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N. 132 - Dicembre 2018 (CLXIII)

COLD WAR
Passione, musica e stratificazione culturale nella Polonia degli anni '50

di Leila Tavi

 

Con Cold War il regista polacco Paweł Pawlikowski ha vinto il premio come miglior regista nell’ultima edizione del Festival di Cannes e ha trionfato al recente European Film Awards, dove la pellicola è stata premiata come miglior film, Pawlikowski come miglior regista e sceneggiatore, Joanna Kulig come migliore attrice protagonista e Jaroslaw Kamiński come miglior montatore. Pawlikowski ha vinto già nel 2015 con Ida l’Oscar come migliore film in lingua straniera nel 2015 e quest’anno è candidato di nuovo all’Oscar per la stessa categoria.

Wiktor (Tomasz Kot) è un insoddisfatto direttore d’orchestra che accompagna un ensemble di cori e danze folcloristici. Il musicista sogna di fuggire in Occidente per poter dar sfogo alla sua creatività senza costrizioni ideologiche. I canoni estetici in vigore in tutto il blocco sovietico durante la Guerra Fredda gli stanno stretti, perché l'avanguardia, un genere musicale che nella Polonia di quegli anni raggiunge un buon livello di produzione, e la libertà artistica devono convivere con il realismo socialista e con la coercizione estetica.

L’amore ricambiato per una ragazza che fa parte dell’ensemble, Zula (Joanna Kulig), dal fascino prorompente, gli fa dimenticare per qualche tempo la tristezza che attanaglia il suo cuore per non poter esprimere a pieno la sua arte. I due amanti girano l’Europa centro-orientale in tour, ma durante un concerto nel 1952 a Berlino Est Wiktor prende la decisione di attraversare la frontiera, convinto che Zula lo seguirà, ma la ragazza, pur vivendo un dissidio interiore, decide di non abbandonare la sua Patria. Wiktor e Zula si ritroveranno e saranno travolti ancora dalla passione qualche anno dopo in una Parigi spregiudicata che accoglie artisti, scrittori e musicisti statunitensi, tra questi ultimi molti jazzisti di talento come il batterista Kenny Clarke, o il pianista Bud Powell, oltre che Jimmy Woode e Francy Boland. Zula, con la sua voce malinconica e dolce, ha le potenzialità per diventare una cantante di fama internazionale, ma l’Heimweh si fa strada nel suo animo e a un futuro costellato di successi e guadagni facili preferisce trovare la sua strada artistica nel suo Paese guidato da Władysław Gomułka, che con il suo ‘disgelo’ e le sue riforme fa assaporare ai cittadini polacchi un processo di liberalizzazione, sebbene di breve durata.

Anche compositori e critici riescono così a delineare una sorta di corollario musicale durante la via polacca al socialismo, un accordo con l’establishment grazie a cui libertà artistiche più ampie sono tollerate, a patto che il socialismo di Stato in Polonia non sia messo in discussione. L'adattabilità della musica a tali mosse critiche, unita al crescente prestigio internazionale dei compositori d'avanguardia polacchi e al Festival autunnale di Varsavia, suggerisce perché la musica è stata risparmiata dall’imposizione di un controllo restrittivo da parte del governo polacco.

La tradizione folkloristica che fa da sfondo alla storia d’amore tra Wiktor e Zula rappresenta, invece, il legame con la terra e la vita contadina, un’identità culturale che tiene coeso il popolo attorno a due concetti: etnicità e nazionalità, ma allo stesso tempo accomuna i Polacchi agli altri popoli slavi.

La narrazione di Pawlikowski non svela dettagli della storia dei due protagonisti, molto va supposto osservando attentamente i loro sguardi, esaltati dalla scelta del bianco e nero. La storia della coppia di amanti segue un moto ellittico, che mette in risalto i momenti drammatici nella loro relazione. La loro relazione si sviluppa alternando lontananza e passione, conferendo alla storia intimità ed epicità allo stesso tempo. L'intervallo tra gli episodi che si succedono nella vita dei due innamorati lascia spazio all’immaginazione e alla riflessione. Un simile approccio alla storia di Wiktor e Zula pone sotto la lente d’ingrandimento l'illusione del sentimentalismo, che si spoglia della sua aurea melanconica per esaltare la tragica intensità della passione. Pawlikowski non vuole suscitare facili emozioni, come la scelta del montaggio dimostra. Il regista permette allo spettatore di osservare il destino dei protagonisti solo a debita distanza, suscitando compassione e non empatia. La "Guerra Fredda" sullo sfondo è rappresentata con cognizione di causa, riuscendo nell’intento di celare una complessità narrativa dietro a una costruzione artistica basata solo in apparenza sulla semplicità.



 

 

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