[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

166 / OTTOBRE 2021 (CXCVII)


antica

SULLA CIVILTà CARTAGINESE

STORIA DEL POPOLO ANTAGONISTA DI ROMA / PARTE I

di Luigi De Palo

 

Secondo la leggenda, Cartagine fu fondata dalla regina Didone (figlia del re di Tiro Muttone e sposa del ricchissimo Sicherba), la quale, secondo il mito, in fuga dalla tirannia del fratello Pigmalione di Tiro, dopo che quest’ultimo le aveva ucciso il marito per salire al trono, approdò in Africa settentrionalepoiché, giunta sulle sponde tunisine, ebbe modo di ammirare la posizione strategica di questo territorio elevato di fronte al mare, stabilendo un insediamento su una collina nota come Byrsa.

 

La leggenda afferma che il capo berbero che controllava la regione, il principe indigeno Iarba, le garantì tanta terra quanta ne avrebbe coperta una pelle di bue (Byrsa significa "luogo fortificato", ma anche, secondo un'antica interpretazione, "pelle", intendendo la pelle di un bue, di un toro, con un chiaro rimando alla leggenda). Didone quindi prese la pelle di bue e, con grade sorpresa del principe, la tagliò a striscioline, disponendola in fila e circondando l’intera collina, ottenendola in questo modo per sé e la sua gente.

 

Leggenda a parte, Cartagine fu fondata dai fenici come stazione commerciale ed effettivamente la popolazione di Cartagine derivava dalla mescolanza della cultura indigena, costituita dai berberi in Africa e dalla cultura portata dai coloni fenici. Il suo nome deriva dal punico Qart Hadasht, che significa “città nuova”, per distinguerla da Utica, la "città vecchia". Costruita tra il lago di Tunisi e il mare, secondo le fonti classiche fu fondata intorno all’814 a.C. insieme ad altre colonie fenicie. La datazione dei reperti archeologici sembrerebbe confermare quanto trasmesso dalle fonti.

 

La città prese a svilupparsi significativamente a seguito della distruzione da parte di Alessandro Magno nel 332 a.C. del grande polo produttivo e commerciale di Tiro, ritenuta la città-madre coloniale di Cartagine. In fuga da Tiro i rifugiati portarono a Cartagine tutti i loro averi e ricchezze, contribuendo alla crescita economica della città e rendendola il riferimento per i commerci nel Mediterraneo.

 

I cartaginesi stabilirono inoltre relazioni con le tribù confinanti, in particolare con le tribù berbere del regno nordafricano di Numidia, le quali ne infoltirono i ranghi militari principalmente con la cavalleria. Forte della sua potenza commerciale, della sua flotta e del suo esercito, Cartagine divenne presto la più ricca e potente città mediterranea.

 

Cartagine inoltre non fu la prima colonia fenicia, prima erano state fondate Cadice, Utica e, secondo Diodoro, diverse colonie in Africa e come tutte le città fenicie, anche queste nacquero per fini commerciali. Cartagine però, forte della sua posizione e delle sue ricchezze, divenne ben presto la più importante delle colonie, prendendo il sopravvento sulle altre.

 

Ma com’era organizzata Cartagine? La città contava quattro distretti residenziali espansi intorno alla centrale cittadella della Byrsa ed era circondata da mura che si estendevano dai porti all'entroterra per 37 chilometri. Vi erano tutti gli agi e le raffinatezze che si potessero trovare in una grande città antica: un teatro per l'intrattenimento, templi per le osservanze religiose, una necropoli, il mercato dell'agorà.

 

Cartagine poteva inoltre vantaredue grandi porti, uno commerciale e l'altro militare. Questi erano costantemente operativi nel rifornimento, nella riparazione e nell'equipaggiamento delle imbarcazioni, collegati da un canale e dominati dalla Byrsa. I porti rappresentavano la potenza di Cartagine, che, insieme alla posizione strategica della città e al declino della civiltà fenicia nel Mediterraneo Occidentale, diedero ai cartaginesi la possibilità di riempire il vuoto di potere assumendo un ruolo di primo piano nel controllo del Mediterraneo.

 

Accanto ai proventi del commercio marittimo, la riscossione di tributi e le tariffe commerciali incrementavano regolarmente la ricchezza della città: i porti contavano circa 220 moli ornati alla greca. Navi commerciali cartaginesi viaggiavano giornalmente verso porti in tutto il Mediterraneo, mentre la flotta militare ne garantiva la sicurezza, esplorava nuovi territori per l'approvvigionamento di risorse ed apriva nuove rotte commerciali attraverso campagne di conquista.

