N. 86 - Febbraio 2015
(CXVII)
Il mito delle colonne d’Ercole
Alla ricerca del sapere oltre ogni limite
di Paola Scollo
«Considerate
la
vostra
semenza:
fatti
non
foste
a
viver
come
bruti
ma
per
inseguire
virtute
e
canoscenza».
Questi
tre
endecasillabi,
tratti
dal
XXVI
canto
dell’Inferno
della
Commedia
di
Dante,
esprimono
in
maniera
efficace
il
desiderio,
tipico
della
natura
umana,
di
superare
i
propri
limiti
e di
ampliare
i
propri
orizzonti
conoscitivi.
E
non
casualmente
vengono
proferiti
da
Ulisse,
l’eroe
omerico
simbolo
dell’intelligenza
scaltra
e
multiforme.
È
vivo
nel
sovrano
di
Itaca
quell’anelito
alla
conquista
del
sapere
e
della
perfezione
che
induce
a
compiere
imprese
ardite,
oltre
ogni
limite.
Imprese
che
talvolta
divengono
suscettibili
di
condanna,
in
quanto
veri
e
propri
atti
di
hýbris,
tracotanza.
Nella
tradizione
occidentale
la
linea
di
demarcazione
tra
noto
e
ignoto,
tra
mondo
conosciuto
e
terre
inesplorate
è
simbolicamente
rappresentata
dalle
colonne
d’Ercole,
due
promontori
rocciosi
nei
pressi
dello
stretto
di
Gibilterra,
punto
di
incontro
tra
il
Mar
Mediterraneo
e
l’oceano
Atlantico.
Secondo
il
mito,
l’eroe
greco
Eracle
-
Ercole
per
il
mondo
romano
-
ricevette
da
Euristeo
l’ordine
di
recuperare
le
mandrie
di
Gerione,
terribile
mostro
a
tre
teste,
con
tre
busti
e
sei
braccia,
figlio
di
Crisaore
e
dell’oceanina
Calliroe.
Gli
armenti
erano
custoditi
dal
pastore
Eurizione
presso
Eurizia
o
Eritia,
l’isola
rossa
lontana
dal
Ponto,
sita
nell’Oceano
di
fronte
a
Cadice.
Il
figlio
di
Alcmena
e di
Zeus,
attraversata
la
Libia
e il
paese
dei
Tartessi,
si
spinse
sino
alle
pendici
dei
monti
Calpe
e
Abila,
estremi
confini
del
mondo
occidentale
oltre
i
quali
nessun
mortale
osava
spingersi.
Sulle
rive
dello
stretto
fece
erigere
due
colonne
sormontate
da
una
statua
rivolta
a
est
recante
nella
mano
destra
una
chiave,
quasi
ad
aprire
una
porta,
mentre
sulla
sinistra
l’iscrizione
non plus ultra, non più oltre.
In
tal
modo
Ercole
intendeva
definire
il
limite
del
mondo
civilizzato,
sottolineando
il
divieto
per
i
mortali
di
spingersi
oltre,
in
direzione
dell’Oceano.
Secondo
una
ulteriore
versione
del
mito,
le
colonne
in
realtà
non
erano
che
i
resti
dei
monti
Calpe
a
Gibilterra
e
Abila
a
Ceuta,
all’origine
della
separazione
tra
Europa
e
Africa,
distrutti
da
Ercole
in
un
momento
di
ira.
Stando
alla
testimonianza
del
V
secolo
di
Esichio,
per
alcuni
le
colonne
erano
piuttosto
isole,
per
altri
dighe,
per
altri
ancora
promontori
o
città.
Nonostante
tali
divergenze,
l’adozione
di
limiti
fisici
per
l’ecumene
non
è da
mettere
in
discussione.
Delimitare
territori
conquistati
grazie
a
imprese
eroiche
è
una
prassi
consolidata
nel
mondo
antico:
basti
pensare
ad
Alessandro
Magno
che,
al
termine
della
spedizione
in
India,
fece
erigere
dodici
maestosi
altari
di
pietra
per
celebrare
le
divinità
che
lo
avevano
sostenuto.
Occorre
comunque
ricordare
che
in
tempi
recenti
sono
state
spesso
avanzate
teorie
che,
in
contrasto
con
le
acquisizioni
precedenti,
hanno
aperto
nuove
e
interessanti
prospettive
di
ricerca.
Un
decisivo
contributo
in
tal
senso
è
giunto
dalle
pagine
del
volume
di
Sergio
Frau
dal
titolo
Le
colonne
d’Ercole,
un’inchiesta,
in
cui
è
stata
immaginata
una
iniziale
collocazione
delle
colonne
d’Ercole
nei
pressi
del
canale
di
Sicilia
e
non
a
Gibilterra.
Frau
è
approdato
a
tali
conclusioni
mediante
una
accurata
lettura
e
interpretazione
delle
fonti
antiche,
con
particolare
riferimento
a
Omero,
Erodoto,
Platone,
Aristotele,
Polibio
e
Strabone.
