutti i comuni dove io vado a espletare la mia
attività, le tasse comunali della Cosap sono
aumentate di qualcosa come il 300 per cento dei costi.
Quindi questa diminuzione di tasse io non l’ho
riscontrata: c’è dove pago di meno e dove pago molto,
molto di più. Allora questo mi sembra il cane che si
morde la coda, a meno che..”
Imbonitore
di piazza? Fra colleghi? La telefonata virò sempre più
verso il dramma.
“Grazie,
Salvatore, la domanda è chiara”, ringhiò il povero
conduttore, visibilmente divorato dall’odio più
viscerale. “Alla prima domanda non rispondo perché
non siamo affatto colleghi […] lui faccia il suo
mestiere, il mio è molto diverso dal suo”,
puntualizzò l’illustre ospite, improvvisamente
irrigiditosi.
Mensurati,
che probabilmente vedeva scorrere la carriera davanti
agli occhi, tentò la mossa disperata: “Io mi scuso
con lei, naturalmente, per l’intervento del nostro
ascoltatore. Normalmente i nostri ascoltatori non
mancano mai di rispetto agli ospiti..”. Dopo aver
implorato in questo modo pietà, si rifugiò negli spot;
poi, abilmente, cambiò discorso.
Qualche
giorno dopo, saggiamente, Antonello Caporale
corse ad intervistarlo per il “Venerdì”.
Le sue
risposte, davvero, non hanno prezzo, tanto suonano
disarmanti.
“Chiaro,
sono di destra e perciò mi trovo a Radio Anch’io, il
programma di punta di Radiorai”
In azienda si fa così?
“Si fa così ed è inutile nasconderselo. La mia
provenienza politica mi ha aiutato in questo frangente.
Spero anche che sia stata apprezzata una qualche
professionalità, l’impegno, la dedizione”
Mensurati, lei è sulla bocca di tutti
“Mamma mia! Da qualche giorno è tutto un andirivieni di
telecamere, tutti a parlare di Radio Anch’io, tutti a
intervistarmi”
E’ la forza degli scoop che firma
“Berlusconi, D’Alema, e prima Fassino, Fini. Passano da
qui e spiegano, dicono. Io faccio parlare, ho un modo di
pormi che accoglie le richieste dell’ospite”
Li fa sentire come a casa propria
“Ma che diritto ho di contestare quel che il politico
dice”
Basta trasmettere il verbo
“Berlusconi è venuto e ha snocciolato cifre”
E lei ha preso nota
“E mi metto a contestargli le cifre? E cosa ne so? e
come posso?”
Giusto
“Ma anche D’Alema si è trovato a suo agio”
Tutti qui si trovano a proprio agio
“E mi ringraziano moltissimo”
Il suo senso di civiltà, il rispetto
“Interrompo quando è proprio necessario. E non bado alle
polemiche che può suscitare una mia presa di posizione.
Esempio: un ascoltatore, con Berlusconi in diretta, lo
accusa di essere un imbonitore. Io lo fermo e prima che
il premier risponda chiedo scusa a nome di tutti per
quel linguaggio francamente eccessivo. Io non devo
indispettire l’ospite, né devo indispettire i
radioascoltatori”
Però una parolina, una domanda un po’ inquieta
“E certo che la faccio, e ci mancherebbe”
Adesso è il suo momento
“Me ne sto accorgendo. Le ho già detto delle telecamere”
Nulla invece dell’invidia dei colleghi
“Sapesse quanta, io li vedo e dicono le solite cose: che
sono fascista e perciò conduco Radio Anch’io. Che il
direttore per far posto a me…”
…ha silurato la conduttrice precedente
“E’ stata promossa caporedattore centrale”
Promossa - rimossa
“Non posso negare che questo sia il posto di maggiore
visibilità”
Crepi l’invidia
“Non partecipo alle assemblee di redazione, non mi frega
niente del sindacato. Io bado a me e della Rai sanno
quel che penso: qui almeno un terzo non lavora, è un
ministero di funzionari superpagati. Ho scritto una
lettera e l’ho affissa in bacheca: se almeno uno di voi
facesse uno scoop all’anno, la radio ogni due giorni
farebbe parlare di sé. Uno scoop all’anno, ho chiesto”
Le hanno risposto?