 

Forte dunque della propria presenza nel Mediterraneo, ben presto Cartagine sottomisele tribù locali e le colonie fenicie più antiche, giungendo così a controllare l'intera costa dell'Africa settentrionale, dall'oceano Atlantico al confine occidentale dell'Egitto, oltre alla Sardegna, a Malta, alle isole Baleari e a parte della Sicilia. La prima testimonianza dell’espansione di Cartagine è la fondazione di una colonia a Ibiza nel 654-653 a.C. tale colonia aveva la funzione di scalo tra la Sardegna e la Spagna.

 

A proposito della Sicilia, sarà proprio quest’ultima a portare alle guerre puniche: i cartaginesi distrussero alla fine del V secolo molte tra le maggiori città siciliane: Selinunte, Imera, Agrigento ecc.. La lotta intrapresa allora contro i cartaginesi da Dionisio, tiranno di Siracusa, si concluse con un accordo (374 a.C.) che riconosceva a Cartagine un certo controllo della Sicilia. Ma le tensioni non finirono qui, infatti tra il 317 e il 189i Cartaginesi sostennero due lunghe campagne contro Agatocle, tiranno di Siracusa, la cui morte portò Pirro re d’Epiro a dare il suo aiuto ai siciliani, ma dovette presto abbandonare la Sicilia. Pochi anni dopo, la contesa tra Gerone II di Siracusa e i Mamertini provocò l’intervento romano che segnò l’inizio delle cosiddette guerre puniche.

 

Ritornando al V secolo a.C. il generale cartaginese Annone intraprese un viaggio lungo la costa atlantica del Nord Africa. Le conoscenze e le tecnologie in ambito navale ereditate dai fenici, permisero ai cartaginesi di spingersi anche oltre le colonne d’Ercole, dall’Europa settentrionale all’Africa, dalle coste Islandesi al golfo di Guinea. Si era addirittura ipotizzato che, a seguito di ritrovamenti di relitti di navi cartaginesi oltre Gibilterra, i fenici avessero solcato le acque dell’Atlantico, spingendosi fino alle coste dell’America Latina. In realtà è solo una leggenda, la struttura delle navi sia fenicie che cartaginesi, erano progettate per la navigazione in acque basse e lungo la costa per brevi tratte come la traversata tra la costa tunisina e quella siciliana, o al massimo sarda, percorribile in pochi giorni di navigazione. Inoltre le dimensioni compatte ed il sistema di propulsione della nave, rendeva estremamente difficile la sopravvivenza in mare per lunghi periodi, e non è un caso se lungo la costa, durante i loro viaggi, sia fenici che cartaginesi costruirono numerosi avamposti commerciali.

 

In ogni caso la potenza marittima dei cartaginesi, già ampiamente descritta, permise loro di estendere gli insediamenti e le conquiste formando un grande impero dedito ai commerci. I cartaginesi, come i loro antenati fenici, erano eccellenti marinai e commercianti. "i Punici inventarono il commercio"dirà lo storico Plinio il Vecchio. L'oggetto dei loro traffici riguardava soprattutto i prodotti delle miniere di argento e di piombo, ma anche rame e stagno dalla Spagna, dove le miniere erano facilmente sfruttabili e accessibili. Altre miniere di stagno furono trovate in Gran Bretagna.

 

In un secondo momento, i cartaginesi iniziarono ad importare e a distribuire alcuni oggetti, come le ceramiche greche ed etrusche, oltre a gioielli, oggetti in vetro e animali esotici, frutta, noci, avorio e oro. Altri manufatti tipici del commercio cartaginese furono le famose tinte di stoffa viola, una peculiarità della cultura fenicia, che a causa della loro natura deperibile purtroppo non hanno lasciato tracce archeologiche. In merito all’arte, questa era costituita spesso da imitazioni delle più celebri opere egiziane, greche e fenicie e anche nel campo della letteratura non c’è stato tramandato molto, se non qualche opera di carattere tecnico, ma sappiamo che a Cartagine esistevano molte biblioteche e che la filosofia era piuttosto diffusa nei circoli punici. Ricordiamo il filosofo più famoso di origine cartaginese, Clitomaco.

 

Nonostante le poche testimonianze letterarie gli studiosi concordano sul fatto che Cartagine era a tutti gli effetti una città fenicia, nella lingua, nella cultura, negli usi e costumi e nella religione, tutto rimandava alla società fenicia, ma anche alle culture vicine come quella greca. Per quanto riguarda il governo, inizialmente la città era guidata da una monarchia, ma dal IV secolo a.C. divenne una repubblica oligarchico-meritocratica al cui vertice erano due magistrati eletti noti come suffeti (letteralmente i "giudici"), i quali governavano insieme a un senato di 200-300 membri che ricoprivano la carica a vita. Le leggi, proposte dai suffeti e dal senato, venivano approvate da un'assemblea di cittadini.

