antica
SULLA CIVILTà
CARTAGINESE
STORIA DEL POPOLO ANTAGONISTA DI ROMA /
PARTE I
di Luigi De Palo
Secondo la leggenda, Cartagine fu
fondata dalla regina Didone (figlia del
re di Tiro Muttone e sposa del
ricchissimo Sicherba), la quale, secondo
il mito, in fuga dalla tirannia del
fratello Pigmalione di Tiro, dopo che
quest’ultimo le aveva ucciso il marito
per salire al trono, approdò in Africa
settentrionalepoiché, giunta sulle
sponde tunisine, ebbe modo di ammirare
la posizione strategica di questo
territorio elevato di fronte al mare,
stabilendo un insediamento su una
collina nota come Byrsa.
La leggenda afferma che il capo berbero
che controllava la regione, il principe
indigeno Iarba, le garantì tanta terra
quanta ne avrebbe coperta una pelle di
bue (Byrsa significa "luogo
fortificato", ma anche, secondo
un'antica interpretazione, "pelle",
intendendo la pelle di un bue, di un
toro, con un chiaro rimando alla
leggenda). Didone quindi prese la pelle
di bue e, con grade sorpresa del
principe, la tagliò a striscioline,
disponendola in fila e circondando
l’intera collina, ottenendola in questo
modo per sé e la sua gente.
Leggenda a parte, Cartagine fu fondata
dai fenici come stazione commerciale ed
effettivamente la popolazione di
Cartagine derivava dalla mescolanza
della cultura indigena, costituita dai
berberi in Africa e dalla cultura
portata dai coloni fenici. Il suo nome
deriva dal punico Qart Hadasht,
che significa “città nuova”, per
distinguerla da Utica, la "città
vecchia". Costruita tra il lago di
Tunisi e il mare, secondo le fonti
classiche fu fondata intorno all’814
a.C. insieme ad altre colonie fenicie.
La datazione dei reperti archeologici
sembrerebbe confermare quanto trasmesso
dalle fonti.
La città prese a svilupparsi
significativamente a seguito della
distruzione da parte di Alessandro Magno
nel 332 a.C. del grande polo produttivo
e commerciale di Tiro, ritenuta la
città-madre coloniale di Cartagine. In
fuga da Tiro i rifugiati portarono a
Cartagine tutti i loro averi e
ricchezze, contribuendo alla crescita
economica della città e rendendola il
riferimento per i commerci nel
Mediterraneo.
I cartaginesi stabilirono inoltre
relazioni con le tribù confinanti, in
particolare con le tribù berbere del
regno nordafricano di Numidia, le quali
ne infoltirono i ranghi militari
principalmente con la cavalleria. Forte
della sua potenza commerciale, della sua
flotta e del suo esercito, Cartagine
divenne presto la più ricca e potente
città mediterranea.
Cartagine inoltre non fu la prima
colonia fenicia, prima erano state
fondate Cadice, Utica e, secondo
Diodoro, diverse colonie in Africa e
come tutte le città fenicie, anche
queste nacquero per fini commerciali.
Cartagine però, forte della sua
posizione e delle sue ricchezze, divenne
ben presto la più importante delle
colonie, prendendo il sopravvento sulle
altre.
Ma com’era organizzata Cartagine? La
città contava quattro distretti
residenziali espansi intorno alla
centrale cittadella della Byrsa ed era
circondata da mura che si estendevano
dai porti all'entroterra per 37
chilometri. Vi erano tutti gli agi e le
raffinatezze che si potessero trovare in
una grande città antica: un teatro per
l'intrattenimento, templi per le
osservanze religiose, una necropoli, il
mercato dell'agorà.
Cartagine poteva inoltre vantaredue
grandi porti, uno commerciale e l'altro
militare. Questi erano costantemente
operativi nel rifornimento, nella
riparazione e nell'equipaggiamento delle
imbarcazioni, collegati da un canale e
dominati dalla Byrsa. I porti
rappresentavano la potenza di Cartagine,
che, insieme alla posizione strategica
della città e al declino della civiltà
fenicia nel Mediterraneo Occidentale,
diedero ai cartaginesi la possibilità di
riempire il vuoto di potere assumendo un
ruolo di primo piano nel controllo del
Mediterraneo.
Accanto ai proventi del commercio
marittimo, la riscossione di tributi e
le tariffe commerciali incrementavano
regolarmente la ricchezza della città: i
porti contavano circa 220 moli ornati
alla greca. Navi commerciali cartaginesi
viaggiavano giornalmente verso porti in
tutto il Mediterraneo, mentre la flotta
militare ne garantiva la sicurezza,
esplorava nuovi territori per
l'approvvigionamento di risorse ed
apriva nuove rotte commerciali
attraverso campagne di conquista.