Questa
tesi,
accolta
con
entusiasmo
anche
da
altri
studiosi,
contribuirebbe
a
sanare
svariate
incongruenze
presenti
nelle
descrizioni
fisiche
dell’antichità.
Ed è
proprio
dalle
fonti
che
ogni
discussione
deve
essere
avviata.
Osserviamole
dunque
puntualmente.
In
Omero
non
sono
presenti
espliciti
riferimenti
alle
colonne
d’Ercole,
in
quanto
si
parla
di
uno
spazio
privo
di
limiti
posto
a
est,
nei
pressi
del
Ponto
Eusino,
l’attuale
Mar
Nero.
E
ciò
non
deve
sorprendere.
All’epoca,
l’epicentro
del
mondo
greco
era
rappresentato
dal
Mar
Mediterraneo
e
dal
Mar
Nero.
Un
riferimento
al
suolo
iberico
si
riscontra
in
Erodoto,
che
nel
V
secolo
a.C.
propone
due
differenti
collocazioni:
a
est
nel
Bosforo
e a
ovest,
oltre
Cartagine,
sul
suolo
libico.
Nel
476
a.C.
Pindaro
è il
primo
a
menzionare
le
colonne
d’Ercole,
in
riferimento
a
fondali
bassi
e
fangosi.
Tale
informazione
è
contenuta
anche
nel
trattato
di
Aristotele
dal
titolo
Meteorologica,
laddove
si
legge
che
«il
mare
al
di
là
delle
colonne
è
poco
profondo
a
causa
del
fango,
ma
non
è
ventoso
perché
si
trova
come
in
un
avvallamento».
Tale
descrizione
si
pone
decisamente
in
contrapposizione
con
la
morfologia
delle
coste
di
Gibilterra,
caratterizzate
da
profondi
fondali
e
battute
da
forti
correnti.
Sempre
Aristotele
nell’opera
intitolata
Perì
kosmos
osserva:
«All’interno,
verso
occidente,
facendosi
strada
con
uno
stretto
passaggio
alle
cosiddette
colonne
d’Ercole,
l’Oceano
penetra
nel
mare
interno
come
in
un
porto
e,
allargandosi
a
poco
a
poco,
si
estende,
abbracciando
grandi
golfi
collegati
l’uno
con
l’altro,
ora
sboccando
in
strette
aperture,
ora
nuovamente
allargandosi.
Orbene,
in
primo
luogo
si
dice
che,
dalla
parte
destra
per
chi
entra
attraverso
le
colonne
d’Ercole,
forma
due
golfi,
che
costituiscono
le
cosiddette
Sirti,
delle
quali
l’una
è
denominata
Grande
e
l’altra
Piccola».
Un’attenta
analisi
del
passo
genera
numerose
perplessità.
Infatti
appare
poco
probabile
che
il
filosofo
di
Stagira
collochi
i
due
golfi
di
Sirti
oltre
Gibilterra,
a
una
notevole
distanza
dalla
costa
settentrionale
dell’Africa.
Tale
descrizione
si
rivela
invece
attendibile
se
riferita
al
canale
di
Sicilia.
Ma
veniamo
agli
altri
testimoni.
Erodoto
nelle
Storie
cita
svariate
volte
le
colonne,
senza
tuttavia
suggerire
una
collocazione
certa
e
univoca.
Nel
I
libro
afferma:
«Il
Mar
Caspio
sta
a
sé,
senza
mescolarsi
con
l’altro
mare.
Tutto
il
mare
che
i
Greci
navigano,
infatti,
e
quello
fuori
dalle
colonne
(exo
steleon)
chiamato
Atlantis
(ovvero
di
Atlante)
e il
Mare
Eritreo
(ovvero
bruciato,
Rosso)
sono
un
mare
solo»
(I
203.
1).
Secondo
Erodoto,
l’Atlantico
era
collegato
al
mare
Eritreo,
per
cui
circondava
l’Africa.
Ne
consegue
che
le
colonne
dovevano
essere
poste
sullo
stretto
di
Gibilterra.
Inoltre
afferma
di
non
essere
a
conoscenza
dell’esistenza
di
un
fiume
denominato
Oceano,
anzi
sostiene
che
Omero
abbia
inventato
tale
nome,
introducendolo
nella
poesia.
Nel
II
libro
scrive:
«Il
fiume
Istro
(il
Danubio),
infatti,
che
nasce
dal
territorio
dei
Celti
e
dalla
città
di
Pirene,
scorre
dividendo
a
metà
l’Europa:
i
Celti
sono
al
di
fuori
delle
Colonne
d’Eracle
e
confinano
con
i
Cinesii,
che
sono
gli
ultimi
verso
Occidente
tra
gli
abitanti
dell’Europa.