 

Idue suffeti erano eletti ogni anno. Essi avevano un potere civile di amministrazione degli affari pubblici, ma non il potere militare, riservato agli eletti ogni anno dall'assemblea del popolo e reclutati dalle grandi famiglie della città. Una sorta quindi di democrazia diretta, quella punica, che rispondeva pienamente alle esigenze di una città commerciale. Compito del senato invece era quello di promulgare le leggi, dirigere la politica estera e reclutare gli eserciti, ed era sostanzialmente un organo aristocratico, formato esclusivamente da nobili cittadini che restavano in carica a vita. A sua volta il senato era diviso in commissioni di cinque membri che avevano il compito di eleggere un consiglio ristretto, detto “la corte dei cento” formato da circa cento senatori cui erano conferiti poteri quasi illimitati.

 

Oltre al governo giocava però un ruolo fondamentale anche la religione, probabilmente l’aspetto più studiato della società cartaginese a causa delle accuse di riti di sacrificio infantile menzionate nelle fonti antichee trasmesso fino ad oggi da numerosi studiosi.

 

La mitologia di Cartagine è in gran parte ereditata da quella dei fenici, e la sua religione conserva nel corso della sua storia questo carattere profondamente semitico-occidentale, essendo ad esempio venerati tra i cartaginesi:Astarte, dea della fertilità e della guerra; Eshmun, dio della medicina; ma anche culti greci come quello di Demetra e Kore, legato alla fertilità e al raccolto, oltre a prove di culti della dea egizia Iside e, soprattutto tra il popolo, l’utilizzo di amuleti e altri talismani per la protezione contro demoni o malattie, di forte influenza egiziana.

 

I sacerdoti inoltre avevano un grande potere, anche se non intervenivano direttamente nella politica interna o straniera, godevano di una grande influenza su una società profondamente religiosa. I culti erano strutturati da una gerarchia di sacerdoti le cui posizioni più alte erano occupate da membri delle famiglie più potenti della città. I culti avevano ancheun ruolo economico non indifferente, per via delle offerte (come carne e altri beni) agli dei e ai sacerdoti;e dei sacrificiche potevano riguardare animali piccoli (uccelli) o grandi (buoi), ma anche piante, cibo o oggetti. Ancora è aperto invece il dibattito relativo ai sacrifici umani, in particolare di bambini, i quali si dice venissero celebrati in onore degli dei principali, Baal e Tanit (l'equivalente della dea fenicia Astarte).

 

Tanit era la dea dell’amore e della fertilità al cui culto era associato il consorte Baal Ammone: secondo alcuni studiosi è possibileche a Tanit venissero sacrificati bambini presso un santuario a cielo aperto (il termine comune è tofet), interpretazione posta tuttavia in dubbio dall'ugualmente plausibile eventualità che il tofet di Cartagine non fosse che mera necropoli riservata a neonati e fanciulli, ritenendo quella dei sacrifici umani una diceria di origine cristiana con l’intento di screditare i culti pagani.

 

I primi conflitti e le guerre puniche

 

Sul piano geopolitico Cartagine fu impegnata in guerre contro i greci e i romani per quasi 150 anni, tra cui le famose guerre puniche, sulle quali ci soffermeremo. Motivo del contrasto fu il controllo del Mediterraneo e in particolare, come già accennato in precedenza, della Sicilia, considerata un ponte naturale tra l’Africa settentrionale e la penisola italica. Lo scontro inizialmente coinvolse cartaginesi e greci.

 

A partire dalla metà del secolo VIII, la penetrazione greca nel Mediterraneo cominciò a creare alle colonie fenicie un certo fastidio. Inizialmente essi si concentrarono in zone dove non trovarono fenici, ossia nell’Italia meridionale, in Corsica, in Gallia ecc. ma lo scontro in Sicilia fu alla fine inevitabile.

 

Per limitare l’espansione greca, inizialmente i cartaginesi si allearono con gli etruschi. Nel 550 il generale Malco sconfisse i greci in Sicilia, conquistando parte dell’isola. Malco poi venne sconfitto in Sardegna da tribù locali. In Sardegna la guerra verrà ripresa qualche anno più tardi dai figli di Magone, Asdrubale e Amilcare.

 

L’alleanza etrusco-cartaginese assunse un significato ancora più importante nel momento in cui diventò parte della coalizione anti-greca nata sotto l’impero persiano. Nel 510 la decadenza etrusca portò però Cartagine ad abbandonare quest’ultimi e a stipulare nel 509 un accordo con Roma con la finalità di dividersi le varie zone di influenza.