Forte dunque della propria presenza nel
Mediterraneo, ben presto Cartagine
sottomisele tribù locali e le colonie
fenicie più antiche, giungendo così a
controllare l'intera costa dell'Africa
settentrionale, dall'oceano Atlantico al
confine occidentale dell'Egitto, oltre
alla Sardegna, a Malta, alle isole
Baleari e a parte della Sicilia. La
prima testimonianza dell’espansione di
Cartagine è la fondazione di una colonia
a Ibiza nel 654-653 a.C. tale colonia
aveva la funzione di scalo tra la
Sardegna e la Spagna.
A proposito della Sicilia, sarà proprio
quest’ultima a portare alle guerre
puniche: i cartaginesi distrussero alla
fine del V secolo molte tra le maggiori
città siciliane: Selinunte, Imera,
Agrigento ecc.. La lotta intrapresa
allora contro i cartaginesi da Dionisio,
tiranno di Siracusa, si concluse con un
accordo (374 a.C.) che riconosceva a
Cartagine un certo controllo della
Sicilia. Ma le tensioni non finirono
qui, infatti tra il 317 e il 189i
Cartaginesi sostennero due lunghe
campagne contro Agatocle, tiranno di
Siracusa, la cui morte portò Pirro re
d’Epiro a dare il suo aiuto ai
siciliani, ma dovette presto abbandonare
la Sicilia. Pochi anni dopo, la contesa
tra Gerone II di Siracusa e i Mamertini
provocò l’intervento romano che segnò
l’inizio delle cosiddette guerre
puniche.
Ritornando al V secolo a.C. il generale
cartaginese Annone intraprese un viaggio
lungo la costa atlantica del Nord
Africa. Le conoscenze e le tecnologie in
ambito navale ereditate dai fenici,
permisero ai cartaginesi di spingersi
anche oltre le colonne d’Ercole,
dall’Europa settentrionale all’Africa,
dalle coste Islandesi al golfo di
Guinea. Si era addirittura ipotizzato
che, a seguito di ritrovamenti di
relitti di navi cartaginesi oltre
Gibilterra, i fenici avessero solcato le
acque dell’Atlantico, spingendosi fino
alle coste dell’America Latina. In
realtà è solo una leggenda, la struttura
delle navi sia fenicie che cartaginesi,
erano progettate per la navigazione in
acque basse e lungo la costa per brevi
tratte come la traversata tra la costa
tunisina e quella siciliana, o al
massimo sarda, percorribile in pochi
giorni di navigazione. Inoltre le
dimensioni compatte ed il sistema di
propulsione della nave, rendeva
estremamente difficile la sopravvivenza
in mare per lunghi periodi, e non è un
caso se lungo la costa, durante i loro
viaggi, sia fenici che cartaginesi
costruirono numerosi avamposti
commerciali.
In ogni caso la potenza marittima dei
cartaginesi, già ampiamente descritta,
permise loro di estendere gli
insediamenti e le conquiste formando un
grande impero dedito ai commerci. I
cartaginesi, come i loro antenati
fenici, erano eccellenti marinai e
commercianti. "i Punici inventarono
il commercio"dirà lo storico Plinio
il Vecchio. L'oggetto dei loro traffici
riguardava soprattutto i prodotti delle
miniere di argento e di piombo, ma anche
rame e stagno dalla Spagna, dove le
miniere erano facilmente sfruttabili e
accessibili. Altre miniere di stagno
furono trovate in Gran Bretagna.
In un secondo momento, i cartaginesi
iniziarono ad importare e a distribuire
alcuni oggetti, come le ceramiche greche
ed etrusche, oltre a gioielli, oggetti
in vetro e animali esotici, frutta,
noci, avorio e oro. Altri manufatti
tipici del commercio cartaginese furono
le famose tinte di stoffa viola, una
peculiarità della cultura fenicia, che a
causa della loro natura deperibile
purtroppo non hanno lasciato tracce
archeologiche. In merito all’arte,
questa era costituita spesso da
imitazioni delle più celebri opere
egiziane, greche e fenicie e anche nel
campo della letteratura non c’è stato
tramandato molto, se non qualche opera
di carattere tecnico, ma sappiamo che a
Cartagine esistevano molte biblioteche e
che la filosofia era piuttosto diffusa
nei circoli punici. Ricordiamo il
filosofo più famoso di origine
cartaginese, Clitomaco.
Nonostante le poche testimonianze
letterarie gli studiosi concordano sul
fatto che Cartagine era a tutti gli
effetti una città fenicia, nella lingua,
nella cultura, negli usi e costumi e
nella religione, tutto rimandava alla
società fenicia, ma anche alle culture
vicine come quella greca. Per quanto
riguarda il governo, inizialmente la
città era guidata da una monarchia, ma
dal IV secolo a.C. divenne una
repubblica oligarchico-meritocratica al
cui vertice erano due magistrati eletti
noti come suffeti (letteralmente i
"giudici"), i quali governavano insieme
a un senato di 200-300 membri che
ricoprivano la carica a vita. Le leggi,
proposte dai suffeti e dal senato,
venivano approvate da un'assemblea di
cittadini.