“Autostima ipertrofica. E vabbè”
Fa le lezioni ma lei un po’ raccomandato lo è
“Ma di sicuro che lo sono! Il fatto è che qui siamo
tutti raccomandati. Io sono stato assunto dopo anni di
precariato solo in virtù del mio colore politico”
Viene da dove?
“Secolo d’Italia”: Fini, Urso, Gasparri, tutti
amici miei. Una stagione al “Roma” con Domenico
Mennitti e poi free lance: sempre in giro a far servizi”
Fronte della gioventù, botte con i rossi
“Ho militato da giovane e anche in piazza sono stato: ma
più che darle le ho prese”
Però, vede, oggi c’è il giusto ristoro
“Ruffini mi ha assunto. Mi disse il giorno della sua
firma: sei di destra e sei pure bravo”
Sincero.
“E che non lo so? Gliel’ho detto io per prima che qui le
cose vanno così. E non c’è ragione per pensare che muti
la situazione, non si vede come le regole possano
cambiare”
Se vince l’Ulivo?
“Mi segano di sicuro. Il giorno dopo. Sapesse cos’ha
scatenato l’Usigrai quando sono stato promosso a questa
trasmissione. Sa, io dovevo fare solo una sostituzione
ferie della titolare. Poi dalle ferie….”
E l’Usigrai ha sobillato
“Urla, richieste di ogni tipo, mercanteggiamenti vari.
La mia promozione ha provocato compensazioni da
quell’altra parte: hanno preteso altrettanti
aggiustamenti. E ci siamo capiti”
Però Mensurati fa gli scoop mentre gli altri dormono
“Berlusconi qui alla radio, e chi l’avrebbe mai detto!”
E’ stato difficile acchiapparlo?
“Lo seguivamo da mesi, e da mesi avevamo inoltrato la
nostra richiesta. Poi, qualche giorno fa”
Aspetti, continuo io: Bonaiuti la chiama
“Esatto: ci dice che il presidente del Consiglio è
disponibile in un giorno della settimana da fissare”
Ed ecco lo scoop
“Le agenzie hanno battuto una pila di flash”
Finalmente anche la radio ha le sue soddisfazioni
“Come posso negare?”
Adesso per lei la strada è in discesa
“I miei predecessori hanno tutti trovato un’ottima
collocazione in tv: Floris, Vianello”
Vedrà che verrà il suo turno
“Mi basta raccogliere il frutto del mio lavoro qui alla
radio. La televisione è un obiettivo lontano, ancora non
percepito del tutto come una necessità”
Ci sono però le elezioni in vista
“Ma sono le europee, non contano!”
Vero, se pure vince l’Ulivo questo è un giro dove non
succede nulla per la classifica generale.
“Il governo certo non cade”
Se fossero politiche…
“Allora sarei segato”
Lei deve puntare ad essere il nuovo Vespa
“Non propriamente”
Mensurati, non esageri
“E’ un grande professionista e io mi accorgo di
sbagliare ancora”
Le succede quando si trova il politico importante
ospite della trasmissione
“E ti scappa l’attimo. A volte mi dico: cavolo, questa
domanda sarebbe stata veramente necessaria. E però non
l’ho fatta”
Capita a tutti di essere sbadati
“Eppure mi preparo accuratamente, ma tento sempre di
conservare un certo stile”
Non si indispettisce l’ospite
“No”
Il
raccomandato Mensurati, evidentemente, ebbe difficoltà a
percepire l’ironia, neanche troppo leggera, del
giornalista del “Venerdì”.
E mi metto
a contestargli le cifre? E che ne so? E come posso?
Tutti qui si trovano a proprio agio?
Fermiamoci
qui, senza insistere ulteriormente; l’umiliante delirio
si commenta da sé.
Aggiungiamo solo che con queste premesse la carriera
dell’uomo sembra lanciata verso grandi successi, come
l’animale-guida Vespa (guarda caso, citato come
esempio), senza però dimenticare la prima creatura: il
programma-cottage, dove tutti si trovano bene e non si
indispettisce l’ospite.
Valentino Morante, della
redazione sportiva, lasciò allora in bacheca un breve
appunto:
“Sono
stato assunto in Rai nel 1978, 26 anni fa, dopo lunghi
anni di precariato in altre testate, come 4 anni di
lavoro di notte gratis e senza contributi a “Momento
Sera”. In 26 anni ho avuto due promozioni (oggi
ricopre il ruolo di vice-caporedattore allo sport, ndr),
altra cosa da una carriera fulminante come la tua. In
attesa delle tue scuse ti tolgo il saluto: un onore che
tu meriti.”