 

Intanto continuarono le tensioni in Sicilia. Intorno al 480 a.C. Re Amilcare guidò le forze cartaginesi in Sicilia, ma furono sconfitti da Gerone, tiranno di Siracusa, il quale stava cercando di unificare l'isola con il sostegno di diverse città greche. Durante il conflitto però lo stesso Amilcare perse la vitanella battaglia di Imera nel 480 a.C. Nel frattempo anche Roma cominciò a nutrire interessi nei confronti della Sicilia.

 

Successivamente Cartagine tentò nuovamente la conquista della Sicilia, ma questa volta fu ostacolata dai tiranni siracusani: Dionisio il Giovane, Dionisio il Vecchio, Agatocle e da Pirro, re dell’Epiro. L’intervento di Pirro nello scontro tra cartaginesi e greciportò in campo anche Roma.

 

Annibale Magone riprovò a conquistare la Sicilia nel 409 a.C. e riportò una serie di vittorie senza però scontrarsi mai con Siracusa, ma distruggendo Selinunte e Imera. Nel 406 una nuova spedizione cartaginese conquistò Agrigento e distrusse Gela. Ad Annibale Magone (intanto morto di peste durante l’assedio di Agrigento) successe Imilcone, che negoziò con Dionigi una tregua.

 

I greci però non potevano accettare la presenza cartaginese: Dionisio di Siracusa guidò la reazione greca fino alla sua morte nel 367, portando la frontiera al fiume Alico, il che voleva dire per Cartagine dominare su un terzo della Sicilia. Le guerre continuarono per molti anni ancora, attacchi e assedi che alla fine nel 340 a.C. videro la sconfitta dell’esercito cartaginese, ormai confinato solo a sud-ovest dell'isola: nel 315 a.C. Agatocle di Siracusa conquistò Messina e nel 311 invase gli ultimi insediamenti cartaginesi della Sicilia. Il cartaginese Amilcare III cercò quindi di ostacolare Agatocle e arriverà a conquistare parte della Sicilia mettendo sotto assedio Siracusa, ma alla fine sarà sconfitto dal fratello dello stesso Agatocle.

 

Queste guerre ebbero il risultato di alimentare un climadi continue tensioni, che sfoceranno nel 264 con la prima guerra punica(dall'etnonimo latino Punicus, calco del greco Φοῖνιξ, Phoinix), che rappresentò il vero e proprio inizio dello scontro di civiltà tra Cartagine e Roma e che si sarebbe concluso soltanto nel 146 a.C. con la distruzione di Cartagine ad opera di Roma.

 

Roma e Cartagine ebbero inizialmente rapporti amichevoli; il primo trattato di cui abbiamo notizia risale al 509 a.C. secondo Polibio:il fine dell’accordo era in funzione anti-etrusca e poi anti-greca in occasione della guerra di Pirro. Dopo la vittoria su Pirro, Roma venne a trovarsi a contatto con il territorio cartaginese in Sicilia e le due potenze entrarono in conflitto: la spinta romana verso il sud non poteva arrestarsi allo Stretto di Messina.

 

La prima guerra punica vide protagonista il generale cartaginese Amilcare Barca, il quale sarà sconfitto prima in Sicilia e successivamente alle isole Egadi (241); queste due sconfitte misero definitivamente la parola fine alla prima guerra punica, con la cessione dei territori cartaginesi in Sicilia a Roma.

 

La prima guerra punica ebbe inizio nel 264 a.C. quando i romani inviarono aiutiai Mamertini, ossia mercenari campani che dal 289 tenevano Messina e che chiesero l’appoggio di Roma per liberarsi del presidio cartaginese (al quale si erano precedentemente assoggettati per difendersi da Gerone di Siracusa). Dopo alcuni successi però non determinanti come la presa di Agrigento, nel 262 i Romani capironoche Cartagine doveva essere vinta sul mare. Quest’ultimi infatti inviavanocontinuamente rinforzi di mercenari dall’Africa, forti del loro dominio sul mare.

 

Fino a quel momento Roma non aveva costituito una vera minaccia per Cartagine, la flotta militare di quest'ultima era stata capace di tenere a bada i romani, contribuendo a mantenere il controllo sul Mediterraneo. Ma con lo scoppio della prima guerra punica Roma dimostrò che aveva le risorse, la determinazione e l’ingegno per opporsi a Cartagine.

