N. 106 - Ottobre 2016
(CXXXVII)
i coloni e i nativi d'america
gli usa e lo
sterminio degli indiani
di
Elisa Temellini
Nel 1992, cinquecento anni dopo la scoperta dell’America,
venne
pubblicato
un
libro
scritto
da
David
E.
Stannard
circa
le
vittime
causate
dalla
colonizzazione
europea
nelle
due
Americhe
nel
corso
di
cinquecento
anni.
Lo
storico
descrive
dettagliatamente
cinque
secoli
in
cui
atrocità
e
sopraffazione
erano
all’ordine
del
giorno
nei
confronti
degli
indigeni
americani.
Non mi dilungherò su quanto commesso in America latina dai
conquistadores,
piuttosto
descriverò
quanto
dovettero
subire
gli
Indiani
d’America
per
mano
degli
Europei
dalla
fine
del
XVIII
secolo
al
1890,
quando
con
il
massacro
di
Wounded
Knee
venne
definita,
o
meglio,
liquidata
la
questione
relativa
ai
nativi
americani.
I
pellirosse,
come
vennero
chiamati
dai
primi
conquistatori
per
via
della
loro
usanza
di
dipingersi
viso
e
corpo
di
colore
rosso,
furono
letteralmente
decimati,
confinati
in
riserve
e
ridotti
a un
corpo
estraneo,
ancora
oggi
mal
sopportato
nei
“democratici”
Stati
Uniti.
La tesi abbracciata dallo storico è che quanto accadde in
America
non
può
essere
paragonato
a
nessun
altro
eccidio.
Le
crudeltà
commesse
superarono
per
numero
di
vittime
qualsiasi
altro
sterminio
di
massa.
L’ultima
parte
del
libro,
la
più
discussa,
evidenzia
come
la
distruzione
perpetrata
dagli
Europei
fosse,
in
realtà,
motivata
da
un
senso
di
superiorità
razziale
a
sua
volta
originato
dal
Cristianesimo,
religione
ritenuta
dagli
stessi
credenti
segno
di
maturità
civile
e
sociale.
Nel 1991, Lech Walesa si recò a Gerusalemme per chiedere
perdono
agli
ebrei
di
quanto
commesso
durante
la
seconda
guerra
mondiale.
Il
Presidente
polacco
fu
ammirato
dagli
statunitensi,
ma
proprio
questi
ultimi,
quasi
contemporaneamente,
minacciarono
di
tagliare
i
fondi
a
Smithsonian
Insitution
a
causa
di
un
progetto
cinematografico
che
parlava
di
genocidio
per
mano
dei
colonizzatori
europei
a
scapito
degli
indigeni
americani.
Ecco
come
vanno
tuttora
le
cose
negli
USA:
esistono
vittime
degne
e
vittime
indegne.
Il vero proposito che i coloni abbracciavano era quello di
annientare,
di
eliminare
un
intero
popolo
creando
condizioni
tali
da
condurlo
all’oblio.
E
visto
che
solo
il
2%
dei
pellirosse
è
sopravvissuto,
non
si
potrebbe
definire
quest’immane
carneficina
con
altre
parole.
Fu
un
vero
e
proprio
olocausto.
I
superstiti,
oggi,
vivono
in
riserve,
in
condizioni
disumane
dove
la
povertà
raggiunge
tassi
altissimi
e
l’alcolismo
spopola
tra
i
giovani.
Qualche numero citato dal professore universitario: i suicidi
tra
i
giovani
compresi
tra
i 15
e i
24
anni
è
superiore
del
200%
al
tasso
complessivo
nazionale
e i
morti
per
cause
connesse
al
consumo
di
alcol
tra
gli
indiani
maschi
nello
stesso
range
di
età
del
900%
e
tra
le
femmine
del
1300%.
Ma vediamo i fatti.
La maggior parte delle tribù indiane era nomade. Solo alcuni
di
loro
erano
stanziali,
i
Creek,
i
Cherokee
e i
Seminole,
e
avevano
costruito
veri
e
propri
villaggi.
Tutti
gli
indiani
vivevano
di
caccia
e di
semplice
agricoltura.
Gli
indigeni
si
potevano
muovere
liberamente
in
ampi
spazi
sconfinati.
La
Natura
era
tutto
per
loro.
La religione era animista e il Grande Spirito era presente
in
ogni
forma
della
natura.
Abituati
a
muoversi
liberamente
in
ampi
spazi,
mal
tolleravano
la
presenza
dei
bianchi.