A lui, ed
a quelli come lui, ci uniamo con calore.
L’uomo
nuovo Buttiglione ed il pregiudizio anti-cattolico
Nell’ottobre del 2004 il Ministro delle Politiche
Comunitarie e numero due dell’Udc, il filosofo Rocco
Buttiglione, si candidò a commissario europeo nella
sezione “Libertà e Giustizia”. La prassi consisteva in
un’audizione formale a Bruxelles, per accertarne
l’idoneità: ma si trattava di un passaggio scontato,
dato che mai, fin’allora, un candidato era stato
respinto.
Ma il
pensatore di Gallipoli ce la mise proprio tutta, per
farcela. “[…] la mia personale opinione sul matrimonio è
ben conosciuta. La parola matrimonio viene dal latino e
vuol dire ‘protezione della madre’ e dunque il
matrimonio esiste per permettere alle donne di avere
bambini e protezione da parte del maschio che si prende
cura di loro e questa è una visione tradizionale del
matrimonio che io difendo", chiarì gelando l’uditorio,
mentre sulla parte sinistra dell' emiciclo le teste
bionde di quattro-cinque deputate (olandesi e tedesche)
si accasciavano sui banchi, in segno di sconforto; e
proseguì ancora peggio: alla domanda della
liberaldemocratica Sophia In' t Veld, olandese, classe
1963 “Il suo governo ha preso provvedimenti che
discriminano gli omosessuali in alcuni settori del
lavoro. Come facciamo a darle fiducia?” rispose "...Io
posso pensare che l’omosessualità sia un peccato ma
questo non ha alcun effetto sulla politica a meno che io
non dica che l’omosessualità è un crimine e voi siete
liberi di pensare che io sono un peccatore in molte cose
della mia vita e questo non ha alcun effetto sulla
nostra relazione come cittadini. Nessuno può essere
discriminato sulla base del sesso e del genere: questo
sta nella Carta dei diritti e nella Costituzione e io
giuro di difendere questo…".
Per
concludere, minimizzò la portata del conflitto
d’interessi del principale (e vabbè, è il meno) e
soprattutto la situazione penale del suo capo di
gabinetto Giampiero Catone (che, a dispetto del
cognome, si fregiava di un arresto nel 2001 e di
indagini per truffa e bancarotta fraudolenta, roba da
niente).
Fu un
giorno meraviglioso, per le umiliazioni. E la
commissione mostrò di capirlo, rispedendo in patria
l’aspirante commissario (alla “Libertà”: c’è
dell’ironia, in giro), senza pensarci troppo; il
presidente Barroso chiuse la vicenda richiedendo
l’invio di un sostituto (Franco Frattini).
Fin qui,
tutto male; ma, fedele al precetto “continua a scavare”,
l’informazione italiota si lanciò in un’improbabile
campagna contro la scristianizzazione dell’Europa (come
se il problema fosse quello). Fioccarono servizi ed
approfondimenti che lasciavano spazio solo
all’eterogeneo partito dei teo-con,
trasversale ed influente: di inchieste sulle reali
motivazioni dell’esclusione, a cui avevano assistito
anche deputati italiani (Michele Santoro, Lilli Gruber)
neanche l’ombra.
Mentre il
quotidiano danese “Information” sbrigava la
faccenda con un titolo sinistro (“Rocco Horror
Picture Show”), da noi si dibatteva della
libertà d’espressione dei cattolici (come se fosse stata
messa in discussione), di differenze filologiche tra
‘peccato’ e ‘reato’ ed anche di una silente diffidenza
europea nei confronti del popolo di Cristo.
Pierluigi Castagnetti
piagnucolò infatti che «purtroppo a Bruxelles c'e' un
diffuso pregiudizio anticattolico che si traduce nella
criminalizzazione di una fede e di una cultura che pure
sono alla base dell'europeismo. (...) Buttiglione ha
detto cose giuste, ma credo che l'abbia fatto con un
sovraccarico di supponenza intellettuale che non l'ha
reso simpatico».
Le
risposte, non l’hanno reso simpatico.