 

All’inizio del conflitto la città eterna non poteva vantare alcuna esperienza di guerra navale, non possedeva una marina, né una tecnologia paragonabili a quelle di Cartagine. Nonostante ciò i romani costruirono celermente 330 navi equipaggiate con rampe e congegni d'abbordaggio che venivano calati arpionando la nave nemica (queste navi erano chiamate corvo): così la battaglia marittima diventò una battaglia terrestre, dove i romani erano nettamente superiori rispetto ai cartaginesi. Roma cominciò a prevalere in diversi scontri, ricordiamo la vittoria conseguita da Gaio Duilio a Mile (Milazzo) nel 260.

 

Nonostante le vittorie, Roma non riuscì però a portare la guerra in Africa, cosa che invece succederà grazie a Scipione della seconda guerra punica. Attilio Regolo dopo la battaglia di Ecnomo (256) sbarcò in Africa ma, nonostante l’appoggio di alcune tribù indigene, il suo esercito venne distrutto ed egli fatto prigioniero. La guerra fu quindi conclusa in Sicilia nel 241 con la decisiva vittoria navale di Lutazio Catulo alle Egadi: Cartagine fu dunque obbligata a cedere l'intera Sicilia a Roma e a pagareuna pesante indennità di guerra.

 

Come conseguenza delle pesanti sanzioni, Cartagine restò coinvolta nella cosiddetta Guerra mercenaria (o Guerra libica, 241-237 a.C.), scoppiata a causadelle armate mercenarie che,dopo aver combattuto per Cartagine, cominciarono a richiedere i propri soldi. Cartagine, che in quel momento non aveva modo di pagare i pagamenti richiesti, rispose militarmente, sconfiggendo i mercenari grazie al generale Amilcare Barca (circa 285-228 a.C.), padre del celebre Annibale Barca (247-183 a.C.),che ritroveremo nella seconda guerra punica.

 

Durante la Guerra mercenaria, Roma approfittò dei problemi di Cartagine occupando le colonie cartaginesi in Sardegna e Corsica. I punici non riuscirono ad opporsi ai romani, ma tentarono di spostarsi in Spagna e di nuovo si scontrarono inevitabilmente con Roma, quando Annibale attaccò la città ispanica di Sagunto, alleata di Roma, nel 218 a.C.

 

La seconda guerra punica (218-202 a.C.) fu combattuta prevalentemente in Italia Settentrionale e vide come protagonista Annibale, il quale invase la penisola marciando dalla Spagna e attraversando le Alpi con le sue truppe.

 

Cartagine dopo la sconfitta nella prima guerra punica, spostò la sua attenzione sulla Spagna, iniziando delle sortite guidate da Amilcare Barca e dal genero Asdrubale. Roma non era indifferente alle mire dei punici ma essendo minacciata dai Galli nell’Italia Settentrionale, si accordò con Cartagine nel 226 con il trattato dell’Ebro. Il trattato riconosceva a Cartagine il diritto di espandersi a sud dell’Ebro. Al tempo stesso però Roma rimase alleata con la città di Sagunto, non rispettando in questo modo quanto stabilito con Cartagine, ossia la promessa di non contendere il territorio a sud del fiume.

 

Nel 219 Annibale assalì proprio la città di Sagunto, l’obiettivo del generale cartaginese era chiaramente quello di provocare Roma. Annibale aveva infatti concepito un piano elaborato che prevedeva l’invasione dell’Italia puntando sulla scarsa coesione della federazione italica, scendendo in Italia con una marcia rapida e attacchi fulminei: questa strategia disorientò i Romani.Publio Cornelio Scipione fu battuto al Ticino e quindi, insieme con Tiberio Sempronio, alla Trebbia (218). L’anno seguente Annibale arrivò fino all’Italia centrale, distruggendo l’esercito di Gaio Flaminio presso il lago Trasimeno, ma la sua vittoria più clamorosa fu nel 216 con la battaglia di Canne, sotto il consolato di Emilio Paolo e Terenzio Varrone.

 

La sconfitta di Canne ebbe conseguenze gravissime per i romani, Annibale si alleò con Filippo V di Macedonia escoppiarono le prime ribellioni da parte deigalli della valle padana, le defezioni dei sanniti, dei bruzi, dei lucani, di Capua ecc. Tuttavia la lega italica, nonostante queste defezioni, rimase unita e fedele a Roma, cheiniziò l’offensiva contro Annibale: Siracusa fu presa dai Romani nel 212, Capua nel 211 e senza conseguenze fu la sortita di Annibale alle porte di Roma.

 

Intanto in Spagna Publio Cornelio Scipione prese nel 209 Cartagena, il principale arsenale nemico, e proseguì nell’occupazione della Spagna portando a Roma un essenziale contributo economico. Sempre dalla Spagna Asdrubale, fratello di Annibale, penetrò in Italia mafu sconfitto e ucciso al Metauro da Claudio Nerone e Livio Salinatore prima di riuscire a congiungersi con il fratello.