E i
coloni
consideravano
la
presenza
dei
pellirosse
una
minaccia.
Con
la
formazione
degli
Stati
Uniti
vediamo
crescere
le
crudeltà
commesse
dai
colonizzatori
a
danno
delle
varie
tribù
indiane.
La
terra
occupata
da
questi
popoli
era
una
terra
ricca
d’oro.
Non
solo,
erano
zone
da
colonizzare
dove
spesso
passavano
o
sarebbero
dovute
transitare
convogli,
dove
doveva
essere
costruita
la
linea
ferroviaria
federale.
La corsa all’Ovest era per lo più un fenomeno spontaneo,
una
libera
iniziativa
dei
pionieri,
ma i
coloni
venivano
appoggiati
militarmente
dal
governo
centrale:
una
volta
possedute
nuove
terre
e
raggiunto
il
numero
di
60.000
abitanti,
i
conquistatori
bianchi
potevano
chiedere
l’annessione
all’Unione.
Iniziarono così le prime sanguinose battaglie. Anche se
battaglie
come
termine
non
è
proprio
esatto.
Furono
veri
e
propri
massacri
per
mano
dei
tanto
famosi
cowboy
e
operati
con
armi
da
fuoco
spesso
contro
donne,
anziani
e
bambini
essendo
gli
uomini
indigeni
a
caccia
di
bisonti…
Il Governo Federale mise in atto una serie di provvedimenti
atti
a
restringere
le
terre
dei
nativi
a
favore
dei
pionieri
bianchi
e
della
loro
colonizzazione.
Gli
indiani
provarono
a
difendere
la
loro
terra,
ma
l’inferiorità
di
numero,
la
diversità
delle
armi
(archi
e
frecce
contro
cannoni)
e di
strumenti
culturali
decretarono
la
tragica
sconfitta
degli
indiani.
Prima
furono
spinti
a
Ovest
del
Mississippi
in
una
terra
inospitale
e
poco
adatta
all’agricoltura.
Ma
anche
questo
era
considerato
troppo
e i
coloni
si
spinsero
pure
lì,
relegando
i
pochi
indigeni
superstiti
in
terribili
riserve.
Riporto solo qualche tristissimo e significativo episodio
descritto
nel
volume
di
Stannard.
Il maggior generale Sullivan, nel 1779, ricevette l’ordine
di
attaccare
gli
irochesi
e
distruggere
i
loro
insediamenti.
George
Washington,
proprio
lui,
aveva
intimato
ai
militari
che
nessuna
pace
doveva
essere
accettata
prima
della
completa
distruzione
degli
accampamenti.
Gli
ordini
vennero
eseguiti
e
gli
indiani
furono
cacciati
come
bestie.
D’altronde,
nel
1783,
in
un
pubblico
discorso
lo
stesso
Washington
affermò
che
i
pellirosse
altro
non
erano
che
lupi,
animali.
Perché
rammaricarsi
per
loro?
Nemmeno
quando
alcuni
soldati
scorticarono
il
corpo
di
alcuni
indigeni
per
poterne
fare
gambali
con
la
pelle
il
governo
intervenne.
E il
presidente
Washington,
perseverando
nelle
sue
convinzioni,
continuò
le
stragi,
ottenendo
il
soprannome
di
distruttore
delle
città.
In
meno
di 5
anni
fece
distruggere
più
di
28
cittadine
delle
30
abitate
dal
popolo
Seneca.
Vennero
rasi
al
suolo
anche
i
villaggi
delle
tribù
Mohawk,
Onondaga
e
Cayuga.
E tanti furono gli illuminati presidenti americani a commettere
questi
crimini:
Adams,
Monroe
Jackson
e lo
stesso
Jefferson,
il
quale
difese
la
causa
dei
coloni
affermando
che
i
bianchi
erano
obbligati
a
cacciare
gli
indiani
tra
le
bestie
delle
montagne.
Il
governo
centrale
non
aveva
scelta,
nei
suoi
scritti,
Jefferson
esplicita
che
i
nativi
americani
dovevano
essere
estirpati
o
trasferiti
fuori
dalla
portata
americana.
Tra gli episodi più cruenti va annoverato la strage di
Sand
Creek,
avvenuta
nel
1864.
Il
piccolo
e
indifeso
villaggio
del
Colorado
era
abitato
da
Cheyenne
e
Arapacho.
Dopo
una
schermaglia,
causata
ancora
una
volta
dai
bianchi,
dove
morirono
due
soldati,
furono
uccisi
25
indiani.