Idue suffeti erano eletti ogni anno.
Essi avevano un potere civile di
amministrazione degli affari pubblici,
ma non il potere militare, riservato
agli eletti ogni anno dall'assemblea del
popolo e reclutati dalle grandi famiglie
della città. Una sorta quindi di
democrazia diretta, quella punica, che
rispondeva pienamente alle esigenze di
una città commerciale. Compito del
senato invece era quello di promulgare
le leggi, dirigere la politica estera e
reclutare gli eserciti, ed era
sostanzialmente un organo aristocratico,
formato esclusivamente da nobili
cittadini che restavano in carica a
vita. A sua volta il senato era diviso
in commissioni di cinque membri che
avevano il compito di eleggere un
consiglio ristretto, detto “la corte dei
cento” formato da circa cento senatori
cui erano conferiti poteri quasi
illimitati.
Oltre al governo giocava però un ruolo
fondamentale anche la religione,
probabilmente l’aspetto più studiato
della società cartaginese a causa delle
accuse di riti di sacrificio infantile
menzionate nelle fonti antichee
trasmesso fino ad oggi da numerosi
studiosi.
La mitologia di Cartagine è in gran
parte ereditata da quella dei fenici, e
la sua religione conserva nel corso
della sua storia questo carattere
profondamente semitico-occidentale,
essendo ad esempio venerati tra i
cartaginesi:Astarte, dea della fertilità
e della guerra; Eshmun, dio della
medicina; ma anche culti greci come
quello di Demetra e Kore, legato alla
fertilità e al raccolto, oltre a prove
di culti della dea egizia Iside e,
soprattutto tra il popolo, l’utilizzo di
amuleti e altri talismani per la
protezione contro demoni o malattie, di
forte influenza egiziana.
I sacerdoti inoltre avevano un grande
potere, anche se non intervenivano
direttamente nella politica interna o
straniera, godevano di una grande
influenza su una società profondamente
religiosa. I culti erano strutturati da
una gerarchia di sacerdoti le cui
posizioni più alte erano occupate da
membri delle famiglie più potenti della
città. I culti avevano ancheun ruolo
economico non indifferente, per via
delle offerte (come carne e altri beni)
agli dei e ai sacerdoti;e dei
sacrificiche potevano riguardare animali
piccoli (uccelli) o grandi (buoi), ma
anche piante, cibo o oggetti. Ancora è
aperto invece il dibattito relativo ai
sacrifici umani, in particolare di
bambini, i quali si dice venissero
celebrati in onore degli dei principali,
Baal e Tanit (l'equivalente della dea
fenicia Astarte).
Tanit era la dea dell’amore e della
fertilità al cui culto era associato il
consorte Baal Ammone: secondo alcuni
studiosi è possibileche a Tanit
venissero sacrificati bambini presso un
santuario a cielo aperto (il termine
comune è tofet), interpretazione
posta tuttavia in dubbio dall'ugualmente
plausibile eventualità che il tofet di
Cartagine non fosse che mera necropoli
riservata a neonati e fanciulli,
ritenendo quella dei sacrifici umani una
diceria di origine cristiana con
l’intento di screditare i culti pagani.
I primi conflitti e le guerre puniche
Sul piano geopolitico Cartagine fu
impegnata in guerre contro i greci e i
romani per quasi 150 anni, tra cui le
famose guerre puniche, sulle quali ci
soffermeremo. Motivo del contrasto fu il
controllo del Mediterraneo e in
particolare, come già accennato in
precedenza, della Sicilia, considerata
un ponte naturale tra l’Africa
settentrionale e la penisola italica. Lo
scontro inizialmente coinvolse
cartaginesi e greci.
A partire dalla metà del secolo VIII, la
penetrazione greca nel Mediterraneo
cominciò a creare alle colonie fenicie
un certo fastidio. Inizialmente essi si
concentrarono in zone dove non trovarono
fenici, ossia nell’Italia meridionale,
in Corsica, in Gallia ecc. ma lo scontro
in Sicilia fu alla fine inevitabile.
Per limitare l’espansione greca,
inizialmente i cartaginesi si allearono
con gli etruschi. Nel 550 il generale
Malco sconfisse i greci in Sicilia,
conquistando parte dell’isola. Malco poi
venne sconfitto in Sardegna da tribù
locali. In Sardegna la guerra verrà
ripresa qualche anno più tardi dai figli
di Magone, Asdrubale e Amilcare.
L’alleanza etrusco-cartaginese assunse
un significato ancora più importante nel
momento in cui diventò parte della
coalizione anti-greca nata sotto
l’impero persiano. Nel 510 la decadenza
etrusca portò però Cartagine ad
abbandonare quest’ultimi e a stipulare
nel 509 un accordo con Roma con la
finalità di dividersi le varie zone di
influenza.