 

Sempre nel 205 un altro fratello di Annibale, Magone, trasportò dalla Spagna un esercito nell’Italia Settentrionale per rianimare la rivolta dei galli, mai romanicapirono che per vincere dovevano portare la guerra in Africa. Affidarono quindi l’impresa a Scipione, che, sbarcato nel 204 e alleatosi con Massinissa, re dei Numidi, riportò un’importante vittoria ai Campi Magni. Scipione fu detto l’africano proprio perché porto la guerra in Africa e ovviamente la vinse.

 

Questa vittoria portò a stipulare condizioni di pace come il ritiro di Annibale e di Magone dall’Italia e della rinuncia alla Spagna. Al ritorno di Annibale i cartaginesi però non si arresero e riaprirono le ostilità, per essere poi definitivamente sconfitti da Scipione a Zama (202). Le condizioni di pace imposero a Cartagine la rinuncia della Spagna, dei territori non punici d’Africa (a favore di Massinissa) e gravose indennità, nonché il divieto di fare guerre, anche in Africa, senza il consenso romano. Quest’ultimo divieto in particolare sarà la causa del terzo e ultimo conflitto.

 

Nel frattempo Annibale continuò ad essere, nonostante la sconfitta, una figura di spicco nel governo della sua città, ma si scontrò inevitabilmente con la parte più conservatrice e filoromana, tant’è che gli stessi romani, desiderosi di allontanare una figura così scomoda, lo accusarono di intese ostili con il sovrano della Siria Antioco III, sovrano da cui nel 195 andò a rifugiarsi.

 

Nel 189 però Antioco, profondamente antiromano e quindi sostenitore di Annibale, attaccò e venne sconfitto da Roma. Annibale riuscì di nuovo a fuggire rifugiandosi presso Prusia, re di Bitinia. Ben presto però i romani scoprirono dove si trovava l’ex generale cartaginese e imposero a Prusia di consegnare il cartaginese.Annibale, deciso a sottrarsi all'estrema umiliazione di essere portato prigioniero a Roma, nel 183 a.C. si avvelenò.

 

Tornando a Cartagine, questa si trovava in grande difficoltà per il pagamento dell'indennità di guerra imposta da Roma, inoltre come con la prima guerra punica, anche a seguito della seconda nacquero nuove tensioni:il confinante Regno di Numidia guidato da re Massinissa (r. circa 202-148 a.C.) era stato alleato prezioso dell'Urbe durante la seconda guerra e da questi incoraggiati a razziare e compiere liberamente incursioni nei territori punici anche dopo la fine della guerra. Cartagine stanca di subire dichiarò guerra alla Numidia, di fatto contravvenendo al trattato di pace con Roma, che le impediva di mobilizzare un esercito.

 

A causa di questa dichiarazione di guerra, Roma intervenne nuovamente richiedendo a Cartagine il pagamento di nuove sanzioni a causa della violazione del trattato di pace.I punici, che da poco avevano finito di pagare le sanzioni derivanti dalla seconda guerra punica, si ritrovavano quindi oppressi da un nuovo debito. L’Urbe era ormai decisa a sottomettere con ogni mezzo Cartagine, la quale però riteneva risolto il contratto con Roma al momento dell'ultimo pagamento del debito di guerra.La città eterna non era d’accordo e riteneva fosse giunto il momento di sottomettere definitivamente i punici."Ceterum censeo Carthaginem esse delendam" ("Per il resto, ritengo Cartagine debba essere distrutta") era la celebre frase con cui il senatore romano Marco Porcio Catone terminava ogni sua orazione. Nel 149 a.C. Roma decise di portare a compimento le parole di Catone.

 

Con la vittoria nella seconda guerra punica,Roma era diventata la dominatrice del Mediterraneo Occidentale, sostituendo Cartagine come la potenza commerciale per eccellenza. Per questo motivo era necessario per Roma consolidare la propria egemonia sul Mediterraneo ed eliminare qualsiasi pericolo che dall’Africa poteva ancora rappresentare Cartagine.

 

Occasione della guerra fu il già citato Massinissa, che con le sue incursioni costrinse Cartagine a dichiarargli guerra (151 a.C.), violando così il trattato con Roma. I cartaginesi, pur di evitare la guerra con Roma, erano disposti a cedere a tutte le richieste romane, ma non poterono accettare l’intimazione di abbandonare la loro città per fondarne una nuova a 10 miglia dal mare. Un chiaro pretesto per iniziare un nuovo conflitto. I cartaginesi ovviamente rifiutarono e la terza guerra punica (149-146 a.C.) ebbe inizio.