Ulteriori
morti
da
una
parte
e
dall’altra
seguirono
questo
episodio.
Finché
il
governatore
emise
un
proclama
di
emergenza:
ogni
indiano
poteva
essere
trucidato.
Il colonnello Chivington cavalcò con 700 soldati armati
fino
al
villaggio
di
Sand
Creek,
allora
abitato
solo
da
donne
e
bambini
e
qualche
anziano.
Gli
uomini
erano
a
caccia.
Pentola Nera, l’anziano capo, all’arrivo dei soldati, legò
al
palo
una
bandiera
bianca
e
una
bandiera
americana,
consegnatagli
dal
Commissario
degli
affari
indiani,
dichiarando
che
il
loro
villaggio
non
era
ostile.
Gridava
alla
gente
di
non
aver
paura.
I
soldati
aprirono
il
fuoco.
450
indiani
furono
massacrati,
scuoiati.
Ai
morti
venne
tolto
lo
scalpo.
Donne
sventrate,
corpi
mutilati,
genitali
utilizzati
dai
soldati
bianchi
come
ornamenti
o
addirittura
borse
per
il
tabacco.
Bambini,
anche
neonati,
trucidati.
Una
volta
compiuto
il
massacro
il
colonnello
comunicò
ai
giornali
che
aveva
compiuto
la
sua
missione
e
una
delle
più
sanguinose
“battaglie”
era
stata
vinta…
Fuori dal Colorado la cosa però non piacque e finalmente
qualcosa
iniziò
a
muoversi
anche
politicamente.
Il
Comitato
si
riunì
ma a
Chivington
non
accadde
nulla.
Continuò
tranquillamente
a
raccontare
le
sue
imprese
vantandosi
di
quanto
commesso.
Neanche la strage di Wounded Knee, in South Dakota,
fu
da
meno.
La
carneficina
o
meglio
lo
sterminio
degli
indiani
venne
esortato
su
un
quotidiano
dallo
stesso
Baum,
lo
scrittore
de
Il
mago
di
Oz.
I
cannoni
a
retrocarica
Hotchkiss
falciarono
centinaia
di
uomini,
donne
e
bambini.
I
sopravvissuti
furono
seguiti
nella
loro
disperata
fuga
per
miglia
e
trucidati
in
modo
sbrigativo.
Niente
di
indiano
doveva
più
esistere
e
come,
in
anticipo
sui
tempi
sul
nazismo,
i
bambini
dovevano
essere
sterminati
senza
alcuna
pietà
onde
evitare
che
diventassero
adulti.
Gli
stessi
politici
parlavano
di
lendini
e
pidocchi
e di
come
i
fanciulli
sarebbero
stati
comunque
da
eliminare
in
quanto
scorreva
in
loro
sangue
indiano.
Era
dovere
dei
bravi
cittadini
americani
perseguitare
e
uccidere
gli
indiani
per
liberare
le
terre
dal
male.
Questo
era
quanto
veniva
proclamato
dagli
stessi
politici
e
dagli
allora
mass-media…
Non si parla di chissà quando, ma solo poche decine di anni
fa i
bambini
crescevano
con
il
mito
del
Far-West
e
l’imitazione
degli
eroici
cowboy
che
liberavano
le
terre
da
quei
selvaggi
degli
indiani.
Poi successe qualcosa e le versioni relative alla storia
iniziarono
a
cambiare.
Uscirono film denuncia come Nevaio Joe di
Sergio
Corbucci
nel
1966
e
nel
1970
vennero
proiettati
film
come
Soldato
blu
di
Nelsen
e
Piccolo
Grande
uomo
di
Penn.
Vennero
scritte
splendide
canzoni
come
Il
fiume
di
San
creek
di
De
André
e
finalmente
anche
ai
ragazzi
si
inizio
a
mostrare
una
realtà
più
rispondente
ai
fatti.
Gli
esempi
sono
Pocahontas
ed
il
caso
più
eclatante
e
recente
Spirit.
Insomma
l’aria
iniziò
a
cambiare
e
l’opinione
pubblica
si
rese
conto
di
quello
che
i
nativi
avevano
subito.
Riferimenti
bibliografici:
David
E.
Stannard,
Olocausto
americano:
la
conquista
del
nuovo
mondo,
Bollati
Boringhieri
2001.
Giovanni
Sabatucci,
Vittorio
Vidotto,
Storia
contemporanea,
Editori
Laterza,
Roma-Bari
2002.