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N. 71 - Novembre 2013 (CII)

COLONIALISMO GENOVESE
LE COLONIE SULLE SPONDE DEL MAR NERO

di Andrea Camera

 

Le imprese coloniali genovesi sul Mar Nero attraversano circa due secoli; un periodo e una situazione geografica complessa e per nulla omogenea, una miriade di insediamenti antichi o creati ex-novo a scopi commerciali, possedimenti sempre a rischio di contrasti con popolazioni e sovrani vicini, sotto la minaccia di invasori esterni, siano Turchi o Mongoli.

 

Come scrive qualche studioso, almeno nel periodo tra il 1270 e il 1350 la maggior parte del traffico sul Mar Nero era nelle mani dei genovesi, i quali controllavano non solo l’importazione della seta e delle spezie verso occidente, ma anche il rifornimento di grano, pesce, sale a Costantinopoli e Trebisonda, costruendo una rete di agenzie e scali lungo le coste, il tutto con una rete d’affari tra occidente e oriente.

 

In quelle lontane terre mercanti genovesi hanno accumulato immense ricchezze, si sono conquistati gloria e potenza, superando i veneziani nel lusso delle vesti e degli ornamenti, come racconta qualche storico bizantino, come Niceforo Gregora, che narra di edifici di due o tre piani, di alte e inaccessibili torri.

 

Un altro storico di Bisanzio, Giovanni Cantacuzeno, diventato anche imperatore, parla dei genovesi come di coloro che vogliono dominare il mare, come se questo appartenesse a loro, mettendo in secondo piano i commerci dell’impero. Li descrive inoltre come popolo avido di primato nella navigazione in quei mari, astuto e ostile.

 

Stessa visione poco felice, avevano gli storici sovietici, i quali ponevano in evidenza le manchevolezze e la spietatezza nel raggiungere i loro scopi. Simili giudizi erano, di contro, affibbiati ai bizantini, nel periodo delle crociate.

 

Emigranti avidi e senza scrupoli, forse; in ogni caso, le città sul Mar Nero da loro governate, potevano essere una base utile a chi intraprendeva lunghi viaggi, sulle lunghissime vie d’oriente e i viaggiatori potevano infatti trovare luoghi d’accoglienza in quelle città fortificate, tra le sicure mura. Il ricordo di quella presenza, scrivono alcuni studiosi, è ancora presente nelle tradizioni popolari turche e bulgare, o in certe leggende.

 

Una popolazione che, per svariati motivi e come altri occidentali, già dal XII frequentava la capitale e altre città dell’impero. Ma come immigrati, non erano sempre ben visti dai locali. Accordi, trattati, documenti vari testimoniano gli insediamenti e le acquisizioni, offrendo qualche squarcio sulla vicenda di questi “intrusi”.

 

Uno di questi, documenti, anno 1155, stabiliva che genovesi potessero avere un quartiere per scopi commerciali a Costantinopoli. Nel 1170, avevano ottenuto la concessione di un altro rione, chiamato Coparion: si trovava non lontano dalla chiesa di Santa Sofia, presso quello dei Pisani. Nel 1182 sono le principali vittime della sollevazione degli abitanti di Costantinopoli contro i latini, vicenda che finisce con la loro temporanea cacciata da Costantinopoli: il tutto a quanto pare, a causa della loro presunzione e arroganza tipicamente occidentale.

 

Tuttavia, la Repubblica marinara poteva diventare un buon alleato per un impero piombato in una profonda crisi. Già dal periodo delle prime crociate, esso languiva in una lenta decadenza sul piano economico e sociale; la IV crociata del 1204, spedizione “sviata” verso Costantinopoli, aveva dato il colpo di grazia.