Intanto continuarono le tensioni in
Sicilia. Intorno al 480 a.C. Re Amilcare
guidò le forze cartaginesi in Sicilia,
ma furono sconfitti da Gerone, tiranno
di Siracusa, il quale stava cercando di
unificare l'isola con il sostegno di
diverse città greche. Durante il
conflitto però lo stesso Amilcare perse
la vitanella battaglia di Imera nel 480
a.C. Nel frattempo anche Roma cominciò a
nutrire interessi nei confronti della
Sicilia.
Successivamente Cartagine tentò
nuovamente la conquista della Sicilia,
ma questa volta fu ostacolata dai
tiranni siracusani: Dionisio il Giovane,
Dionisio il Vecchio, Agatocle e da
Pirro, re dell’Epiro. L’intervento di
Pirro nello scontro tra cartaginesi e
greciportò in campo anche Roma.
Annibale Magone riprovò a conquistare la
Sicilia nel 409 a.C. e riportò una serie
di vittorie senza però scontrarsi mai
con Siracusa, ma distruggendo Selinunte
e Imera. Nel 406 una nuova spedizione
cartaginese conquistò Agrigento e
distrusse Gela. Ad Annibale Magone
(intanto morto di peste durante
l’assedio di Agrigento) successe
Imilcone, che negoziò con Dionigi una
tregua.
I greci però non potevano accettare la
presenza cartaginese: Dionisio di
Siracusa guidò la reazione greca fino
alla sua morte nel 367, portando la
frontiera al fiume Alico, il che voleva
dire per Cartagine dominare su un terzo
della Sicilia. Le guerre continuarono
per molti anni ancora, attacchi e assedi
che alla fine nel 340 a.C. videro la
sconfitta dell’esercito cartaginese,
ormai confinato solo a sud-ovest
dell'isola: nel 315 a.C. Agatocle di
Siracusa conquistò Messina e nel 311
invase gli ultimi insediamenti
cartaginesi della Sicilia. Il
cartaginese Amilcare III cercò quindi di
ostacolare Agatocle e arriverà a
conquistare parte della Sicilia mettendo
sotto assedio Siracusa, ma alla fine
sarà sconfitto dal fratello dello stesso
Agatocle.
Queste guerre ebbero il risultato di
alimentare un climadi continue tensioni,
che sfoceranno nel 264 con la prima
guerra punica(dall'etnonimo latino
Punicus, calco del greco
Φοῖνιξ,
Phoinix),
che rappresentò il vero e proprio inizio
dello scontro di civiltà tra Cartagine e
Roma e che si sarebbe concluso soltanto
nel 146 a.C. con la distruzione di
Cartagine ad opera di Roma.
Roma e Cartagine ebbero inizialmente
rapporti amichevoli; il primo trattato
di cui abbiamo notizia risale al 509
a.C. secondo Polibio:il fine
dell’accordo era in funzione
anti-etrusca e poi anti-greca in
occasione della guerra di Pirro. Dopo la
vittoria su Pirro, Roma venne a trovarsi
a contatto con il territorio cartaginese
in Sicilia e le due potenze entrarono in
conflitto: la spinta romana verso il sud
non poteva arrestarsi allo Stretto di
Messina.
La prima guerra punica vide protagonista
il generale cartaginese Amilcare Barca,
il quale sarà sconfitto prima in Sicilia
e successivamente alle isole Egadi
(241); queste due sconfitte misero
definitivamente la parola fine alla
prima guerra punica, con la cessione dei
territori cartaginesi in Sicilia a Roma.
La prima guerra punica ebbe inizio nel
264 a.C. quando i romani inviarono
aiutiai Mamertini, ossia mercenari
campani che dal 289 tenevano Messina e
che chiesero l’appoggio di Roma per
liberarsi del presidio cartaginese (al
quale si erano precedentemente
assoggettati per difendersi da Gerone di
Siracusa). Dopo alcuni successi però non
determinanti come la presa di Agrigento,
nel 262 i Romani capironoche Cartagine
doveva essere vinta sul mare.
Quest’ultimi infatti
inviavanocontinuamente rinforzi di
mercenari dall’Africa, forti del loro
dominio sul mare.
Fino a quel momento Roma non aveva
costituito una vera minaccia per
Cartagine, la flotta militare di
quest'ultima era stata capace di tenere
a bada i romani, contribuendo a
mantenere il controllo sul Mediterraneo.
Ma con lo scoppio della prima guerra
punica Roma dimostrò che aveva le
risorse, la determinazione e l’ingegno
per opporsi a Cartagine.
All’inizio del conflitto la città eterna
non poteva vantare alcuna esperienza di
guerra navale, non possedeva una marina,
né una tecnologia paragonabili a quelle
di Cartagine. Nonostante ciò i romani
costruirono celermente 330 navi
equipaggiate con rampe e congegni
d'abbordaggio che venivano calati
arpionando la nave nemica (queste navi
erano chiamate corvo): così la battaglia
marittima diventò una battaglia
terrestre, dove i romani erano
nettamente superiori rispetto ai
cartaginesi. Roma cominciò a prevalere
in diversi scontri, ricordiamo la
vittoria conseguita da Gaio Duilio a
Mile (Milazzo) nel 260.