 

Dopo una resistenza di tre anni (149-146) Scipione Emiliano espugnò Cartagine nel 146. La città fu distrutta, più di 50mila cittadini vennero uccisi o resi schiavi. La città punica soffrì la fame e la pestilenza; infine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto. Quasi tutto il territorio fu trasformato nella provincia romana di Africa governata da un pretore con sede a Utica.

Secondo la tradizione, sulle rovine di Cartagine venne sparso il sale: un atto simbolico per rendere sterili i resti e sancire l’impossibilità di ricostruzione (per un approfondimento leggi terza guerra punica).

 

Gneo Nevio e il Bellum Poenicum

 

Gneo Nevio nacque probabilmente in Campania, forse a Capua. Essendo campano era quindi cittadino romano ma "sine iure suffragii" ovvero senza diritto di voto nelle assemblee di Roma, e ciò in quanto propriamente campano e non romano. Di origine plebea, numerose furono le sue invettive contro i nobili, profondamente contrario all'aristocrazia, non perse occasione per attacchi pungenti e diretti, in particolare contro la potente famiglia dei Metelli. Al contrario di alcuni suoi colleghi, pare non abbia avuto alcun protettore nell’aristocrazia, come invece nel caso dei rapporti Ennio-Nobiliore ed Andronico-Salinatore.

 

In particolare il verso da lui scritto contro Q. Cecilio Metello (console, anno 206) recitava: fato Metelli Romae fiunt consules e abbiamo la risposta dello stesso Metello: dabunt malum Metelli Naevio poetae. Anche l'Africano maggiore fu da lui deriso in una commedia e per questo fu messo in prigione. Qui scrisse due commedie (Ariolus Leon), che furono un modo per risanare i rapporti con quanti erano stati offesi nelle sue precedenti opere. Per questo fu liberato dai tribuni della plebe, anche se poco dopo fu costretto dai suoi nemici a lasciare Roma, morendo esule a Utica nell'anno 201.

 

Nevio si affermò come autore drammatico a partire dal 235 a.C., cinque anni dopo la messa in scena del primo dramma di Livio Andronico. Della sua attività teatrale rimangono una trentina di titoli di commedie palliate, genere congeniale allo spirito caustico del poeta, e di sei tragedie di argomento greco. Fra gli scarsi frammenti, il più significativo appartiene alla commedia Tarentilla (La ragazza di Taranto), vivace ritratto di una cortigiana e dei suoi amanti. Nevio, secondo la testimonianza di Terenzio, fu un innovatore, il primo scrittore di palliate a introdurre la contaminatio (la presenza di più generi letterari in un testo o scene desunte da più modelli greci), ma fu anche il primo a far rappresentare delle praetextae, cioè le tragedie di argomento storico romano: Romulus, sulle origini leggendarie di Roma; e Clastidium, in cui celebrava la vittoria di Casteggio (222 a.C.) del console Marco Claudio Marcello sui galli insubri.

 

Purtroppo tutte le opere comiche di Nevio sono andate perdute, ma sappiamo che molto probabilmente fu un poeta più grande nella commedia che nella tragedia: usò nei suoi intrecci e soprattutto nel suo linguaggioun modo di rappresentare le scene tale da essere paragonato dagli antichi a Plauto, che lo nominarono nel genere della commedia al terzo posto, dopo lo stesso Plauto e Cecilio Stazio.

 

Ma il suo capolavoro fu il Carmen belli Poenici, meglio conosciuto come Bellum Poenicum (Guerra punica). Questo fu il primo esempio di epica storica romana. Nevio non è dunque solo il primo autore di poema epico, ma anche il primo autore di poema storico. La materia scelta dall’autore non è il mito, che sarà poi decisamente prediletto in età successiva, ma la storia. L’epica quindi nasce a Roma come epica storica, volta a celebrare, come vedremo di seguito, lo stato e le prime grandi vittorie della Repubblica.

 

Il capolavoro di Nevio fu scritto in saturni (un verso che lasciò il posto, da Ennio in poi, all’esametro greco), probabilmente durante la vecchiaia, intorno al 209, nel momento in cui l'Italia era per gran parte occupata dalle truppe di Annibale o quanto meno minacciata dalle imprese del cartaginese;e comprendeva circa 4.000/5.000 versi, aventi come argomento la prima guerra punica, vissuta da Nevio in prima persona essendo stato un guerriero proprio in quel periodo.