 

Gli occidentali, con responsabilità dei veneziani, avevano occupato la capitale e Bisanzio si era ritrovato smembrato in alcuni territori. Uno di questi, Nicea, il più importante, era la terra d’origine del nuovo imperatore Michele VIII Paleologo, rimasto noto per la riconquista del trono e la riunificazione dello stato, circa mezzo secolo più tardi. Ma per fare questo ha bisogno di alleati. E li aveva trovati nelle forze navali della Repubblica di Genova, unico valido aiuto.

 

Il Trattato, stipulato nel 1261, e dovuto all’iniziativa del Capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, impegna quindi Genova a fornire una flotta di cinquanta navi al Basileus Michele per la riconquista di Costantinopoli. La ricompensa è allettante: in cambio dell’aiuto, la città ligure avrebbe potuto godere di franchigie doganali nelle terre imperiali, in Grecia, in Asia Minore, in Crimea, nel Caucaso.

 

Anche se le forze imperiali erano riuscite a riconquistare la capitale prima dell’arrivo delle navi genovesi, il Paleologo aveva ugualmente ripagato Genova, che in tal modo acquisiva il primato economico nel territorio della Romania con i capisaldi commerciali dell’impero, in Grecia e sul Mar Nero.

 

Quanto era appartenuto ai veneziani, acerrimi nemici, nel quartiere di Costantinopoli, era distrutto, a partire dal Palazzo del Podestà. E oltre al palazzo, Michele VIII consegnava agli alleati tutti gli antichi possedimenti veneziani.

 

Le porte del Mare Maior si aprivano così ai Genovesi, che a partire da questo momento e negli anni successivi, si conquistavano sostanzialmente il primato nei territori dell’impero, beneficiando di una esenzione completa sulle tasse doganali, occupando città e fondaci lungo le coste.

 

Già da tempo ottimi conoscitori dei luoghi, come spiega G. Pistarino, i genovesi avevano già da tempo studiato accuratamente i porti che ritenevano più utili e che sarebbe stato necessario porre sotto il loro controllo; si interessano a quei punti strategici che possono mettere in comunicazione con l’Asia e a quelli nei quali arrivavano svariate merci: pellicce, pietre preziose, grano, spezie, ecc. Infatti è di grande importanza l’accesso all’interno dei territori russi le lunghe vie carovaniere orientali, e da quei mercanti dipenderà l’approvvigionamento granario di Costantinopoli.

 

Possedimenti, città ed empori, in gran parte non concessi direttamente da Bisanzio. Si tratta infatti di casi in cui si doveva entrare in contatto con altri sovrani, ai quali, in situazioni giuridiche molto diverse e spesso mutevoli apparteneva la parte restante del litorale: dai principi bulgari di Kipciak, dalla città greca di Cherson all’Impero di Trebisonda, al Regno di Georgia, dai principati turchi dell’Anatolia alle piccole signorie locali». Cardine di tutto il sistema era l’antica colonia greca di Teodosia, che avrebbe preso il nome di Caffa, capoluogo della Crimea; ma c’erano altre importanti città, come Pera, situata sugli stretti del Bosforo e popolata fin dal 1268; o come Trebisonda, punto d’arrivo di merci come grano, pesce, sale: questa e altre controllavano anche l’importazione della seta e delle spezie verso l’Europa e facevano da intermediari per i cereali delle zone danubiane e le pellicce provenienti dalle foreste russe.

 

Governate da un console, le colonie si fondavano, spiega Michel Balard, su grandi risorse umane. Era necessario richiamare gruppi di emigranti da Genova e dalle comunità rivierasche, una popolazione piuttosto variegata, tra soldati, marinai, avventurieri, ma anche giovani che fanno il loro apprendistato d’affari, membri dell’aristocrazia mercantile che partivano per qualche mese o qualche anno, stabilendosi in quegli empori, alcuni trovando moglie, oppure altri chiamando le loro famiglie a raggiungerli.

 

Definire il tutto un impero coloniale nel senso moderno dell’espressione, è fuorviante. Si trattava, piuttosto, di una rete di collettività disomogenea, con famiglie di mercanti, gruppi che agivano in un contesto autonomo, dove l’azione del Comune lasciava sempre più spazio al potere dei privati.