Gianni
Gennari (alias 'Rosso
Malpelo') si dichiarò d’accordo: «A prescindere dalla
vicenda Buttiglione […] O Malpelo è un marziano, o c'è,
forte come non mai, con la complicità di troppi, un
pregiudizio anticattolico».
Mi sento
di poter dire che Malpelo è un marziano (anche se mi
riesce difficile prendermela con un personaggio
letterario).
Beppe
del Colle (Famiglia
Cristiana) insistette che «la rinnovata questione
cattolica merita invece un’attenzione particolare, se
non altro perché la "bocciatura" del ministro
Buttiglione, per aver espresso davanti a una commissione
del Parlamento europeo giudizi personali, ma ancorati
alla sua fede cattolica, riguardanti l’omosessualità e
la famiglia, ha provocato una pioggia di articoli di
celebri firme giornalistiche nazionali, pro o contro
l’esistenza di un pregiudizio anticattolico in Italia e
in Europa (che ci sia, purtroppo, lo dice proprio il
rifiuto a inserire nella Costituzione il richiamo alle
radici cristiane)».
Per il
premier era stato un voto dal "sapore integralista
se non oscurantista”, mentre il ministro delle Riforme,
il sempreverde Roberto Calderoni, lo definì
“ideologico […] discriminante e quasi razziale". Quindi,
la Commissione avrebbe applicato criteri para-nazisti.
Addirittura.
«La crisi
che si è aperta sui commissari è decisiva, anche
rispetto ai futuri passi che muoverà l'Unione. Io penso
che sulla vicenda che riguarda Buttiglione abbiano
giocato tre elementi fondamentali. Il primo è un
pregiudizio anti-cristiano, che è oggettivamente molto
diffuso in Europa. Il secondo è una forte componente
anti-italiana, che ha come obiettivo il governo
Berlusconi. Il terzo è un elemento anti-Commissione, che
ha spinto il Parlamento di Strasburgo a voler
riaffermare la sua sovranità sulla tecnostruttura di
Bruxelles […] Su Buttiglione le valutazioni possono
essere le più diverse. Ci si poteva anche aspettare che
avrebbe tenuto più salde le sue convinzioni, evitando di
scrivere la lettera che ha scritto e accettando tutte le
conseguenze della sua scelta. Ma questo non toglie che
in Europa il pregiudizio anti-cristiano c'è, e purtroppo
è molto radicato […] L’Europa, non riconoscendo nella
sua Costituzione questa comune radice cristiana, ha
perso una straordinaria occasione di definire se stessa
e di darsi un’anima» aggiunse Marcello Pera,
Presidente del Senato, in un'intervista a Repubblica del
31 ottobre 2004 (lo stesso che tempo prima si lanciava
contro l’eventuale citazione delle suddette radici,
affermando che “Non dobbiamo infilare Dio nella
Costituzione”)
Ma c’è di
più (ancora?). “Purtroppo Buttiglione ha perso. Povera
Europa: i culattoni sono in maggioranza» manganellò
allora Mirko Tremaglia, voce storica di An e
ministro per gli Italiani nel Mondo, con fragoroso
rigurgito virile.
«A domande
insistenti ho risposto 'I may think': io posso pensare,
ovvero anche io ho il diritto di pensare che
l'omosessualità sia un peccato. Questa mia affermazione
è stata deformata in molti modi e su di essa si è
scatenata una campagna di stampa di grande
superficialità e rozzezza. [..] Il compito del politico
è assumersi anche delle responsabilità non sue quando
questo serve per il bene della comunità. Si purifica se
stessi sacrificando una vittima. Questa volta per questo
compito sono stato scelto io, ma non me ne lamento più
di tanto» commentò in quei giorni il protagonista della
vicenda.
Ma tornò
presto alle vecchie abitudini: “I bambini è bene che
nascano nelle famiglie, perché per una donna tirare su
un figlio da sola è una fatica improba: per fare
bambini, ci vogliono un padre e una madre… I bambini che
hanno solo una madre e non hanno padre sono figli di una
madre non molto buona. E i bambini che hanno solo un
padre non sono bambini perché un uomo da solo può
costruire un robot, ma non può fare bambini”, si lasciò
sfuggire poco tempo dopo, con buona pace del formidabile
arsenale mediatico schierato dai sostenitori del
pregiudizio.
Volevamo ben dire: ora sì, che possiamo
dirci sereni. |