Nonostante le vittorie, Roma non riuscì
però a portare la guerra in Africa, cosa
che invece succederà grazie a Scipione
della seconda guerra punica. Attilio
Regolo dopo la battaglia di Ecnomo (256)
sbarcò in Africa ma, nonostante
l’appoggio di alcune tribù indigene, il
suo esercito venne distrutto ed egli
fatto prigioniero. La guerra fu quindi
conclusa in Sicilia nel 241 con la
decisiva vittoria navale di Lutazio
Catulo alle Egadi: Cartagine fu dunque
obbligata a cedere l'intera Sicilia a
Roma e a pagareuna pesante indennità di
guerra.
Come conseguenza delle pesanti sanzioni,
Cartagine restò coinvolta nella
cosiddetta Guerra mercenaria (o Guerra
libica, 241-237 a.C.), scoppiata a
causadelle armate mercenarie che,dopo
aver combattuto per Cartagine,
cominciarono a richiedere i propri
soldi. Cartagine, che in quel momento
non aveva modo di pagare i pagamenti
richiesti, rispose militarmente,
sconfiggendo i mercenari grazie al
generale Amilcare Barca (circa 285-228
a.C.), padre del celebre Annibale Barca
(247-183 a.C.),che ritroveremo nella
seconda guerra punica.
Durante la Guerra mercenaria, Roma
approfittò dei problemi di Cartagine
occupando le colonie cartaginesi in
Sardegna e Corsica. I punici non
riuscirono ad opporsi ai romani, ma
tentarono di spostarsi in Spagna e di
nuovo si scontrarono inevitabilmente con
Roma, quando Annibale attaccò la città
ispanica di Sagunto, alleata di Roma,
nel 218 a.C.
La seconda guerra punica (218-202 a.C.)
fu combattuta prevalentemente in Italia
Settentrionale e vide come protagonista
Annibale, il quale invase la penisola
marciando dalla Spagna e attraversando
le Alpi con le sue truppe.
Cartagine dopo la sconfitta nella prima
guerra punica, spostò la sua attenzione
sulla Spagna, iniziando delle sortite
guidate da Amilcare Barca e dal genero
Asdrubale. Roma non era indifferente
alle mire dei punici ma essendo
minacciata dai Galli nell’Italia
Settentrionale, si accordò con Cartagine
nel 226 con il trattato dell’Ebro. Il
trattato riconosceva a Cartagine il
diritto di espandersi a sud dell’Ebro.
Al tempo stesso però Roma rimase alleata
con la città di Sagunto, non rispettando
in questo modo quanto stabilito con
Cartagine, ossia la promessa di non
contendere il territorio a sud del
fiume.
Nel 219 Annibale assalì proprio la città
di Sagunto, l’obiettivo del generale
cartaginese era chiaramente quello di
provocare Roma. Annibale aveva infatti
concepito un piano elaborato che
prevedeva l’invasione dell’Italia
puntando sulla scarsa coesione della
federazione italica, scendendo in Italia
con una marcia rapida e attacchi
fulminei: questa strategia disorientò i
Romani.Publio Cornelio Scipione fu
battuto al Ticino e quindi, insieme con
Tiberio Sempronio, alla Trebbia (218).
L’anno seguente Annibale arrivò fino
all’Italia centrale, distruggendo
l’esercito di Gaio Flaminio presso il
lago Trasimeno, ma la sua vittoria più
clamorosa fu nel 216 con la battaglia di
Canne, sotto il consolato di Emilio
Paolo e Terenzio Varrone.
La sconfitta di Canne ebbe conseguenze
gravissime per i romani, Annibale si
alleò con Filippo V di Macedonia
escoppiarono le prime ribellioni da
parte deigalli della valle padana, le
defezioni dei sanniti, dei bruzi, dei
lucani, di Capua ecc. Tuttavia la lega
italica, nonostante queste defezioni,
rimase unita e fedele a Roma, cheiniziò
l’offensiva contro Annibale: Siracusa fu
presa dai Romani nel 212, Capua nel 211
e senza conseguenze fu la sortita di
Annibale alle porte di Roma.
Intanto in Spagna Publio Cornelio
Scipione prese nel 209 Cartagena, il
principale arsenale nemico, e proseguì
nell’occupazione della Spagna portando a
Roma un essenziale contributo economico.
Sempre dalla Spagna Asdrubale, fratello
di Annibale, penetrò in Italia mafu
sconfitto e ucciso al Metauro da Claudio
Nerone e Livio Salinatore prima di
riuscire a congiungersi con il fratello.