 

In effetti, Studiosi come G. Pistarino vedono nel Mar Nero dei secoli XIII, XIV, e XV una situazione sostanzialmente instabile, un contesto complesso, dove potenze mercantili si inserivano con piazze commerciali o veri e propri possedimenti territoriali: proprietà che potevano appartenere allo stato come a privati, cioè a facoltose famiglie, creando una fitta rete di rapporti economici tra le sponde, ma alimentando anche tensioni e conflitti, dal momento che ci si schierava spesso con i vari contendenti o ci si disputava le zone di influenza.

 

Per di più, i rapporti dei coloni con la madrepatria Genova non erano sempre facili: alcune testimonianze, in particolare, riguardano richieste di aiuti militari e finanziari per fronteggiare dei pericoli e attacchi nemici ma che talvolta rimanevano inattuati, e le colonie erano, in pratica, lasciate a se stesse.

 

Neppure le invasioni dei Mongoli avevano creato difficoltà a questi traffici. Anzi, con la “pace mongolica”, il vastissimo impero dell’Orda d’Oro, che controllava tutti i territori tra il Danubio e l’estremo oriente era favorevole alla frequentazione degli occidentali, pur con situazioni non sempre facili.

 

I mercanti potevano utilizzare quei centri del Mar Nero come base d’appoggio per i lunghissimi itinerari che conducono verso le steppe asiatiche. Uno dei più importanti parte dalla Crimea e attraversava la Russia meridionale e il Turkestan; l’altro, da Trebisonda conduceva in Persia. Lungo quest’ultima strada i genovesi avevano stabilito degli scali come Samastri e Sinope.

 

Quello delle colonie appariva come un tessuto cittadino fortemente multietnico, dove abitavano fianco a fianco genti diverse, Greci, Armeni, Tartari, Siriaci, Ebrei e Saraceni, ogni gruppo con proprie leggi. Un tipo di società in cui la convivenza pacifica di tradizioni, costumi e usi molto differenti era una via obbligata. E da parte di chi deteneva il potere, non si vedeva la praticità a sottomettere con la forza le genti che già vi risiedevano: era sufficiente piuttosto, coinvolgere le élite indigene e lasciare loro una parte dei profitti, mantenendo la gente comune nella propria condizione ancestrale.

 

Avida di profitti, di denaro proveniente dai traffici, la Genova delle colonie non si era certamente preoccupata di propagare la fede cristiana, un compito lasciato agli ordini mendicanti, francescani e domenicani. Nel caso della città Caffa, si sono contate numerose chiese e conventi, in maggioranza latine. Così anche a Pera: qui numerose lapidi nelle chiese testimoniano la presenza di illustri famiglie genovesi.

 

Molte di queste città avevano conosciuto presto uno sviluppo eccezionale, si erano dotati di possenti cinte murarie, avevano rianimato la vita economica di quelle terre; i nuovi arrivati, sostituendosi ai veneziani, occupavano inizialmente modesti fondaci per custodire le merci, le case della via principale, la Ruga, bagni, forni, macelli, cappelle e logge come luoghi di incontro.

 

La loggia può essere considerato il centro dell’organizzazione pubblica, luogo degli affari e dell’attività giudiziaria, punto di riferimento della comunità: uno spazio fondamentale, insieme alla strada principale e al fondaco, struttura di derivazione islamica: il nome deriva da founduk, sorta di magazzino, formato da un’insieme di spazi, tra pubblico e privato. Elemento immancabile era il palazzo del Console o del Capitano, segno tangibile del suo potere. Ancora oggi in quei tanti centri si conservano resti di mura, strade edifici, simboli scolpiti nella pietra a testimonianza di quei due secoli circa.