 

Dei circa 4000 versi saturni originali ne rimangono oggi solo una sessantina. In origine il Bellum Poenicum doveva essere un lungo carme in un unico volumen (cioè in un solo rotolo di papiro) e in scriptio continua (ossia senza spazi, come si scriveva su papiro); solo in seguito (II secolo a.C.) fu diviso in sette libri dal grammatico Ottavio Lampadione in misura omerica (tra i 400 e i 700 versi circa), per renderne più facile la fruizione dal punto di vista filologico. Nell’opera possiamo inoltre notare continui rimandi alla tradizione letteraria greca: si intrecciano storie di viaggi e di guerre, quasi a simboleggiare l'Odissea e l'Iliade. Inoltre anche in Grecia, in età alessandrina, si era diffusa l’epica storica, ma al contrario di Nevio, interessato a celebrare lo Stato, nelle corti ellenistiche il fine di questi poemi erano indirizzati all’esaltazione del monarca.

 

I giudizi e le ampie citazioni, lasciati dagli scrittori latini venuti dopo di lui, indicano che il poema rimase a lungo famoso presso i romani, benché fosse considerato rozzo per la lingua arcaica. Proprio lo stile arcaico rischiò di far cadere nell’oblio il poema; poco letto in epoca repubblicana, con l’epica virgiliana, Nevio scomparve totalmente e finì per essere citato solo dai grammatici come testimone di qualche vecchio uso linguistico. Per questo motivo restano solo pochi frammenti delle sue opere.

 

Nevio tratta della prima guerra punica usando il procedimento degli annalisti, al tempo stesso però inizia introducendo il lettore alle origini mitiche di Roma, come la leggenda di Enea, capostipite dei romani: il poeta parla infatti, nei primi canti, di Enea, considerato il fondatore di Roma, e dei suoi amori con la regina Didone, la fondatrice di Cartagine, in modo da spiegare la rivalità mortale e drammatica che opponeva Roma a Cartagine (da parte degli studiosi è studiata dunque, a partire dai frammenti a disposizione, la possibilità che Nevio abbia preceduto Virgilio nell'immaginare l’amore infelice tra Enea e Didone). Lo scopo del poeta è di mostrare che il fato, gli dei e tutto il resto sono dalla parte di Roma e ciò aveva una grande importanza politica e sociale negli anni oscuri della seconda guerra punica.

 

Roma acquistava così una consapevolezza importante: gli dei erano con lei e le passate vittorie su Cartagine garantivano il successo finale. Roma non è più l'arbitro dell'Italia, ma una città che lotta per la sua stessa esistenza e questo restringimento dei suoi orizzonti provoca un accesso di nazionalismo, di cui l'esaltazione storica degli eroi nazionali è una manifestazione palese.

 

Altro aspetto interessante è la visione comunitaria che accompagna Nevio anche in quest’opera; dai frammenti che abbiamo emerge un’esaltazione della figura del soldato, coraggioso e senza macchia, attento al proprio onore; mentre non sempre avviene lo stesso per i comandanti, a volte accusati di codardia, di abbandonare il campo di battaglia e i propri compagni.

 

Altro protagonista è il senato, che da Roma osserva la guerra e impone all’esercito di preservare il valore, la gloria e la buona fama del popolo romano nel Mediterraneo. Nevio ci mostra le fasi embrionali dello Stato romano, ancora fondato sul lavoro agricolo, la guerra e la virtus, ben lontano dal tracollo che ci sarà solo due secoli dopo, che emerge leggendo Virgilio.

 

Non si cita a caso Virgilio, in quanto Nevio era ed è considerato dagli studiosi moderni, come anticipato in precedenza, il precursore dell’epica virgiliana in quanto, dal primo al terzo libro, egli avrebbe introdotto il discorso sulle origini di Roma, fino alle avventure di Enea e all’amore con Didone. Il collegamento tra Roma e Troia con la fuga dello stesso Enea dunque, non fu fatto per la prima volta da Virgilio, ma era presente già in Nevio, così come lo scontro tra Roma e Cartagine era già spiegato da Nevio attraverso il mito, legandolo cioè alla promessa di vendetta che Didone, abbandonata da Enea, giurò prima di suicidarsi.

 

Non soltanto la materia era identica, ma anche il modo di raccontarla. Il poeta mantovano infatti si ispirò proprio al cosiddetto “espressionismo arcaico” tipico di Nevio e di Ennio. Il racconto tragico quindi non è un’invenzione di Virgilio, ma trae le sue origini dai primi poemi epici latini.

 

Purtroppo le notizie sul Bellum Poenicum sono piuttosto scarse e lo stesso Virgilio non poteva ispirarsi più di tanto ad un poema così lontano, scritto in un altro verso e in una lingua ben più arcaica. Per questo motivo passò alla storia l’opera virgiliana, mentre Nevio fu ricordato solo per i suoi usi linguistici e non per le sue innovazioni e il suo spirito rivoluzionario. 

 

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