Sempre nel 205 un altro fratello di
Annibale, Magone, trasportò dalla Spagna
un esercito nell’Italia Settentrionale
per rianimare la rivolta dei galli, mai
romanicapirono che per vincere dovevano
portare la guerra in Africa. Affidarono
quindi l’impresa a Scipione, che,
sbarcato nel 204 e alleatosi con
Massinissa, re dei Numidi, riportò
un’importante vittoria ai Campi Magni.
Scipione fu detto l’africano proprio
perché porto la guerra in Africa e
ovviamente la vinse.
Questa vittoria portò a stipulare
condizioni di pace come il ritiro di
Annibale e di Magone dall’Italia e della
rinuncia alla Spagna. Al ritorno di
Annibale i cartaginesi però non si
arresero e riaprirono le ostilità, per
essere poi definitivamente sconfitti da
Scipione a Zama (202). Le condizioni di
pace imposero a Cartagine la rinuncia
della Spagna, dei territori non punici
d’Africa (a favore di Massinissa) e
gravose indennità, nonché il divieto di
fare guerre, anche in Africa, senza il
consenso romano. Quest’ultimo divieto in
particolare sarà la causa del terzo e
ultimo conflitto.
Nel frattempo Annibale continuò ad
essere, nonostante la sconfitta, una
figura di spicco nel governo della sua
città, ma si scontrò inevitabilmente con
la parte più conservatrice e filoromana,
tant’è che gli stessi romani, desiderosi
di allontanare una figura così scomoda,
lo accusarono di intese ostili con il
sovrano della Siria Antioco III, sovrano
da cui nel 195 andò a rifugiarsi.
Nel 189 però Antioco, profondamente
antiromano e quindi sostenitore di
Annibale, attaccò e venne sconfitto da
Roma. Annibale riuscì di nuovo a fuggire
rifugiandosi presso Prusia, re di
Bitinia. Ben presto però i romani
scoprirono dove si trovava l’ex generale
cartaginese e imposero a Prusia di
consegnare il cartaginese.Annibale,
deciso a sottrarsi all'estrema
umiliazione di essere portato
prigioniero a Roma, nel 183 a.C. si
avvelenò.
Tornando a Cartagine, questa si trovava
in grande difficoltà per il pagamento
dell'indennità di guerra imposta da
Roma, inoltre come con la prima guerra
punica, anche a seguito della seconda
nacquero nuove tensioni:il confinante
Regno di Numidia guidato da re
Massinissa (r. circa 202-148 a.C.) era
stato alleato prezioso dell'Urbe durante
la seconda guerra e da questi
incoraggiati a razziare e compiere
liberamente incursioni nei territori
punici anche dopo la fine della guerra.
Cartagine stanca di subire dichiarò
guerra alla Numidia, di fatto
contravvenendo al trattato di pace con
Roma, che le impediva di mobilizzare un
esercito.
A causa di questa dichiarazione di
guerra, Roma intervenne nuovamente
richiedendo a Cartagine il pagamento di
nuove sanzioni a causa della violazione
del trattato di pace.I punici, che da
poco avevano finito di pagare le
sanzioni derivanti dalla seconda guerra
punica, si ritrovavano quindi oppressi
da un nuovo debito. L’Urbe era ormai
decisa a sottomettere con ogni mezzo
Cartagine, la quale però riteneva
risolto il contratto con Roma al momento
dell'ultimo pagamento del debito di
guerra.La città eterna non era d’accordo
e riteneva fosse giunto il momento di
sottomettere definitivamente i
punici."Ceterum censeo Carthaginem esse
delendam" ("Per il resto, ritengo
Cartagine debba essere distrutta") era
la celebre frase con cui il senatore
romano Marco Porcio Catone terminava
ogni sua orazione. Nel 149 a.C. Roma
decise di portare a compimento le parole
di Catone.
Con la vittoria nella seconda guerra
punica,Roma era diventata la dominatrice
del Mediterraneo Occidentale,
sostituendo Cartagine come la potenza
commerciale per eccellenza. Per questo
motivo era necessario per Roma
consolidare la propria egemonia sul
Mediterraneo ed eliminare qualsiasi
pericolo che dall’Africa poteva ancora
rappresentare Cartagine.
Occasione della guerra fu il già citato
Massinissa, che con le sue incursioni
costrinse Cartagine a dichiarargli
guerra (151 a.C.), violando così il
trattato con Roma. I cartaginesi, pur di
evitare la guerra con Roma, erano
disposti a cedere a tutte le richieste
romane, ma non poterono accettare
l’intimazione di abbandonare la loro
città per fondarne una nuova a 10 miglia
dal mare. Un chiaro pretesto per
iniziare un nuovo conflitto. I
cartaginesi ovviamente rifiutarono e la
terza guerra punica (149-146 a.C.) ebbe
inizio.