 

In tutte le località il modello urbanistico era tipicamente genovese, ma anche il carattere economico, sociale e culturale, restava particolarmente legato all’esperienza comunale della madrepatria. Per i loro commerci i genovesi usavano una moneta battuta dai Kahn di Solgat, ma dal 1376 avevano fatto coniare aspri d’argento bilingui. Su questi compariva la legenda “Dux Ianue” o “Comune Ianuen” con il castello e l’effigie di San Giorgio.

 

Molti centri si erano rinnovati, come Kilia e Licostomo. La prima, una fondazione genovese, ha un’amministrazione civile con il console e la curia dove si svolgeva l’attività amministrativa e giudiziaria. Situata su un’isola, Licostomo era governata da un console, e un’amministrazione politico-militare. Da qui le grosse navi, le cosiddette “cocche” imbarcavano il grano, per portarlo a Genova, a Caffa e ad altre colonie, oltre a merci come oro, argento, perle.

 

Ma le difficoltà non mancavano: vessati da certe signorie locali i mercanti genovesi si erano associati in una sorta di Maona, utilizzando i proventi commerciali e le gabelle sui prodotti.

 

Per amministrare i possedimenti era istituito un nuovo organismo, un apposito dicastero: l’Officium Gazarie - Gazaria è il nome della Crimea all’epoca - che in luoghi come Caffa, riorganizzava i quartieri, con lottizzazione e vendita all’asta dei terreni del centro, locazione delle terre dei sobborghi ai greci, agli Armeni e ad altri non liguri.

 

Tra i più importanti insediamenti, merita uno sguardo la citata Caffa, collocata in posizione strategica, nella penisola di Crimea. Mediocre porto bizantino, faceva da sbocco al mare del principato di Theodoros e del Khanato di Mangup; i genovesi la frequentano anche prima del trattato di Ninfeo, costruendovi un fondaco.

 

È quindi ceduta ai genovesi da Timur, principe dei Tartari intorno al 1266, pur avendo vita piuttosto turbolenta, con passaggi di mano in mano, fino a tornare ai Genovesi, che la tengono fino al 1475.

 

La città inizialmente si presentava come un insediamento costruito quasi interamente in legno, compresa la linea muraria difensiva, a doppia palizzata. Dal 1280 era, a tutti gli effetti, colonia genovese e poco più tardi appariva strutturata a livello giuridico, con un Console e un consiglio, diventando un importante centro mercantile ed economico, abitato anche da russi greci, armeni.

 

Nel 1313 la cittadella aveva rinnovato la sua struttura difensiva: alle palizzate in legno si sostituiscono le mura che inglobano la ripa, perfezionate e resistenti, tanto da resistere ai nemici fino al XVIII. Come in altri casi è un tipico esempio di ripresa del tessuto urbano di Genova, con la collina del Castrum, la più antica area murata, che domina il piano della civitas, quartiere strutturato a maglia con isolati modulari; ci sono poi i borghi che seguono l’andamento della marina.

 

All’interno della cinta si trovavano i più importanti edifici pubblici, i palazzi dei ricchi mercanti con le botteghe, un posto di guardia sulla piazza del mercato, macelli, ospizi, taverne, bagni, chiese dedicate a San Giovanni Battista, San Giorgio e San Lorenzo. Al centro della città sorgeva il palazzo del Comune, da dove si amministrava tutta la Gazaria, e dove risiedevano il Console e il vicario con il loro entourage.

 

A Caffa si smerciavano anche schiavi: esisteva appositamente una casa dove gli officiales capitum sancti anthonini, sovrintendevano al mercato degli schiavi di varie nazionalità, magiari, circassi, georgiani, abkhasi, russi, cumani. Tuttavia, secondo le leggi della città, non potevano essere venduti come schiavi gli abitanti.

 

Oltre a Caffa, è da considerare anche il centro di Pera, l’altro caposaldo sul Mar Nero, situato sulla costa occidentale. Nell’anno 1267, quando Pera è concessa ai Genovesi era un insediamento non fortificato, ma ben presto si sviluppa come approdo mercantile e comincia a essere frequentato da genti diverse.