Scorrendo
per
tutta
Europa,
l’Istro
finisce
in
mare,
nel
Ponto
Eusino
(il
Mar
Nero),
dove
i
coloni
di
Mileto
abitano
l’Istria»
(II
33.
3).
Stando
a
tale
testimonianza,
i
Cinesii
erano
l’ultimo
popolo
d’Europa
a
occidente,
stanziato
nella
zona
sud
occidentale
della
penisola
iberica
che
corrisponde
all’attuale
regione
dell’Algarve.
Un
ulteriore
riferimento
alle
colonne
d’Ercole
è
presente
poi
nel
libro
IV,
laddove
Erodoto
scrive:
«L’Atlante
è un
monte
stretto
e
arrotondato
su
ogni
versante,
ma
tanto
alto
che
le
sue
vette
pare
non
si
possano
nemmeno
scorgere:
non
sono
mai
sgombre
di
nubi,
né
d’estate
né
d’inverno;
a
sentire
gli
abitanti
del
luogo,
l’Atlante
è la
colonna
che
sorregge
la
volta
celeste.
La
popolazione
ha
derivato
il
suo
nome
da
quello
del
monte:
si
chiamano
Atlanti.
Affermano
infatti
di
non
cibarsi
di
carne
e di
non
sognare.
Fino
agli
Atlanti
sono
in
grado
di
elencare
i
nomi
dei
popoli
stanziati
nel
ciglio
sabbioso,
oltre
non
più;
ma
la
zona
di
sabbia
si
estende
fino
alle
colonne
d’Eracle
e
oltre
[…]»
(IV
184.
3 -
185.
1).
L’interpretazione
delle
fonti
a
disposizione
pone
numerosi
interrogativi.
Le
descrizioni
fornite
appaiono
generiche
e,
talvolta,
poco
aderenti
alla
realtà.
Va
da
sé
che
tale
difficoltà
deriva
dalla
mancanza
di
dati
e
metodi
scientifici.
Sulla
scia
di
Frau,
si
potrebbe
giungere
a un
compromesso.
Dapprima
le
colonne
potevano
essere
disposte
nello
stretto
fra
Sicilia
e
Malta
e
tra
Libia
e
Tunisia.
Tale
collocazione
delimitava
il
Mediterraneo
in
due
zone
ben
marcate
sia
da
un
punto
di
vista
geografico
sia
storico,
mentre
da
un
punto
di
vista
culturale
poteva
indicare
la
separazione
tra
il
mondo
greco
e
quello
fenicio.
Lo
spostamento
delle
colonne
a
Gibilterra
potrebbe
risalire
all’epoca
ellenistica.
Secondo
interpreti
moderni,
l’artefice
sarebbe
stato
il
matematico,
astronomo
e
geografo
Eratostene
di
Cirene.
Raccogliendo
le
conoscenze
geografiche
dell’epoca
(anche
racchiuse
all’interno
della
biblioteca
di
Alessandria
di
cui
fu
bibliotecario
sotto
Tolomeo
Evergete),
Eratostene
elaborò
una
nuova
concezione
dell’ecumene,
che
complessivamente
rispecchiava
le
idee
dei
geografi
del
suo
tempo.
La
scelta
di
spostare
il
confine
occidentale
del
mondo
greco
potrebbe
essere
sorta
per
effetto
della
rinnovata
dimensione
geopolitica
in
seguito
alle
conquiste
di
Alessandro
Magno
a
Oriente.
In
altre
parole,
doveva
essere
diffusa
l’esigenza
di
ridisegnare
e
ridefinire
i
confini
fisici
dell’epoca.
Posizionando
le
colonne
d’Ercole
a
Gibilterra,
con
ogni
probabilità
il
geografo
ha
desiderato
custodire
il
ruolo
di
centralità
della
Grecia
messo
in
discussione
dopo
la
spedizione
in
Oriente
del
sovrano
macedone.
Per
questa
ragione
le
colonne
d’Ercole
slittarono
a
occidente,
quasi
a
suggerire
il
definitivo
tramonto
delle
culture
del
Mediterraneo,
prospettando
l’ascesa
dell’impero
romano.
E
proprio
lì,
a
Gibilterra,
avrebbero
continuato
a
risiedere.
E ad
affascinare.
Al
di
là
della
loro
effettiva
collocazione,
è
bene
ricordare
che
dietro
ogni
mito
si
cela
sempre
un
orizzonte
di
verità.
È
con
tale
consapevolezza
che
occorre
accostarsi
al
mito
delle
colonne
d’Ercole.
Immaginando
le
colonne,
come
Ercole
oseremo
compiere
imprese
eroiche
degne
di
memoria;
come
Platone
andremo
alla
ricerca
della
nostra
Atlantide;
come
Cristoforo
Colombo
sogneremo
di
approdare
in
terre
straniere,
percorrendo
rotte
alternative;
come
Ulisse,
infine,
progetteremo
un
“folle”
volo
alla
ricerca
della
verità.
Oltre
ogni
limite.