Dopo una resistenza di tre anni
(149-146) Scipione Emiliano espugnò
Cartagine nel 146. La città fu
distrutta, più di 50mila cittadini
vennero uccisi o resi schiavi. La città
punica soffrì la fame e la pestilenza;
infine fu rasa al suolo, bruciata, le
mura abbattute, il porto distrutto.
Quasi tutto il territorio fu trasformato
nella provincia romana di Africa
governata da un pretore con sede a
Utica.
Secondo la tradizione, sulle rovine di
Cartagine venne sparso il sale: un atto
simbolico per rendere sterili i resti e
sancire l’impossibilità di ricostruzione
(per un approfondimento leggi terza
guerra punica).
Gneo Nevio e il Bellum Poenicum
Gneo Nevio nacque probabilmente in
Campania, forse a Capua. Essendo campano
era quindi cittadino romano ma "sine
iure suffragii" ovvero senza diritto di
voto nelle assemblee di Roma, e ciò in
quanto propriamente campano e non
romano. Di origine plebea, numerose
furono le sue invettive contro i nobili,
profondamente contrario
all'aristocrazia, non perse occasione
per attacchi pungenti e diretti, in
particolare contro la potente famiglia
dei Metelli. Al contrario di alcuni suoi
colleghi, pare non abbia avuto alcun
protettore nell’aristocrazia, come
invece nel caso dei rapporti
Ennio-Nobiliore ed Andronico-Salinatore.
In particolare il verso da lui scritto
contro Q. Cecilio Metello (console, anno
206) recitava: fato Metelli Romae
fiunt consules e abbiamo la risposta
dello stesso Metello: dabunt malum
Metelli Naevio poetae. Anche
l'Africano maggiore fu da lui deriso in
una commedia e per questo fu messo in
prigione. Qui scrisse due commedie (Ariolus e Leon),
che furono un modo per risanare i
rapporti con quanti erano stati offesi
nelle sue precedenti opere. Per questo
fu liberato dai tribuni della plebe,
anche se poco dopo fu costretto dai suoi
nemici a lasciare Roma, morendo esule a
Utica nell'anno 201.
Nevio si affermò come autore drammatico
a partire dal 235 a.C., cinque anni dopo
la messa in scena del primo dramma di
Livio Andronico. Della sua attività
teatrale rimangono una trentina di
titoli di commedie palliate, genere
congeniale allo spirito caustico del
poeta, e di sei tragedie di argomento
greco. Fra gli scarsi frammenti, il più
significativo appartiene alla
commedia Tarentilla (La ragazza di
Taranto), vivace ritratto di una
cortigiana e dei suoi amanti. Nevio,
secondo la testimonianza di Terenzio, fu
un innovatore, il primo scrittore
di palliate a introdurre
la contaminatio (la presenza di più
generi letterari in un testo o scene
desunte da più modelli greci), ma fu
anche il primo a far rappresentare
delle praetextae, cioè le tragedie di
argomento storico romano: Romulus, sulle
origini leggendarie di Roma;
e Clastidium, in cui celebrava la
vittoria di Casteggio (222 a.C.) del
console Marco Claudio Marcello sui galli
insubri.
Purtroppo tutte le opere comiche di
Nevio sono andate perdute, ma sappiamo
che molto probabilmente fu un poeta più
grande nella commedia che nella
tragedia: usò nei suoi intrecci e
soprattutto nel suo linguaggioun modo di
rappresentare le scene tale da essere
paragonato dagli antichi a Plauto, che
lo nominarono nel genere della commedia
al terzo posto, dopo lo stesso Plauto e
Cecilio Stazio.
Ma il suo capolavoro fu il Carmen
belli Poenici, meglio conosciuto
come Bellum Poenicum (Guerra
punica). Questo fu il primo esempio
di epica storica romana. Nevio non è
dunque solo il primo autore di poema
epico, ma anche il primo autore di poema
storico. La materia scelta dall’autore
non è il mito, che sarà poi decisamente
prediletto in età successiva, ma la
storia. L’epica quindi nasce a Roma come
epica storica, volta a celebrare, come
vedremo di seguito, lo stato e le prime
grandi vittorie della Repubblica.
Il capolavoro di Nevio fu scritto in
saturni (un verso che lasciò il posto,
da Ennio in poi, all’esametro greco),
probabilmente durante la vecchiaia,
intorno al 209, nel momento in cui
l'Italia era per gran parte occupata
dalle truppe di Annibale o quanto meno
minacciata dalle imprese del
cartaginese;e comprendeva circa
4.000/5.000 versi, aventi come argomento
la prima guerra punica, vissuta da Nevio
in prima persona essendo stato un
guerriero proprio in quel periodo.