 

Qui si commerciavano mercanzie di ogni tipo: lana e grano dai Balcani, vino, cera, laudano, sapone dalla Grecia, pellicce cuoio dalla Crimea. Tra il 1267 e il 1303 il centro è circondato di mura ed è attestata la Loggia del Comune, oltre al palazzo del Podestà. Si formano famiglie multietniche, sono edificate case, chiese, conventi, luoghi di accoglienza, intervengono anche gli ordini mendicanti.

 

Anche Soldaia (l’odierna Sudak), come altre, era in precedenza un possedimento veneziano. Perduta durante i conflitti con l’Orda d’Oro, anche se commerciavano qui già dal XIII secolo, i genovesi erano riusciti nel 1365 a impadronirsi della città e dei diciotto villaggi circostanti, detti “Casali di Gothia” approfittando delle discordie all’interno dell’Impero mongolo.

 

Anche in questo caso ritroviamo una situazione urbanistica fatta di strutture difensive e costruzioni civili inizialmente edificate in legno, risalenti al periodo veneziano; a loro volta ricalcavano il tracciato delle precedenti difese bizantine.

 

Sfruttando il paesaggio scosceso, i genovesi avevano cominciato poi a costruire opere difensive in pietra, in una sintesi eccezionale tra paesaggio ed elementi architettonici: venti torri quadrangolari, cortina muraria merlata con camminamenti, fossato e ponte levatoio. Accanto alla porta di sant’Elia si trovano ancora i resti della dogana, delle abitazioni degli ufficiali e delle loggia per le merci.

 

Tra gli altri centri, Cembalo (Balaklava), sede di un consolato prima del 1344; Sevastopoli, Sinope, Belgorod, chiamata all’epoca, Moncastro alla fine della strada moldava che rappresenta il collegamento fondamentale con l’Europa nord occidentale.

 

La città che maggiormente riporta testimonianze della presenza genovese è Amastris, l’attuale Amastra, insediamento costruito su un’isola collegata al promontorio da un ponte. Situata nella costa meridionale, si può riscontrare la presenza di coloni genovesi dal XIV, a giudicare dalle annotazioni dei registri della masseria di Caffa, riferisce P. Stringa.

 

L’autore menziona una iscrizione con gli stemmi della famiglia Boccanegra risalente al 1363: a questa data si sarebbe cominciata a edificare la cittadella. Questa appare circondata da una doppia cortina muraria, con torri quadrate circonda con il castello residenza del governatore. Numerosi stemmi in lastre di marmo appartengono a famiglie: oltre ai citati Boccanegra, anche ai Doria, Adorno, Luxardo, Di Negro, Campofregoso.

 

I centri lungo la costa bulgara cominciavano il declino nel momento in cui polacchi e ungheresi avevano iniziato a orientare il loro interessi commerciali verso il Baltico e l’Adriatico; poi diventa facile preda dei moldavi e degli Osmainliti.

 

La conquista di Maometto II sui resti dell’Impero bizantino sarà una battuta d’arresto per tutte questi possedimenti. Il Mare Majus, mare genovese per due secoli diventa ora Kera Deniz ottomano.

 

Il 15 novembre 1453 il Comune cede tutti i possedimenti del Mar Nero al Banco di San Giorgio, potente istituto creditizio; ma le sorti di tutte le città coloniali sarebbe stata a breve, nelle mani dei nuovi conquistatori.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

P. Stringa, Genova e la Liguria nel Mediterraneo, insediamenti e culture urbane, Sagep 1982

M. Marcenaro, Testimonianze architettoniche genovesi sul Mar Nero, in Genova e l’Europa mediterranea, Ed. Fondazione Carige, 2005

G. Pistarino, Pagine sul medioevo a Genova e in Liguria, ed. Tolozzi, 1983



 

 

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