Dei circa 4000 versi saturni
originali ne rimangono oggi solo una
sessantina. In origine il Bellum
Poenicum doveva essere un lungo
carme in un unico volumen (cioè
in un solo rotolo di papiro) e in
scriptio continua (ossia senza spazi,
come si scriveva su papiro); solo in
seguito (II secolo a.C.) fu diviso in
sette libri dal grammatico Ottavio
Lampadione in misura omerica (tra i 400
e i 700 versi circa), per renderne più
facile la fruizione dal punto di vista
filologico. Nell’opera possiamo inoltre
notare continui rimandi alla tradizione
letteraria greca: si intrecciano storie
di viaggi e di guerre, quasi a
simboleggiare l'Odissea e l'Iliade.
Inoltre anche in Grecia, in età
alessandrina, si era diffusa l’epica
storica, ma al contrario di Nevio,
interessato a celebrare lo Stato, nelle
corti ellenistiche il fine di questi
poemi erano indirizzati all’esaltazione
del monarca.
I giudizi e le ampie citazioni, lasciati
dagli scrittori latini venuti dopo di
lui, indicano che il poema rimase a
lungo famoso presso i romani, benché
fosse considerato rozzo per la lingua
arcaica. Proprio lo stile arcaico
rischiò di far cadere nell’oblio il
poema; poco letto in epoca repubblicana,
con l’epica virgiliana, Nevio scomparve
totalmente e finì per essere citato solo
dai grammatici come testimone di qualche
vecchio uso linguistico. Per questo
motivo restano solo pochi frammenti
delle sue opere.
Nevio tratta della prima guerra punica
usando il procedimento degli annalisti,
al tempo stesso però inizia introducendo
il lettore alle origini mitiche di Roma,
come la leggenda di Enea, capostipite
dei romani: il poeta parla infatti, nei
primi canti, di Enea, considerato il
fondatore di Roma, e dei suoi amori con
la regina
Didone, la fondatrice di Cartagine, in
modo da spiegare la rivalità mortale e
drammatica che opponeva Roma a Cartagine
(da parte degli studiosi è studiata
dunque, a partire dai frammenti a
disposizione, la possibilità che Nevio
abbia preceduto
Virgilio nell'immaginare
l’amore infelice tra Enea e Didone).
Lo scopo del poeta è di mostrare che il
fato, gli dei e tutto il resto sono
dalla parte di Roma e ciò aveva una
grande importanza politica e sociale
negli anni oscuri della seconda guerra
punica.
Roma acquistava così una consapevolezza
importante: gli dei erano con lei e le
passate vittorie su Cartagine
garantivano il successo finale. Roma non
è più l'arbitro dell'Italia, ma una
città che lotta per la sua stessa
esistenza e questo restringimento dei
suoi orizzonti provoca un accesso di
nazionalismo, di cui l'esaltazione
storica degli eroi nazionali è una
manifestazione palese.
Altro aspetto interessante è la visione
comunitaria che accompagna Nevio anche
in quest’opera; dai frammenti che
abbiamo emerge un’esaltazione della
figura del soldato, coraggioso e senza
macchia, attento al proprio onore;
mentre non sempre avviene lo stesso per
i comandanti, a volte accusati di
codardia, di abbandonare il campo di
battaglia e i propri compagni.
Altro protagonista è il senato, che da
Roma osserva la guerra e impone
all’esercito di preservare il valore, la
gloria e la buona fama del popolo romano
nel Mediterraneo. Nevio ci mostra le
fasi embrionali dello Stato romano,
ancora fondato sul lavoro agricolo, la
guerra e la virtus, ben lontano dal
tracollo che ci sarà solo due secoli
dopo, che emerge leggendo Virgilio.
Non si cita a caso Virgilio, in quanto
Nevio era ed è considerato dagli
studiosi moderni, come anticipato in
precedenza, il precursore dell’epica
virgiliana in quanto, dal primo al terzo
libro, egli avrebbe introdotto il
discorso sulle origini di Roma, fino
alle avventure di Enea e all’amore con
Didone. Il collegamento tra Roma e Troia
con la fuga dello stesso Enea dunque,
non fu fatto per la prima volta da
Virgilio, ma era presente già in Nevio,
così come lo scontro tra Roma e
Cartagine era già spiegato da Nevio
attraverso il mito, legandolo cioè alla
promessa di vendetta che Didone,
abbandonata da Enea, giurò prima di
suicidarsi.
Non soltanto la materia era identica, ma
anche il modo di raccontarla. Il poeta
mantovano infatti si ispirò proprio al
cosiddetto “espressionismo arcaico”
tipico di Nevio e di Ennio. Il racconto
tragico quindi non è un’invenzione di
Virgilio, ma trae le sue origini dai
primi poemi epici latini.
Purtroppo le notizie sul Bellum
Poenicum sono piuttosto scarse e lo
stesso Virgilio non poteva ispirarsi più
di tanto ad un poema così lontano,
scritto in un altro verso e in una
lingua ben più arcaica. Per questo
motivo passò alla storia l’opera
virgiliana, mentre Nevio fu ricordato
solo per i suoi usi linguistici e non
per le sue innovazioni e il suo spirito
rivoluzionario. |